Spiegare e capire l’asessualità

È più difficile di quanto si pensi e infatti è l'orientamento sessuale di cui si parla meno; e no, non c'entra con la castità o i traumi

Una scena della serie tv "Heartstopper" (2023)
Una scena della serie tv "Heartstopper" (2023)

Nella sigla LGBTQIA+, la A rappresenta le persone asessuali, e cioè coloro che non provano attrazione sessuale per alcun genere. Detto così sembra un concetto abbastanza semplice, ma l’asessualità è in realtà una cosa piuttosto complessa da capire e spiegare, sia per chi non ne ha mai avuto esperienza sia per chi ce l’ha avuta ma per molto tempo non è riuscito a darle un nome. Innanzitutto perché è una cosa che si manifesta nella vita intima delle persone – a volte con disagio e sofferenza – ma non si vede da fuori: molte persone asessuali infatti si prendono cotte, hanno storie d’amore e magari fanno sesso. Secondo perché è un’esperienza che si definisce per sottrazione, e per chi non sa cosa sia l’attrazione sessuale è abbastanza difficile scoprire di non provarla.

Tra chi ha recentemente provato a spiegare l’asessualità in modo divulgativo c’è la giornalista statunitense Angela Chen, che ha scritto un libro uscito negli Stati Uniti nel 2020 con un buon successo e che è da poco stato pubblicato anche in italiano. S’intitola Ace (eis), che è un altro modo più colloquiale per dire appunto “asessuale”. È un libro di cui si è parlato parecchio perché, diversamente da quanto vale per altri orientamenti sessuali diversi dall’eterosessualità (omosessualità e bisessualità), la consapevolezza che esistano persone asessuali ha cominciato a diffondersi molto di recente, e moltissimi ancora non hanno idea di che cosa voglia dire questa parola.

Per scrivere Ace, Chen ha intervistato un centinaio di persone che si definiscono asessuali e che sono arrivate a questa conclusione in modi e con vissuti molto diversi. Per la maggior parte di loro questa consapevolezza è stata il risultato di un percorso di comprensione iniziato perché si sentivano diverse dalla maggior parte delle persone attorno e in alcuni casi escluse da qualcosa che sembrava coinvolgere tutti tranne loro. Chen spiega infatti che sebbene il sesso sia ancora per certi versi un tabù in molti contesti, nella società occidentale la sessualità ha in realtà un ruolo molto più centrale di quanto pensiamo e questo è un grosso problema per le persone asessuali.

È diffusa l’idea che il sesso sia una parte imprescindibile della vita delle persone e che una vita sessuale attiva sia in qualche modo segno di salute, benessere e libertà: questa idea condivisa viene detta “sessualità obbligatoria”, ed è una cosa che in molti casi può far sentire le persone asessuali sbagliate e in difetto anche quando il loro rapporto col proprio orientamento sessuale non gli crea intimamente alcun problema. Basta pensare, per esempio, a tutti i film in cui la perdita della verginità in età adolescenziale viene presentata come un traguardo essenziale e, se viene rimandata dopo i diciotto o i diciannove anni, un problema insormontabile.

Tra le persone asessuali ce ne sono alcune che sono disgustate dal sesso e che non lo farebbero mai, ma ci sono anche molte persone che lo fanno «così come è possibile non aver voglia – senza però provare disgusto – di cibi come i cracker ma comunque mangiarli come parte di un apprezzato rituale sociale». Il paragone con la fame e la gola è uno di quelli che vengono fatti più spesso dalle persone asessuali che vogliono spiegare quello che provano, e in particolare spiegare come mai, pur essendo asessuali, può capitare che facciano sesso o si masturbino.

Le persone asessuali possono infatti provare libido, cioè essere mosse da un bisogno che potremmo paragonare alla fame: sentono di voler mangiare ma non vogliono mangiare qualcosa di specifico, cioè provano libido senza però essere attratti da una persona specifica. Allo stesso tempo le persone allosessuali – che è come vengono definite tutte quelle che non sono asessuali – provano eccitazione sessuale per qualcuno come si può provare gola per un cibo specifico, sia che si abbia fame sia che non la si abbia. Alcune persone asessuali fanno sesso, quindi, per rispondere alla propria libido o perché hanno un relazione romantica con persone allosessuali di cui vogliono soddisfare il desiderio (per propria volontà e non perché costrette).

Essere asessuali non significa che non ci si possa innamorare o che non si possano provare altre forme di attrazione per le persone, per esempio di tipo estetico, intellettuale o romantico. Ci sono persone – sia asessuali che allosessuali – che si definiscono aromantiche, e cioè che non provano attrazione romantica o la provano molto raramente, ma ci sono anche persone asessuali che invece questa attrazione la provano, per uomini, donne o per tutti i generi (eteroromantiche, omoromantiche, panromantiche, eccetera).

Un modo per capire l’assenza di attrazione sessuale è anche fare il percorso al contrario: nel libro di Francesca Anelli Lo spettro dell’asessualità, che è uscito a giugno ed è uno dei pochi italiani su questo tema, l’autrice fa notare come sia «ormai ampiamente accettato che una persona possa provare attrazione sessuale senza sviluppare alcun tipo di attrazione romantica» e infatti «ce lo hanno mostrato innumerevoli film, serie tv, chiacchierate con la nostra compagnia. Perché dovrebbe essere così incredibile, quindi, immaginare il contrario, ovvero di provare attrazione romantica senza attrazione sessuale?».

Distinguere tra varie forme di attrazione, che possono coesistere o essere sperimentate singolarmente, è un esercizio che poche persone sono abituate a fare: la maggior parte non si è probabilmente mai interrogata su quanti e quali tipi di attrazione abbia sperimentato nella propria vita. Il sottotitolo del libro di Chen, Cosa ci rivela l’asessualità sul desiderio, la società e il significato del sesso, fa riferimento proprio a questo: secondo l’autrice capire l’asessualità è uno sforzo utile anche per chi non ne ha mai fatto esperienza, perché permette di rispondere a domande su di sé che culturalmente non siamo portati a farci. Tra i motivi per cui ci ha dedicato un libro, inoltre, c’è il fatto che secondo lei molte persone asessuali non si rendono conto di esserlo neanche quando scoprono la definizione di questa parola, perché per capirla davvero serve «scandagliare più a fondo».

L’asessualità è considerata uno spettro, nel senso che tiene dentro molte variazioni a cui nel tempo sono stati dati nomi diversi come gray-ace (o asessualità grigia, per le persone che provano raramente attrazione sessuale) o demisessualità (per le persone che provano attrazione sessuale solo quando c’è un coinvolgimento emotivo), solo per citarne alcuni. Per questo la definizione più corretta di asessualità sarebbe in realtà: l’orientamento di chi non prova attrazione sessuale per alcun genere o la prova raramente. È una definizione talmente vaga da rendere molto difficile fare una stima della quantità di persone asessuali presenti nella popolazione: i pochi studi che hanno provato a farlo citano percentuali tra l’1 e il 5 per cento, ma che vanno appunto prese con molta cautela.

Come spesso è avvenuto per le comunità di persone che condividono vissuti simili e non convenzionali di identità sessuale e di genere, le persone asessuali hanno cominciato a definirsi, incontrarsi e condividere esperienze con la diffusione di internet nei primi anni Duemila. Negli Stati Uniti nacque prima un gruppo su Yahoo! e poi nel 2001 il forum Asexuality Visibility and Education Network (AVEN), fondato dallo studente David Jay e aperto nel 2005 anche in Italia, che è tuttora attivo. Leggendo e scrivendo su questi forum molti trovarono per la prima volta persone che condividevano le loro stesse esperienze o esperienze simili. Nel 2009 un gruppo di persone asessuali partecipò per la prima volta al Pride di San Francisco e dall’anno dopo fu istituita anche una bandiera dell’orgoglio asessuale, fatta da quattro strisce orizzontali: nera, grigia, bianca e viola.

A livello accademico però di asessualità si cominciò a parlare molto prima: tra gli altri, Alfred Kinsey, ideatore della scala Kinsey della sessualità, trovò nelle sue ricerche persone asessuali, ma decise di non inserirle nel suo modello e le catalogò con una X. In Italia l’asessualità venne descritta nella rivista Fuori! (del Fronte Unitario Omosessuale Rivoluzionario Italiano) nel 1980 come una tendenza nata negli Stati Uniti. Il Gruppo Asessualità di Arcigay Milano sarebbe nato solo nel 2015 e nel 2016 si sarebbe formato il collettivo Carrodibuoi di Firenze, attualmente uno dei più attivi.

La settimana della consapevolezza asessuale è stata istituita nel 2010 e ricorre ogni anno nell’ultima settimana di ottobre, mentre la giornata internazionale dell’asessualità è stata celebrata per la prima volta il 6 aprile del 2021. A livello di rappresentazione, nei prodotti della cultura pop, i personaggi che parlano della propria asessualità sono pochissimi e tutti molto recenti: alcuni di questi sono Todd Chavez, della serie animata BoJack Horseman, Ca$h della serie tv australiana Heartbreak High, O della serie tv britannica Sex Education e Isaac della serie tv (e della graphic novel) Heartstopper, che scopre di esserlo nella seconda stagione uscita quest’anno proprio dopo aver letto il libro di Chen.

Un’obiezione che viene spesso fatta quando si parla di persone asessuali, gray-ace, demisessuali e aromantiche è che l’uso di tutte queste etichette crei confusione e sia fondamentalmente inutile, o che sia solo un capriccio di chi vuole mettersi in mostra o farsi notare. È una tesi che viene sollevata a volte anche all’interno della stessa comunità LGBTQ+, che ha considerato a lungo la libertà sessuale un pilastro delle sue battaglie politiche, e non sempre capisce o condivide quelle della comunità asessuale. Inoltre, la definizione che viene data di asessualità è abbastanza vaga da portare qualcuno a chiedersi se ce ne sia davvero bisogno.

La risposta di chi crede nell’importanza di queste etichette è solitamente che dare dei nomi alle esperienze delle persone, per quanto varie, vaghe e frammentate, serve a fare in modo che vengano riconosciute in una società dove si è a lungo pensato che non esistessero, e che chi le prova possa riconoscercisi e sentirsi meno smarrito e isolato.

Questo discorso torna anche nel caso dell’asessualità. Nello specifico Chen racconta che la sua esperienza di persona asessuale che non rifiuta il sesso in assoluto ma che non prova attrazione sessuale né libido potrebbe essere tranquillamente considerata qualcosa di ordinario che non richiede un’etichetta. I motivi per cui Chen dice di aver scelto di usare per sé l’etichetta di asessuale è che «imparare cos’è l’asessualità mi ha provocato uno choc di riconoscimento che mi sento di dover rispettare» e perché le permette di connettersi «alle persone che mi hanno aiutata a renderla comprensibile».

È una cosa comunque diversa da quello che vivono per esempio le persone omosessuali, bisessuali o trans, la cui identità sessuale ha una forte componente sociale e che spesso sono costrette a scegliere tra fare coming out o nascondersi. Col rischio, quando fanno coming out, di subire discriminazioni e a volte violenze. Dalla consapevolezza di questa differenza è nato anche un dibattito all’interno della comunità LGBTQ+, tra chi pensa che le discriminazioni subite dalle persone asessuali non vadano paragonate a quelle che subiscono persone omosessuali, bisessuali o trans, e chi invece ritiene che per quanto diverse le due battaglie possano essere portate avanti insieme e condivise.

Nel suo libro Francesca Anelli definisce la discriminazione subita dalle persone asessuali – o almeno una parte di questa – «ingiustizia ermeneutica», nel senso di mancanza di «accesso a concetti e informazioni rilevanti per costruire la propria identità, comprendere la propria oppressione e infine ribellarvisi».

Oltre a questo, molte persone asessuali raccontano di aver effettivamente vissuto una forma di oppressione legata al fatto di essere asessuali. Chen scrive che molte persone asessuali con cui ha parlato raccontano di aver provato disagio fin da giovani per il fatto di non essere in grado di «esplorare la sessualità» e di sentirsi totalmente escluse da qualcosa a cui tutti gli altri prendevano parte e cioè appunto un mondo in cui la sessualità è percepita come “obbligatoria”.

Paradossalmente inoltre le persone asessuali non hanno sempre tratto beneficio da alcuni cambiamenti nella società che sono solitamente considerati dei progressi: un effetto della diffusione delle idee femministe per esempio è stato proprio quello di rendere la sessualità femminile e queer più libera e lecita, in alcuni casi facendo passare il messaggio che una mancanza di sessualità fosse necessariamente correlata a una mancanza di autoaffermazione o di libertà, e quindi un sintomo di repressione e un problema da risolvere.

In psicologia l’asessualità è stata distinta solo di recente dal disturbo da desiderio ipoattivo, che è sostanzialmente un calo significativo del desiderio sessuale considerato un sintomo di alcune patologie mentali o conseguenza di un trauma. Nell’ultima, la quinta, edizione del DSM (il Manuale diagnostico e statistico psichiatrico che è la principale fonte per i disturbi psichiatrici ufficialmente riconosciuta in tutto il mondo, compilato dall’associazione degli psichiatri americani) è stato per la prima volta introdotto un accenno all’asessualità: si dice che la mancanza di desiderio sessuale non è da considerarsi un sintomo se dura da tutta la vita e rientra nell’identificazione della persona con l’orientamento asessuale. Allo stesso tempo però ci sono ancora persone asessuali che raccontano di essere state portate a pensare, da medici o psicologi, che la loro mancanza di attrazione sessuale fosse in qualche modo una condizione patologica e da curare.