Perché il prezzo dei carburanti è tornato a salire

Il governo ha deciso di aumentare di nuovo il valore delle accise, e non c'entra nulla la speculazione

di Mariasole Lisciandro

(Cecilia Fabiano/ LaPresse)
(Cecilia Fabiano/ LaPresse)
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Dal primo gennaio i prezzi dei carburanti sono tornati a salire. Il motivo è principalmente uno ed è legato alla rimozione totale da parte del governo di Giorgia Meloni dello sconto sulle accise (ossia di imposte fisse al litro che gravano sul prezzo finale) che era stato introdotto dal governo di Mario Draghi per calmierare i forti rincari che c’erano stati con l’inizio della guerra in Ucraina.

L’aumento del prezzo dei carburanti era quindi inevitabile ma vari membri del governo, come il ministro delle Infrastrutture Matteo Salvini e il ministro dell’Ambiente e della sicurezza energetica Gilberto Pichetto Fratin, hanno accusato gli operatori di speculare sul prezzo della benzina, perché le quotazioni starebbero salendo più del normale aggiustamento che ci sarebbe stato solo a causa dell’aumento delle accise. In realtà, scomponendo i prezzi emerge che in questi giorni sono aumentati esattamente di quanto ci si attendeva, ossia di un valore pari all’aumento delle accise. Le dichiarazioni di alcuni membri del governo sono quindi di fatto infondate e sembrano volte a recuperare consensi dopo aver imposto una misura probabilmente impopolare.

Cosa ha fatto il governo
A far aumentare i prezzi dei carburanti sono state le decisioni del governo, che ha gradualmente rimosso lo sconto sulle accise sui carburanti da 30,5 centesimi al litro che era stato introdotto a marzo 2022 dal governo Draghi, prima riducendolo a 18,3 centesimi al litro dal primo dicembre 2022 e poi togliendolo del tutto dal primo gennaio. Benché inizialmente necessario per calmierare l’improvviso e violento aumento dei prezzi del petrolio e della benzina causato dalla guerra in Ucraina, in effetti lo sconto era giudicato dalla maggior parte degli esperti come una misura molto costosa e iniqua: costava circa un miliardo di euro al mese e andava a vantaggio di tutti i possessori di un mezzo: non solo di quelli con redditi più bassi o in difficoltà economica, ma anche di quelli che potevano permettersi i rincari.

Da mesi tutte le principali istituzioni internazionali, come Banca Centrale Europea, Fondo Monetario Internazionale, Commissione Europea e così via, stanno sollecitando i governi a rendere le misure per alleviare gli effetti dei rincari (che erano inizialmente previste per tutti) più mirate verso le fasce povere, che sono quelle che fanno davvero fatica a sopportare i consistenti aumenti dei prezzi di questi mesi.

Mantenere questi provvedimenti rivolti al pubblico generale era visto da molti come una sorta di incentivo al consumo, perché avvantaggiava di fatto anche le fasce più ricche. Questo, peraltro, era in netto contrasto con le politiche mirate al rallentamento dell’attività economica e al contenimento dell’inflazione, come per esempio l’aumento dei tassi di interesse portato avanti dalla Banca Centrale Europea.

– Leggi anche: Cos’è l’inflazione, spiegato

La decisione di ripristinare le accise presa dal governo Meloni secondo molti analisti era necessaria da tempo e in linea con le politiche economiche volte a contenere l’inflazione. La rimozione dello sconto è stata però una decisione decisamente impopolare a livello politico, soprattutto perché rende i carburanti di fatto più cari.

La speculazione non c’entra nulla con l’aumento dei prezzi dei carburanti
I dati da osservare sono quelli dell’ultimo monitoraggio settimanale del ministero dell’Ambiente e della sicurezza energetica, che però tiene conto solo dei prezzi in modalità self service. I prezzi di benzina e gasolio durante la prima settimana dell’anno sono stati in media pari a 1,81 e 1,86 euro al litro, in rialzo di 16 centesimi rispetto alla settimana precedente, un rincaro in linea con la rimozione dello sconto sulle accise. È vero quindi che le quotazioni sono in rialzo e lo erano anche la settimana prima che aumentassero di nuovo le accise. In ogni caso le quotazioni sono ancora più basse di quasi 40 centesimi, un quarto in meno, rispetto ai picchi toccati all’inizio della guerra, quando il prezzo del petrolio aumentò tantissimo.

Vari esponenti del governo hanno fatto notare come i rincari di questi giorni siano talvolta molto superiori rispetto al legittimo adeguamento dei prezzi alla pompa dopo la rimozione dello sconto. La colpa sarebbe quindi della speculazione degli operatori e il governo farà di tutto per fermarla.

Anche il ministro dell’Ambiente e della sicurezza energetica Gilberto Pichetto Fratin, in un’intervista alla Stampa, sul prezzo dei carburanti ha detto che «con i livelli attuali di gas e petrolio, io credo che uno sforamento dei 2 euro sarebbe solo speculazione. E comunque, se il prezzo dei carburanti dovesse tornare a crescere in modo stabile e significativo, il governo è pronto a intervenire».

I dati però dicono una cosa diversa. Se si scompone il prezzo dei carburanti in due, materia prima e tasse, si vede che i rialzi sono dovuti esclusivamente alla componente delle tasse: per esempio, prima del 31 dicembre un litro di benzina costava 1,62 euro, di cui 87 centesimi erano accise e IVA (il 54 per cento del prezzo finale), mentre il resto era composto dal costo industriale della benzina. Nella rilevazione sulla prima settimana di gennaio, il prezzo finale è di 1,81 centesimi, di cui 1,05 euro solo di accise e IVA (il 58 per cento del prezzo finale). Il prezzo al netto delle accise, ossia quello industriale su cui effettivamente gli operatori possono “speculare”, è stato addirittura leggermente più basso, pari a 75,6 centesimi.

I valori del monitoraggio del ministero sono valori medi praticati dai distributori in modalità self service e la media assegna un peso più alto ai distributori con marchio, perché è questa modalità che riguarda la maggior parte dei volumi venduti. Ma il mercato è molto eterogeneo perché quello dei carburanti è un mercato liberalizzato ed è per questo che si sono osservati prezzi diversi tra i diversi gestori. Varie elaborazioni dei siti di settore specializzati, come Quotidiano energia e Staffetta Quotidiana, mostrano bene queste differenze.

Secondo le elaborazioni di Quotidiano energia il prezzo medio della benzina in modalità servito lunedì 9 gennaio è stato di 1,965 euro mentre quello del diesel 2,023 euro al litro. I principali marchi vendevano la benzina self service a prezzi compresi tra 1,816 e 1,835 euro al litro, mentre le pompe cosiddette “bianche”, ossia quelle senza logo, a 1,819. Per il diesel il prezzo medio è stato di 1,879 euro al litro.

I prezzi sono poi più alti in autostrada, come sempre e non solo in questi giorni: questi benzinai pagano un canone al gestore dell’autostrada e hanno costi del personale mediamente più alti. Questi costi aggiuntivi si riversano sul prezzo finale: secondo Staffetta Quotidiana il prezzo medio in autostrada della benzina in modalità servito è stato di 2,171 euro mentre al self service costa 1,912 euro al litro. Per il gasolio in autostrada si spendono 1,963 euro al litro per il self e 2,223 per il servito.

L’economista ed esperto di energia Davide Tabarelli ha scritto sul Sole 24 Ore che «non solo non c’è speculazione, ma addirittura le compagnie hanno aumentato meno di quello che avrebbero dovuto dal primo gennaio e adesso stanno semplicemente recuperando. Esiste da sempre il luogo comune circa il fatto che i prezzi aumentano velocemente quando aumentano tasse o petrolio, mentre vanno piano al ribasso per gonfiare il margine. Certo, ci sono a volte ritardi, ma alla lunga si compensano quelli al rialzo e al ribasso».