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  • Venerdì 17 novembre 2023

Dizionario minimo per seguire le telecronache del tennis

Perché i punti si contano 15, 30, 40 e altre cose da sapere, ora che Sinner ci costringe tutti a vedere più partite

(AP Photo/Antonio Calanni)
(AP Photo/Antonio Calanni)
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«Qui Rune aveva messo i piedi dentro al campo ed era pronto a entrare, e invece…» ha detto a un certo punto, giovedì sera, l’ex tennista Paolo Bertolucci durante la telecronaca della partita di tennis tra Jannik Sinner e Holger Rune alle ATP Finals di Torino. Per chi non è abituato a seguire le partite di tennis una frase del genere potrebbe risultare del tutto incomprensibile: è un bene o un male quello che stava facendo Rune? E poi come fa a essere «pronto a entrare» uno che ha già «i piedi dentro al campo»?

Negli ultimi giorni molte più persone del solito si sono ritrovate a vedere partite di tennis in televisione, o a sentirne parlare, o a leggerne online, per via degli ottimi risultati alle ATP Finals di Sinner, il miglior tennista italiano in circolazione. Sabato Sinner giocherà la semifinale del torneo (è il primo italiano di sempre a riuscirci), e se dovesse vincere domenica giocherà la finale: è meglio arrivare preparati, anche perché il gran momento che sta attraversando il tennis italiano in questi anni sta attirando nuove attenzioni verso uno sport che per alcuni decenni era stato perlopiù accantonato dal pubblico generalista.

Come molti sport e forse più di altri, il tennis è ricco di tradizioni, riti, terminologie specifiche e convenzioni a volte quasi incomprensibili. Chi commenta le partite in tv deve perciò riuscire a trovare un equilibrio tra l’uso di tecnicismi che soddisfino i più esperti e la necessità di risultare chiari anche a chi lo sport non lo conosce affatto. A volte però per chi segue da casa non è semplice mettere in relazione le metafore e quello che sta succedendo in campo dal punto di vista tecnico e tattico: ecco quindi una piccola guida per la sopravvivenza minima.

Per principianti: il punteggio
Uno degli aspetti meno immediati per i curiosi che si approcciano a questo sport per le prime volte è il punteggio, che invece dovrebbe avere proprio la funzione opposta, cioè semplificare la comprensione di quello che sta succedendo su un campo da gioco. Anche chi non segue il calcio può capire facilmente chi sta vincendo se vede sulla televisione che una squadra è a 2 e l’altra a 1, mentre nel tennis non è così semplice: perché in alcuni tornei si giocano più set e le partite durano di più? Perché alcuni set finiscono a 6 e altri a 7?

Il set è la suddivisione principale di un incontro di tennis: in quasi tutti i tornei per vincere una partita bisogna vincere due set, fatta eccezione per i cosiddetti “Slam”, i quattro tornei più importanti della stagione (Australian Open, Roland Garros, Wimbledon e US Open), dove invece bisogna vincerne tre. Le partite negli Slam sono quindi tendenzialmente più lunghe, almeno per gli uomini: per le donne invece si arriva sempre a due set.

Ciascun set è diviso in game, e per vincere un game bisogna fare quattro punti, ma a patto di averne almeno due di vantaggio sull’avversario. Il punteggio all’interno dei game si conta con la progressione 15, 30, 40, game. Se si arriva a 40 pari allora si va ai vantaggi, e vince il game il primo giocatore che riesce a distanziare l’avversario di due punti.

Per aggiudicarsi il set bisogna vincere 6 game, ma con almeno 2 di vantaggio (non si può vincere 6-5, insomma, si vince almeno 6-4). Se si arriva a 5 game pari allora vince il set chi arriva prima a 7, e se si arriva a 6 game pari si gioca un ultimo game speciale: si chiama tie-break, i punti si contano normalmente (1, 2, 3, 4, eccetera) e si conclude quando uno dei due tennisti arriva almeno a 7 punti, con almeno due di vantaggio sull’avversario (quindi un tie-break può anche finire 8-6, 11-9, eccetera, e potenzialmente durare all’infinito finché uno dei due non ha due punti di vantaggio).

Il punteggio nei game in quindicesimi è decisamente un’eccezionalità del tennis, a cui si aggiunge la stranezza di una progressione non uniforme: da 15 si passa a 30 e da 30 a 40, invece che a 45 come ci si potrebbe aspettare. L’origine di questa stranezza è piuttosto dibattuta ma non c’è una verità definitivamente accettata. La teoria più diffusa è che in origine i punteggi venissero segnati su un orologio, da cui il sistema in quindicesimi, e che da 30 si passasse effettivamente a 45: sempre secondo questa ipotesi, nel parlato poi la parola “quarantacinque” finì per essere abbreviata in “quaranta” senza che ci fossero particolari problemi nella comprensione del punteggio.

Molte delle stranezze nei punteggi del tennis derivano da due regole fondamentali: la prima è che non si può vincere un game o un set con un solo punto di vantaggio, ma devono sempre essere almeno due. La seconda riguarda il fatto che nel tennis ogni punto inizia con il “servizio” di uno dei giocatori, un colpo che statisticamente dà dei vantaggi a chi lo gioca e aumenta la probabilità di vincere il punto: i giocatori si alternano al servizio ogni game, e il sistema è concepito per fare in modo che per vincere un set un giocatore debba almeno una volta “togliere il servizio all’avversario”, cioè vincere un game nel turno in cui serve l’altro.

Nel gergo tennistico l’atto di vincere un game nel turno di servizio dell’avversario si chiama break, da cui anche il verbo breakare: “farsi breakare”, o “perdere il servizio”, o “farsi togliere il servizio” significa perdere il game nel proprio turno di servizio. Il punto con cui si può togliere il servizio all’avversario si chiama “palla break”: se fa punto chi serve si dice che “ha annullato una palla break”.

Un set può concludersi anche senza break: in quei casi si arriva sul 6-6 e si va al tie-break. Anche qui però i giocatori si alternano al servizio, e per aggiudicarsi definitivamente il set è necessario distanziare l’avversario almeno di due punti, e quindi vincere almeno un punto “sul servizio dell’avversario” (in questi casi si chiama mini-break).

Il servizio, e tutto quello che c’è intorno
È uno dei colpi più importanti del tennis: idealmente, se non si perde mai il servizio non si può perdere la partita. Per questo è un colpo su cui i giocatori lavorano moltissimo, e su cui si concentrano molte delle statistiche che si sentono citare durante una partita.

I telecronisti per esempio ricordano spesso il numero di ace, ossia servizi che portano un punto diretto senza che l’avversario riesca nemmeno a toccare la pallina. È leggermente diverso da quello che viene chiamato “servizio vincente”, che è sempre un servizio che produce un punto diretto ma in cui l’avversario almeno colpisce (o anche solo sfiora) la pallina.

In ogni punto un giocatore ha due servizi a disposizione: con la cosiddetta “prima” di servizio solitamente si cerca un colpo più forte e rischioso, nel tentativo di guadagnare un punto diretto o quasi. Con la “seconda” invece si cerca di tirare più piano per evitare un secondo errore e perdere il punto, senza però rendere la vita troppo facile all’avversario. Per descrivere un servizio particolarmente forte spesso i telecronisti dicono che “ha scavato una buca”, o che “ha lasciato un cratere”, eccetera.

Servire sempre nello stesso modo però è rischioso, perché l’avversario può intuire più facilmente dove andrà la pallina e attrezzarsi per rispondere meglio. I giocatori quindi sono soliti servire in diversi modi e secondo diversi schemi, a seconda di quello che vogliono ottenere. Si può servire in modo “piatto”, cioè colpendo la pallina con il centro della racchetta per darle una traiettoria rettilinea, che arrivi il più velocemente possibile nel campo dell’avversario; oppure in slice, cioè di taglio, per ottenere una traiettoria che tende a uscire lateralmente dal campo e con un rimbalzo smorzato. In questi casi i telecronisti dicono spesso che un giocatore si è “aperto il campo” con il servizio: ha cioè costretto l’avversario ad allontanarsi molto dal centro per colpire, lasciando scoperta un’ampia porzione di campo in cui chi ha servito avrà più facilità a fare punto.

Uno degli schemi più usati dai giocatori “aprendo il campo” è il cosiddetto “servizio e dritto”: cioè servire in modo che l’avversario sia costretto a rispondere dalla parte del dritto di chi ha servito, che a quel punto può concludere agevolmente il punto tirando dalla parte di campo scoperta (il dritto è quasi sempre il colpo che i tennisti giocano meglio e con più sicurezza).

Un tipo di servizio frequente sulla seconda invece è quello in kick, che prevede di colpire la palla sempre di taglio, ma dandole un effetto in “topspin”, cioè “pettinandola” verso l’alto: quello che si vuole ottenere non è un punto diretto, ma evitare che l’avversario possa attaccare agevolmente. Il servizio in kick produce un rimbalzo più alto e repentino, difficile da gestire. Quando si usa molto kick i telecronisti dicono spesso che un tennista “ha giocato una palla molto carica”. Quando c’è molto effetto invece si parla di “servizio molto lavorato”.

Molti telecronisti durante le partite ricordano periodicamente la “percentuale di prime palle in campo”, cioè quante volte nei suoi turni di battuta un giocatore è riuscito a servire una prima senza sbagliare: è un dato molto importante perché statisticamente più prime si servono e più punti si fanno. Allo stesso modo si guarda spesso quanti punti si son fatti con la seconda, che solitamente è il colpo su cui gli avversari possono costruire le proprie chance di fare un break.

Tanto è importante il servizio quanto lo è, di conseguenza, la risposta: i giocatori che riescono a rispondere bene sui turni di servizio dell’avversario sono quelli che riescono a realizzare più break, imprescindibili per vincere le partite. Se nel circuito ci sono diversi ottimi battitori, sono assai meno i giocatori in grado di rispondere in modo eccezionale: non è un caso che gli attuali primi quattro tennisti del ranking mondiale (Djokovic, Alcaraz, Medvedev e Sinner) siano anche i quattro migliori “risponditori” del circuito.

Anche sulla risposta si citano molte statistiche e si è costruito un gergo tecnico e metaforico specifico. Una risposta per esempio è tanto migliore quanto più è “profonda”, cioè quanto più vicino rimbalza alla linea di fondo campo. Dato che chi serve lo fa coi piedi sulla riga di fondo, si può sentir dire ai telecronisti che un certo tennista “gli ha risposto sui piedi”. Quando si gioca contro dei grandi “risponditori” diventa fondamentale il cosiddetto “colpo in uscita dal servizio”, cioè il secondo colpo che gioca in un punto il tennista che ha servito.

Viceversa si parla di risposta “corta” per descriverne una venuta male, che nella maggior parte dei casi consentirà all’avversario di fare punto. Un altro concetto che si sente ripetere spesso è appunto quello dei “piedi dentro al campo”. Più si è lontani dalla riga di fondo, meno si può colpire la pallina angolata (per ragioni fisiche), mentre più ci si addentra nel campo e ci si avvicina alla rete e più si può angolare un colpo e rendere più difficile per l’avversario arrivare sulla palla: colpire con i piedi dentro al campo quindi è solitamente un bel vantaggio.

Di solito ci si guadagna la possibilità di farlo colpendo molti colpi profondi, che costringono l’avversario ad allontanarsi dalla riga di fondo e quindi tendenzialmente a giocare colpi più corti. Nella partita tra Sinner e Rune che citavamo all’inizio, Bertolucci si era stupito del fatto che Sinner fosse riuscito a fare punto nonostante Rune avesse già i piedi dentro al campo, dopo aver giocato un colpo molto profondo: Sinner però era riuscito a giocare un colpo altrettanto profondo, cogliendo Rune alla sprovvista proprio mentre “era pronto a entrare”, cioè ad avvicinarsi alla rete, o in gergo “scendere a rete”.

Il gioco a rete
Colpire la palla mentre si è vicino alla rete significa poterla angolare di più, o poterla giocare più corta mentre l’avversario è distante. Chi sa farlo bene riesce a raccogliere diversi punti in questo modo. È una parte del gioco che ha tutto un suo dizionario: si chiama volée il normale colpo al volodemi-volée quello vicino alla rete ma in controbalzo, smash il colpo al volo potente con cui si “schiaccia” verso terra una palla molto alta. Una volée che riesce fermare un colpo molto potente viene anche detta stop volley, in inglese senza un apparente motivo. Il colpo di chi è a fondo campo e riesce a fare punto evitando l’avversario a rete si chiama invece “passante”.

Un tempo molti tennisti basavano il proprio gioco su una strategia chiamata serve and volley, cioè “servizio e colpo al volo”, che prevede di servire e immediatamente precipitarsi a rete per intercettare al volo un’eventuale risposta dell’avversario, chiudendo subito il punto: oggi sono pochissimi i tennisti da serve and volley, per via di come si sono evoluti il gioco, le racchette e le superfici, e si usa questa strategia principalmente come variazione estemporanea.

Quando qualcuno prova ad avanzare nel campo per “prendere la rete”, come si sente dire spesso, può capitare che un colpo profondo costringa il tennista ad arretrare: in questi casi si sente dire che il giocatore “è stato ricacciato indietro” o metafore simili. Per il gioco a rete è fondamentale il tempismo, perché se lo si fa in ritardo ci si espone ai passanti: in questi casi si dice che un tennista “è sceso a rete in ritardo” o, quando rimane in mezzo al campo, che è “rimasto nella terra di nessuno”.

Altri colpi e metafore da sapere
Nel tennis di oggi si gioca molto meno a rete rispetto a un po’ di tempo fa: la maggior parte degli scambi si fa da fondo campo, e ci sono più tennisti specializzati in colpi potenti da fondo che non in colpi al volo. Gli scambi da fondo però a volte possono diventare lunghi e molto stancanti, per questo i tennisti cercano spesso modi di “accorciare lo scambio” o “uscire dallo scambio”, come dicono i commentatori.

Uno è appunto quello di scendere a rete e colpire al volo, un altro è la “palla corta”, espressione con cui non si intende solo un colpo meno profondo, ma proprio una smorzata, cioè un colpo a effetto che si ferma o cambia direzione dopo il rimbalzo. Lo si sente chiamare anche in inglese, drop shot, sia di dritto che di rovescio. È un colpo che costringe l’avversario a correre in avanti per colpire la palla, ma se non è ben giocato rischia di diventare un problema per chi lo fa: come detto, infatti, è più semplice fare punto con i “piedi dentro al campo”.

A differenza della “palla corta”, la “smorzata” può anche essere lunga, e si può giocare anche in risposta al servizio: quella più frequente è la cosiddetta “risposta in back”, cioè con una smorzata di rovescio. Back viene da back-spin, cioè “giro all’indietro”, e indica un colpo con un effetto che tende a far rimbalzare la pallina all’indietro, verso chi l’ha colpita. Il suo opposto è il topspin, l’effetto che fa girare la pallina rapidamente in direzione opposta e la fa schizzare in avanti e in alto dopo il rimbalzo. I colpi in topspin hanno una traiettoria ad arco, che si alza e poi si abbassa: sono i più usati da fondo campo perché permettono di dare grande velocità alla pallina risolvendo allo stesso tempo il primo problema di ogni tennista, cioè scavalcare la rete.

Le smorzate si possono usare anche per “rallentare il gioco”, come si dice, perché impiegano più tempo a toccare terra di un colpo piatto e spesso rendono più difficile per l’avversario colpire in modo aggressivo. Il rimbalzo delle smorzate infatti è più basso e la priorità di chi colpisce è cercare di superare la rete: quando un tennista riesce a colpire una smorzata che rimbalza particolarmente bassa i telecronisti usano metafore come “l’ha tirata su da sotto al tappeto”.

Il rallentamento del gioco, che viene anche chiamato “cambio di ritmo”, può servire a chi lo fa per riorganizzarsi e preparare un colpo più potente: i tennisti particolarmente forti con il dritto per esempio lo fanno per avere il tempo di spostarsi sul loro colpo migliore, in gergo si dice “girare intorno alla pallina”. Come fa qui Roger Federer:

Il dritto dall’interno verso l’esterno si chiama anche “a sventaglio”, mentre il rovescio dall’interno verso l’esterno si chiama più spesso “anomalo” o “inside-out, dentro-fuori”. I colpi incrociati vengono anche chiamati in inglese cross di dritto o cross di rovescio.

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