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  • Martedì 24 ottobre 2023

L’altra volta in cui le donne scioperarono in Islanda 

Il 24 ottobre del 1975 chiusero scuole, negozi, tipografie e si fermarono gli aerei, e i padri si portarono i figli al lavoro

Un'immagine dello sciopero delle donne islandesi nel 1975, dal sito del governo dell'Islanda
Un'immagine dello sciopero delle donne islandesi nel 1975, dal sito del governo dell'Islanda
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Il 24 ottobre del 1975 circa 25mila donne manifestarono a Reykjavik, la capitale dell’Islanda, durante uno sciopero generale delle donne organizzato per chiedere riforme strutturali sulla parità di genere. Quello sciopero, noto come Kvennafrídagurinn, “il giorno libero delle donne”, è considerato un momento fondamentale per i progressi fatti dall’Islanda sulla parità di genere, ed è tornato a essere ricordato ora che è stato indetto per martedì un nuovo sciopero delle donne in Islanda, contro il divario di retribuzione tra uomini e donne.

Il Kvennafrídagurinn, del 1975, fu l’ultimo sciopero generale delle donne durato un giorno intero in Islanda. Vide un’adesione trasversale di donne provenienti da vari contesti sociali ed economici: circa il 90 per cento di tutte le abitanti nel paese smise di lavorare e di svolgere il proprio lavoro domestico e di cura in ambito familiare. Le conseguenze furono immediate, e in diversi ambiti: chiusero scuole, in cui la maggior parte delle insegnanti erano donne, teatri, imprese e negozi gestiti da donne o con impiegate donne. Non uscirono i giornali perché nelle tipografie che li stampavano lavoravano soprattutto donne, e la compagnia aerea nazionale cancellò i propri voli previsti per quel giorno, perché la maggior parte delle assistenti di volo erano donne. Le banche restarono aperte, ma i dirigenti dovettero svolgere anche le le mansioni di impiegati agli sportelli, spesso svolte da impiegate donne.

Le conseguenze furono immediate anche nel lavoro di cura: con le scuole chiuse e le donne in sciopero, molti padri dovettero portare i propri figli con sé al lavoro. Il racconto di quella giornata, definita un «battesimo del fuoco» per i padri islandesi, è fatto di aneddoti molto concreti ed esemplificativi: uomini che accumulavano caramelle e matite colorate per intrattenere i gruppi di bambini sul posto di lavoro, supermercati che in pochissimo tempo esaurirono le salsicce, veloci e semplici da cucinare per uomini non abituati a preparare la cena ai propri figli.

Nel frattempo nella piazza principale di Reykjavik si tenne la manifestazione di protesta: 25mila partecipanti fu un numero significativo per un paese che all’epoca, in totale, non arrivava a 220mila abitanti in totale (oggi ne ha oltre 370mila). Alla manifestazione vennero intonati slogan e organizzati comizi: parteciparono casalinghe, lavoratrici, parlamentari e rappresentanti di movimenti per i diritti delle donne e la parità di genere. 

Lo sciopero del 1975 era stato inizialmente proposto da esponenti del Redstockings, un movimento femminista radicale nato su ispirazione dell’omonimo movimento fondato a New York nel 1969. In Islanda il movimento Redstockings aveva guidato lotte per i diritti lavorativi e riproduttivi delle donne, per la salute e l’educazione sessuale, il diritto all’aborto e la parità salariale, tra le altre cose. Il movimento si collocava a sinistra rispetto ad altri movimenti e associazioni che si occupavano di diritti delle donne, sia per il tipo di pratiche che per la sua composizione, con molte adesioni di socialiste e comuniste.

In Islanda il movimento Redstockings aveva proposto uno sciopero generale delle donne già nel 1970, con un appello a cui però non era stato dato seguito. Cinque anni dopo, quando le Nazioni Unite dichiararono il 1975 “l’anno internazionale delle donne”, l’idea dello sciopero fu ripresa, con un’adesione molto più estesa e trasversale.

L’organizzazione fu capillare e richiese settimane di lavoro: le organizzatrici formarono un primo comitato, che poi coinvolse progressivamente sindacati e associazioni e ne formò uno nuovo, di circa 50 membri. Furono creati gruppi di lavoro per coordinare la promozione dello sciopero sui media, la raccolta fondi, la diffusione di manifesti e volantini, la produzione di materiali informativi sulla disparità salariale e la svalutazione del lavoro domestico e di cura, la programmazione della giornata e la comunicazione con donne e associazioni che si trovavano fuori dalla capitale.

Dal punto di vista comunicativo lo sciopero del 24 ottobre 1975 fu un successo: le organizzatrici riuscirono ad attirare l’attenzione dei media, delle radio e dei giornali, che in quel periodo produssero contenuti e diffusero storie sulle discriminazioni di genere e la disparità salariale, aggiungendo informazioni e contesto allo sciopero e alle motivazioni di chi lo aveva organizzato. Le ragioni dello sciopero convinsero anche i media conservatori. Styrmir Gunnarsson, che all’epoca co-dirigeva un giornale conservatore, ha detto a BBC: «Non credo di aver mai appoggiato uno sciopero, ma non ho visto questa azione come uno sciopero: era una richiesta di pari diritti… è stato un evento positivo».

Gerdur Steinthorsdottir, una delle organizzatrici dello sciopero, disse a suo tempo che l’obiettivo dello sciopero era dimostrare quanto le donne fossero indispensabili nella vita economica e sociale dell’Islanda (e non solo), e chiedere quindi riforme strutturali in grado di eliminare le molte discriminazioni che dovevano affrontare. Le estesissime adesioni e la risonanza mediatica che ebbe quella manifestazione furono verosimilmente tra i fattori che portarono, l’anno successivo, alla promulgazione alla Legge sulla parità: stabiliva tra le altre cose che donne e uomini dovessero essere pagati allo stesso modo per un lavoro di pari valore. Quattro anni dopo, nel 1980, Vigdís Finnbogadóttir fu eletta come prima presidente islandese, oltre che come prima donna a essere democraticamente eletta come capo di stato in tutto il mondo.

Lo sciopero delle donne islandesi del 24 ottobre 1975 ispirò anche altri scioperi in altri paesi del mondo. Nel 2016 in Polonia venne organizzato il “Lunedì nero”, uno sciopero per il diritto all’aborto a cui aderirono migliaia di donne, e che traeva ispirazione proprio dal “Giorno libero delle donne” del 1975 in Islanda; sempre nel 2016, ma in Argentina, fu organizzata una giornata di sciopero contro il femminicidio e la violenza di genere, anche in questo caso ispirata a quella islandese; scioperi generali delle donne vengono inoltre indetti dal Paro Internacional de Mujeres, lo sciopero internazionale delle donne, movimento che promuove l’organizzazione di scioperi durante l’8 marzo, nella Giornata internazionale della donna.

Oggi l’Islanda è uno dei paesi più vicini al raggiungimento della parità di genere, ma in alcune professioni il divario di retribuzione tra uomini e donne raggiunge ancora il 21 per cento, e più di una donna su tre ha avuto esperienza di violenze di genere nella propria vita. Lo sciopero di martedì riguarda questa e altre questioni, ed è stato indetto anche per chiedere che vengano resi pubblici gli stipendi nei settori dove le lavoratrici sono la maggioranza, come quello assistenziale e quello delle pulizie. Benché in Islanda sia in vigore una legge che impone alle società e alle aziende di certificare che lo stipendio di uomini e donne sia uguale a parità di mansioni lavorative, secondo i dati questi stipendi sarebbero significativamente inferiori a quelli di altri settori comparabili e tra i più bassi nel mercato del lavoro, cosa che contribuirebbe a mantenere le donne in una condizione di subalternità economica rispetto agli uomini.