Le scuole di partito stanno tornando

Ma sono assai diverse da quelle del Novecento, più simili a seminari e workshop: la Lega ne ha una da anni e adesso anche Fratelli d'Italia avvierà la sua

Una foto di Salvini all'ultima edizione della “Scuola di formazione politica” della Lega (dal gruppo Facebook della scuola)
Una foto di Salvini all'ultima edizione della “Scuola di formazione politica” della Lega (dal gruppo Facebook della scuola)

Quasi tutti i partiti italiani, da quelli con maggiori consensi a quelli più piccoli, stanno riprendendo a investire sull’organizzazione di corsi di formazione politica, dopo molti anni in cui le iniziative di questo genere erano state rare e nella maggior parte dei casi estemporanee. Questi progetti solitamente vengono chiamati scuole di politica senza riferimenti alla parola “partito”, e quasi sempre dichiarano pubblicamente obiettivi ambiziosi come «formare la prossima classe dirigente del partito» o «trasmettere la nostra visione del mondo»: per come sono organizzate, però, sembra difficile che possano realmente aspirare a questi risultati.

Sui media vengono spesso presentate come le eredi delle scuole di partito del Novecento, anche per non confonderle con le molte scuole di politica proposte da organizzazioni che non hanno niente a che fare con i partiti in parlamento. In realtà questi nuovi corsi hanno pochissimo in comune con le vecchie scuole di partito, e a seconda dei casi sarebbe più giusto descriverli piuttosto come workshop, cicli di conferenze, seminari o al massimo master non universitari, per quelli più strutturati.

Fratelli d’Italia, attualmente il primo partito del paese per consensi, ha in programma di avviare una sua scuola di politica tra dicembre di quest’anno e i primi due mesi del 2024. Il Partito Democratico ha fatto sapere che farà lo stesso nei prossimi mesi. La Lega da una decina d’anni organizza la scuola con la tradizione più consolidata tra quelle associate a un partito, che ha prodotto anche diversi amministratori locali. Forza Italia ha inaugurato pochi giorni fa un nuovo progetto, e di recente lo hanno fatto anche altri partiti come Azione, +Europa e i Verdi. Il Movimento 5 Stelle ha organizzato l’anno scorso un primo ciclo di dieci lezioni, a cui si stanno aggiungendo quest’anno alcuni corsi regionali. Matteo Renzi invece organizza corsi di politica già da anni: ci aveva provato con il PD con scarso successo mentre era segretario, e ora lo sta facendo con più convinzione in Italia Viva.

Il rinnovato interesse dei partiti verso la formazione politica è insomma piuttosto evidente, e forse è stato stimolato anche dal successo che negli ultimi anni hanno avuto corsi simili organizzati da fondazioni, associazioni e organizzazioni varie non legate ai partiti. L’esempio di riferimento è quello della Scuola di Politiche di Enrico Letta, che fin dalla fondazione nel 2015 ha raccolto un gran numero di candidature e apprezzamenti, soprattutto perché apre la strada a esperienze lavorative. I partiti hanno capito che stavano perdendo un’occasione per propagandare le proprie idee, ma anche più concretamente per raccogliere nuovi iscritti e sostenitori, soprattutto tra i giovani.

Marwa Mahmoud, consigliera comunale a Reggio Emilia e responsabile del PD nazionale per la partecipazione e la formazione, spiega questo interesse partendo dai risultati delle ultime elezioni politiche, in cui «il 40 per cento degli under 35 non si è espresso». Eppure, dice Mahmoud, dai sondaggi emerge che la maggior parte delle persone in quella fascia di età in realtà avrebbe voglia di partecipare attivamente alla politica.

L’altro lato del problema è la rappresentanza. È difficile che i giovani possano sentirsi vicini a una classe dirigente politica italiana mediamente vecchia e percepita come distante. I rappresentanti dei partiti dicono spesso di aver bisogno di rinnovamento, ma al loro interno continuano a esserci spinte verso l’autoconservazione. Alle ultime elezioni politiche i candidati “giovani” per il parlamento erano complessivamente pochissimi: il 15% era under 40, il 3% under 30.

Le persone che hanno partecipato alle scuole di politica raccontano di averlo fatto soprattutto per il cosiddetto networking, cioè per contribuire ad ampliare la propria rete di conoscenze e trovare opportunità lavorative. Altri dicono di averlo fatto perché spinti più semplicemente dalla passione per la politica e dalla vicinanza ideologica con un partito, magari con l’ambizione di entrarci. Altri ancora sono amministratori locali che vogliono imparare cose nuove e conoscere politici nazionali, a volte anche appartenenti ad aree politiche diverse dalla propria.

Nella prima metà del Novecento le scuole di partito nacquero con l’intento di creare un meccanismo continuo di ricambio generazionale all’interno dei partiti. Erano molto diverse da quelle attuali. Anzitutto erano scuole a tutti gli effetti, e in molti casi si rivolgevano anche a giovani in età scolare. La più famosa e ricordata è senz’altro la scuola di Frattocchie del Partito Comunista, che nella seconda metà del Novecento era un passaggio obbligato per tutti quelli che sarebbero diventati i più importanti dirigenti del partito. L’obiettivo esplicito era infatti formare i nuovi quadri, cioè i dirigenti territoriali che avevano il compito cruciale di fare da raccordo tra la base e il vertice. La scuola era frequentata da militanti di ogni genere, dai ragazzi più giovani a operai e contadini. Aveva sedi in tutta Italia, ma fu chiamata così dal nome della località vicino a Roma in cui si trovava la sua sede più grande e nota.

– Ascolta anche: Cosa è stata la scuola di Frattocchie

I corsi della scuola di Frattocchie duravano 6 mesi o un anno, e oltre alla frequenza giornaliera di lezioni e altre attività prevedevano che i ragazzi vivessero insieme per tutta la durata dei corsi. Era una scuola totalizzante, rigidissima, che oltre alla preparazione didattica aveva un esplicito intento pedagogico: bisognava dimostrare di avere grande capacità di autocritica, di saper lavorare sui propri difetti, di sapersi inserire bene in un gruppo. Le personalità più esuberanti venivano limitate, e alla fine dei corsi c’erano severe valutazioni.

Anna Tonelli, professoressa di Storia contemporanea all’università di Urbino e autrice del libro A scuola di politica: il modello comunista di Frattocchie, ne ha parlato nel podcast del Post L’ombelico di un mondo. Secondo Tonelli comunque sulla scuola di Frattocchie «ci sono luci e ombre, aspetti che hanno a che fare con l’idea della cultura di massa e aspetti di ideologizzazione». D’altra parte, ha detto ancora Tonelli, la rigidità con cui fu concepita era parte dell’identità di un partito che si era «formato nella clandestinità» e che aveva «agito nella clandestinità» durante il Fascismo.

Nel Novecento ci furono altri esempi di formazione strutturata, ma mai come quella di Frattocchie. La Democrazia Cristiana si appoggiò a lungo sulla rete delle associazioni cattoliche, che organizzavano percorsi soprattutto per i giovani. La più importante è stata probabilmente l’Azione Cattolica, che esiste ancora, dove si formarono tra gli altri Aldo Moro, Giulio Andreotti e Sergio Mattarella. Negli anni Cinquanta il segretario della DC Amintore Fanfani fondò una scuola di formazione più simile a quella di Frattocchie, chiamandola “Camilluccia” dal nome della via di Roma in cui si trovava.

Con la fine dei partiti della cosiddetta Prima Repubblica, dal 1994 in poi la spinta verso questo genere di formazione si affievolì molto fino agli anni recenti. Oggi i modelli di formazione seguiti dal PCI o dalla DC sarebbero impensabili e anacronistici, e infatti le scuole di politica attuali conservano molto poco di quelle esperienze.

Solo poche scuole dichiarano l’intenzione di formare giovani da inserire eventualmente nel partito. Una è quella della Lega, che è alla sua ottava edizione ed è diretta da Armando Siri, ex senatore e sottosegretario. Siri dice che dalla scuola in questi anni «sono passati tanti nuovi amministratori locali della Lega, compreso qualche sindaco», anche se ammette che «di per sé non permette di fare il politico. Ma è una bella esperienza di comunità da cui si può iniziare».

La scuola della Lega si svolge in tre fine settimana durante tutto l’anno, per un totale di 6 giorni di lezioni. Sono previsti tre anni di corsi. Nel primo si fanno lezioni perlopiù frontali, nel secondo e nel terzo anche lezioni più pratiche: per esempio su come si organizza una campagna elettorale, su come si parla in pubblico, o su come fare un bilancio.

Anche la scuola di Azione, nata quest’anno e intitolata all’antifascista Carlo Rosselli, dichiara esplicitamente di organizzare i corsi anche per trovare nuove leve. È stata suddivisa in una serie di incontri online a maggio, con circa 3mila iscritti, e un evento di tre giorni in autunno riservato a chi ha meno di 30 anni (la data non è stata ancora fissata). Francesca Scarpato, responsabile dell’organizzazione nazionale di Azione, dice che il partito vuole «far crescere una nuova classe dirigente. Chiederemo a ogni partecipante un elaborato finale anche per capire chi sono i più bravi» e potenzialmente adatti a entrare da subito in Azione. L’ambizione di Carlo Calenda, il leader del partito, è «avere nuovi giovani da inserire nei comitati direttivi», cioè le sedi locali di Azione.

Dalle scuole i partiti tendenzialmente non guadagnano, sono quasi sempre gratuite o chiedono il versamento di una piccola quota. Quella della Lega, di 250 euro, è la più alta. Altre sono di poche decine di euro.

Secondo Fabio Rampelli, deputato e responsabile dell’organizzazione della scuola di Fratelli d’Italia, avere «una quota di adesione anche minima» può avere senso per garantire che chi si iscrive sia davvero convinto e coinvolto. Finora Fratelli d’Italia non aveva mai avuto una scuola, ma le cosiddette “fondazioni d’area” legate al partito, come la Fondazione Alleanza Nazionale, avevano organizzato alcuni corsi rivolti ai militanti più giovani. Di recente alcune sezioni locali hanno inaugurato corsi rivolti soprattutto alla formazione degli amministratori locali già in carica di FdI.

Dopo alcuni tentativi andati male, anche Forza Italia quest’anno ha promosso una propria scuola di politica a Torregrotta, in Sicilia, ma più che una scuola è una giornata con 10 ore di incontri in un hotel. A marzo del 2022 Silvio Berlusconi, morto lo scorso giugno, aveva avviato un progetto chiamato Universitas Libertatis (università della libertà) in collaborazione con Stefano Bandecchi, proprietario di Unicusano e sindaco di Terni. Non è chiaro cosa sia stato del progetto dopo la morte di Berlusconi.

Uno dei partiti più attivi sui corsi di formazione politica è stato Italia Viva di Matteo Renzi, che ne ha organizzati fin dalla sua nascita nel 2019. Il corso si chiama “Meritare l’Europa”, e quello del 2023 si è tenuto dal 5 al 7 settembre a Palermo. Hanno partecipato 500 persone sotto i 35 anni ed era gratuito. Gli obiettivi però sono un po’ diversi da quelli di altre “scuole”. Raffaella Paita, senatrice di Italia Viva e responsabile del corso di quest’anno, dice piuttosto chiaramente che il partito non cerca nuovi militanti a partire da questi corsi e che «se un giovane vuole entrare in Italia Viva le strade sono altre», anche se certamente può essere un modo per avvicinarsi e capire meglio alcune cose. «Per noi è un modo per capire meglio i giovani, le loro aspettative, ciò che amano e ciò che odiano della politica. Quando usciamo dalla scuola siamo più “ricchi” noi di loro», dice Paita.

Quando era ancora segretario del PD, nel 2017, Renzi avviò il progetto della scuola di formazione politica “Pier Paolo Pasolini”, sotto la direzione dello psicanalista Massimo Recalcati. Era un progetto più strutturato di altri, che prevedeva otto giornate di incontri a Milano distribuite in sei mesi per al massimo 200 giovani con meno di 30 anni, al costo di 200 euro. Fu un progetto contestato (persino nel nome) fin dalla nascita, anche all’interno del partito. Dopo la prima edizione non se ne seppe molto. Non si sa nemmeno quanti siano stati gli effettivi partecipanti. Recalcati la descrisse come «un’opera di civiltà bellissima che purtroppo si è esaurita con la caduta di Renzi».

Il PD è il partito italiano con l’organizzazione più radicata sul territorio, e perciò anche quello per cui probabilmente è più difficile organizzare una scuola mettendo d’accordo tutti. Con la segreteria di Elly Schlein è stata nominata una responsabile alla formazione, Marwa Mahmoud, ed è stato dato mandato alle segreterie territoriali di fare lo stesso. Nei prossimi mesi inizierà un progetto di formazione su cui ancora non si sa molto, ma Mahmoud dice che sarà diviso in due forme: una più rivolta all’esterno, con corsi pensati per avvicinare nuove persone, e un’altra più incentrata sulla formazione e rivolta a chi è già iscritto. A ottobre invece cominceranno corsi territoriali in Toscana, Marche, Piemonte, Puglia ed Emilia-Romagna.

Anche alcuni partiti più piccoli organizzano corsi di vario genere. Lo scorso anno per esempio +Europa ha organizzato un laboratorio sulla parità di genere con tre giornate di lezioni, rivolte a 30 donne e 10 uomini al costo di 50 euro. Per questo autunno sono previsti corsi su temi più generali. In autunno riprenderà anche la scuola Alex Langer dei Verdi, dedicata soprattutto all’ambiente e all’Europa. È la terza edizione dopo quelle del 2020 e 2021. Anche Possibile, il piccolo partito di sinistra fondato da Pippo Civati, organizza una scuola con lezioni di due giorni (si chiama A ripetizione), che è soprattutto un’occasione per riunire tutti i militanti e provare ad avvicinarne di nuovi.