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  • Venerdì 10 novembre 2023

Il ritiro di Joe Manchin dalle elezioni per il Senato è un problema per Joe Biden

Il politico più conservatore dei Democratici statunitensi è da tempo un grattacapo per il partito del presidente: ora lo sarà ancora di più

Il senatore Joe Manchin, nei corridoi del Congresso (AP Photo/J. Scott Applewhite, File)
Il senatore Joe Manchin, nei corridoi del Congresso (AP Photo/J. Scott Applewhite, File)

Il senatore Democratico conservatore Joe Manchin è stato considerato per anni il politico più potente del Congresso degli Stati Uniti: le sue posizioni “centriste” lo hanno reso decisivo nei pochi accordi che i Democratici hanno fatto con i Repubblicani negli ultimi anni, ma hanno anche bloccato le riforme più ambiziose proposte dal governo del presidente Joe Biden. Il grande equilibrio in Senato, che per i primi due anni della presidenza Biden era perfettamente diviso a metà (50 Democratici, 50 Repubblicani, voto eventuale di spareggio della vicepresidente Kamala Harris), ha concesso a Manchin un sostanziale potere di veto.

Manchin ha annunciato giovedì sera che non si candiderà per una rielezione in Senato nel 2024: nonostante sia stato spesso vissuto come un “problema” all’interno del suo partito, la notizia rischia di essere particolarmente negativa per i Democratici.

Manchin è uno dei due senatori del West Virginia, stato in cui negli ultimi dieci anni i Repubblicani hanno vinto con una certa facilità. Nonostante la sua riconferma contro un candidato Repubblicano fosse ritenuta complessa, Manchin era anche considerato l’unico Democratico ad avere una qualche possibilità di ottenere un seggio, proprio per le sue posizioni comunque molto conservatrici. Perdendo il West Virginia, il partito di Biden avrà ancora più difficoltà a mantenere la risicata maggioranza di cui oggi dispone in Senato (51-49).

Non è tutto: nel discorso in cui ha annunciato la decisione di non candidarsi, Manchin ha detto di voler girare l’America per verificare se esista «un interesse nel creare un movimento» per unire gli americani di centro che non si vedono rappresentati dalla progressiva radicalizzazione dei due partiti principali. La dichiarazione volutamente ambigua lascia aperta la possibilità di una candidatura alla presidenza nel 2024 per un terzo partito.

Per come funziona il sistema elettorale americano, anche un numero ristretto di voti per Manchin potrebbe risultare decisivo nelle elezioni che vedranno probabilmente opposti Joe Biden e Donald Trump, soprattutto negli stati considerati “in bilico”: Manchin potrebbe togliere voti soprattutto ai Democratici.

Joe Biden prende la penna da Joe Manchin nell’aprile del 2022 (AP Photo/Susan Walsh)

Manchin ha 76 anni, fu eletto la prima volta al Senato nel 2010, dopo sei anni da governatore del West Virginia. Nelle ultime elezioni per rinnovare il Congresso, nel 2018, riuscì a imporsi con meno di ventimila voti di vantaggio. La sua importanza in quella vittoria si vide due anni dopo, quando si votò per le presidenziali: in West Virginia, Trump vinse con 38 punti percentuali di vantaggio su Joe Biden.

Il West Virginia è uno degli stati più poveri degli Stati Uniti, oltre che uno dei più omogenei dal punto di vista etnico: ci vivono quasi solo bianchi, poco istruiti e spesso in difficoltà economica per via della progressiva chiusura delle molte miniere di carbone presenti sul territorio. Mentre quarant’anni fa i Democratici controllavano tutte le istituzioni statali, oggi il West Virginia vota in massa per i Repubblicani: è una tendenza comune a tutti gli stati “rurali” degli Stati Uniti, mentre i Democratici ottengono ampie maggioranze nelle grandi città e nei loro sobborghi.

In Senato Manchin è stato a lungo l’ultimo esponente di una vecchia scuola politica americana che riteneva che le principali riforme andassero concordate fra i membri di entrambi i partiti.

Per i Democratici moderati è stato un punto di riferimento, ma per la gran parte del partito, soprattutto dopo il recente spostamento a sinistra dei Democratici e il contemporaneo spostamento a destra dei Repubblicani, Manchin è una specie di “relitto” di un’epoca che non c’è più, durante la quale le differenze tra partiti erano risibili e un compromesso quasi sempre a portata di mano.

Joe Manchin durante una conferenza stampa in Senato (AP Photo/Mariam Zuhaib, File)

Le sue posizioni politiche su alcuni temi centrali lo hanno reso nel tempo poco compatibile con la leadership Democratica: è contrario all’interruzione volontaria di gravidanza, a favore del mantenimento degli investimenti nei combustibili fossili, contrario all’equiparazione del matrimonio gay a quello fra eterosessuali e a severe restrizioni sull’acquisto e l’uso di armi da fuoco. È stato quasi sempre uno dei più difficili da convincere quando si trattava di riforme particolarmente progressiste, cosa che gli ha permesso di negoziare in cambio misure specifiche per il suo stato che ha ampiamente rivendicato nel suo messaggio di giovedì.

Il fatto che avesse sostanzialmente una sorta di “ultima parola” e diritto di veto ha però anche legato il suo nome alle principali riforme dell’amministrazione Biden, dal più grande investimento della storia americana in iniziative per combattere il riscaldamento globale, alla legge condivisa coi Repubblicani sul controllo delle armi (per quanto limitata, la prima in 28 anni), agli investimenti nel settore dei microchip e della ricerca.

Con il ritiro di Manchin, il West Virginia eleggerà quasi sicuramente un secondo senatore Repubblicano (l’altra è dal 2015 Shelley Moore Capito), e il governatore Jim Justice è il favorito delle primarie del partito.

Le prossime elezioni per il Senato, che si terranno insieme a quelle presidenziali, prevedono il rinnovo di 33 seggi: 23 di quelli da assegnare sono oggi occupati da un Democratico, 10 da un Repubblicano. In Montana e Ohio i senatori uscenti Jon Tester e Sherrod Brown, Democratici, cercheranno una complessa rielezione in due stati in cui la maggioranza Repubblicana è piuttosto consolidata. Le conferme dei Democratici in un altro gruppo di 3-4 stati non sono scontate, ma più probabili, mentre per difendere la maggioranza in Senato il partito di Biden dovrà probabilmente vincere in Florida e Texas, i due seggi attualmente Repubblicani più contendibili.

Un attivista per il clima rappresenta così il potere di Manchin (AP Photo/J. Scott Applewhite)

Ma Manchin può diventare un problema per Biden anche alle prossime elezioni presidenziali, soprattutto se dovesse diventare il candidato per il partito centrista “No Labels”, che si ripropone di eliminare l’eccessiva polarizzazione della politica americana e che da mesi ha annunciato l’intenzione di voler presentare un proprio candidato per le elezioni del 2024.

Finora si era ritenuto che il movimento avrebbe scelto una coppia formata da un candidato presidente ex Repubblicano e un vicepresidente ex Democratico: questo scenario era meno preoccupante per Biden, mentre se il candidato presidente fosse uno storico appartenente al suo partito come Manchin il rischio di perdere importanti voti moderati in un’elezione che si preannuncia molto combattuta sarebbe molto alto.

– Leggi anche: Il nuovo partito centrista che fa discutere la politica statunitense

No Labels ha detto che annuncerà solo nei primi mesi del 2024 il nome del suo possibile candidato: il partito ha detto di voler valutare i sondaggi in almeno 27 stati e solo a condizione che esista una qualche possibilità di vittoria.

La diffusa impopolarità di Biden e Trump sembra poter favorire le candidature alternative. Hanno invece già annunciato la loro campagna da indipendenti il professore e filosofo afroamericano Cornel West, l’ex candidato alla primarie democratiche Robert Kennedy Jr., complottista e no vax, e Jill Stein, esponente del partito dei Verdi che fu già candidata nel 2016, quando fu accusata da parte dell’area progressista di aver danneggiato con la sua candidatura quella di Hillary Clinton.

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