Israele non ha un piano per il dopo
È certo che voglia distruggere Hamas, ma non è chiaro se abbia capito come gestire la Striscia di Gaza una volta finita la guerra
È trascorso più di un mese dall’inizio della guerra nella Striscia di Gaza e la leadership israeliana, militare e politica, non è ancora riuscita a definire chiaramente gli obiettivi di lungo termine del conflitto. Il governo e l’esercito di Israele dicono chiaramente che il loro obiettivo immediato è distruggere Hamas, il gruppo radicale che ha compiuto il massacro di civili israeliani del 7 ottobre, ma non hanno ancora davvero spiegato che cosa succederà dopo che Hamas sarà sradicata dalla Striscia, sempre che sia possibile farlo.
Questa incertezza potrebbe essere intenzionale, e Israele potrebbe evitare di divulgare pubblicamente i propri piani per la Striscia di Gaza, ma numerose indiscrezioni pubblicate sui media in queste settimane, oltre che le contraddizioni nelle dichiarazioni pubbliche di politici e militari israeliani, fanno capire piuttosto che, al momento, questo piano non ci sia.
Si è tornati a parlare dei piani di lungo termine per la Striscia di Gaza in questi giorni, dopo che il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha detto in un’intervista alla TV americana ABC che «Israele avrà la responsabilità complessiva della sicurezza [nella Striscia di Gaza] per un periodo indefinito, perché abbiamo visto cosa succede quando non l’abbiamo». Questa dichiarazione di Netanyahu ha fatto pensare che Israele, dopo la guerra, intenda occupare militarmente la Striscia di Gaza come ha fatto tra il 1967 e il 2005, fino al ritiro unilaterale delle forze israeliane dalla zona.
Il problema è che le dichiarazioni di Netanyahu smentiscono piuttosto nettamente altri membri del suo stesso governo, che nelle scorse settimane avevano escluso la possibilità di un’occupazione. Per esempio il ministro della Difesa Yoav Gallant di recente aveva detto che, dopo la guerra, Israele intende porre fine a ogni coinvolgimento e a ogni responsabilità sulla vita nella Striscia di Gaza: l’esatto contrario di un’occupazione. Anche il ministro degli Esteri Eli Cohen ha detto al Wall Street Journal: «Non vogliamo governare Gaza. Non vogliamo gestire le loro vite».
La possibilità che Israele possa occupare militarmente la Striscia è contrastata anche dall’amministrazione americana di Joe Biden: la settimana scorsa il segretario di Stato americano Antony Blinken aveva detto che «Israele non può riassumere il controllo e la responsabilità su Gaza […]. Israele ha fatto capire chiaramente che non ha intenzione o desiderio di farlo». E dopo l’intervista di Netanyahu John Kirby, il portavoce del Consiglio di Sicurezza nazionale della Casa Bianca, ha detto in maniera molto netta che «una rioccupazione di Gaza da parte delle forze israeliane non è la cosa giusta da fare».
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Dopo queste pesanti critiche il governo israeliano ha parzialmente ritrattato le parole di Netanyahu: Mark Regev, un consigliere del primo ministro, ha detto che dopo la guerra «ci dovrà essere una presenza di sicurezza, ma questo non significa che Israele rioccuperà Gaza, non significa che Israele governerà la popolazione di Gaza». Regev ha parlato poi di «nuove strutture» e di un’impostazione di sicurezza «fluida» e «flessibile».
Nessuno sa davvero come potrebbe funzionare questa struttura fluida e flessibile. In parte perché la guerra è ancora in corso, e molte delle condizioni che Israele si troverà davanti alla fine del conflitto devono ancora essere definite. In parte perché la questione di come gestire la Striscia di Gaza dopo la guerra è così complessa che, al momento, il governo israeliano sembra averla messa da parte per dedicarsi all’azione militare.
Del fatto che Israele abbia cominciato la guerra contro Hamas senza avere un piano sul lungo periodo si parla già da tempo. Qualche settimana fa, prima che cominciasse l’invasione di terra della Striscia ma quando già i bombardamenti erano in corso, il Financial Times pubblicò un articolo piuttosto movimentato in cui erano citati funzionari governativi statunitensi che avevano partecipato a riunioni con la leadership israeliana, e uno di questi commentava: «Non c’è un piano per il “day after”. Il sistema [israeliano] non ha ancora deciso. Quando hanno scoperto che non c’era un piano, gli americani sono impazziti».
Le opzioni a disposizione di Israele, secondo gli analisti, sono tutte estremamente costose sia in termini di risorse sia in termini di rischi per i militari e i civili israeliani. Soprattutto, rischiano di aumentare le sofferenze e l’oppressione della popolazione palestinese, e alimentare nuove forme di violenza.
Anthony King, un professore dell’Università di Exter nel Regno Unito, ha stimato che occupare militarmente la Striscia di Gaza richiederebbe l’impiego continuo di almeno 40 mila soldati israeliani: è un numero elevatissimo che Israele al momento non si può permettere, soprattutto in un momento in cui l’esercito israeliano deve rispondere ad altre possibili minacce nella regione.
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Inoltre, secondo il diritto internazionale, un’occupazione militare della Striscia renderebbe Israele responsabile non soltanto delle questioni di sicurezza all’interno della Striscia, ma anche delle condizioni di vita della popolazione civile. Secondo la quarta Convenzione di Ginevra le «potenze occupanti» devono garantire alla popolazione civile cibo, cure mediche e tutte le altre necessità indispensabili. Significa, di fatto, che Israele non potrà limitare la sua responsabilità soltanto agli aspetti militari e di sicurezza in caso di un’eventuale occupazione.
C’è molta incertezza anche su altre possibili soluzioni che non comportino un’occupazione militare. Israele potrebbe per esempio accordarsi con uno degli stati arabi della regione o con l’Autorità palestinese, che governa parte della Cisgiordania, per cedere o condividere le responsabilità politiche della gestione della Striscia. Ma questo sembra improbabile: i paesi arabi non hanno intenzione di assumersi l’incombenza politica di gestire la Striscia di Gaza, e l’Autorità palestinese, debole e screditata, non ne ha i mezzi.
La cosa più probabile è che al momento i negoziati e le discussioni su cosa fare siano ancora in corso, anche se è molto chiaro che trovare una soluzione accettabile sia estremamente complicato, se non impossibile: «Stiamo avendo discussioni continue con i nostri colleghi israeliani su come sarà Gaza dopo la guerra», ha detto lo statunitense John Kirby.