Rivalutare il brutalismo, oppure no

Da tempo i palazzoni di cemento tipici del movimento architettonico passato di moda negli anni Ottanta sono di nuovo oggetto di attenzioni, apprezzamenti e critiche

La facciata di un palazzo del complesso residenziale Robin Hood Gardens nel quartiere Poplar, a Londra, il 18 novembre 2016 (Jack Taylor/Getty Images)
La facciata di un palazzo del complesso residenziale Robin Hood Gardens nel quartiere Poplar, a Londra, il 18 novembre 2016 (Jack Taylor/Getty Images)
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Il brutalismo, un movimento architettonico emerso negli anni Cinquanta e caratterizzato da un largo uso del cemento a vista e una predilezione per la funzionalità sobria e impersonale degli edifici, è uno degli argomenti delle arti figurative più raccontati e citati dell’ultimo decennio. Passò di moda intorno agli anni Ottanta, quando gli edifici che aveva prodotto cominciarono a essere considerati brutti e associati da molte persone al degrado urbano e ai totalitarismi. Ma in circa tre decenni era riuscito a definire stili e approcci diffusissimi nel mondo e gradualmente tornati al centro di interessi e attenzioni sui media e sui social in anni recenti: ragione per cui si parla con una certa frequenza, anche in Italia, di “ritorno del brutalismo”, o almeno dell’opportunità o meno di rivalutarlo.

trends google brutalismo 2018 2023

La tendenza del termine “brutalismo” nelle ricerche su Google.

Più che da una chiara ed estesa ripresa dello stile nelle tendenze architettoniche contemporanee la crescita di interesse per il brutalismo infatti è attestata principalmente dalla quantità di libri che se ne occupano, usciti negli ultimi dieci anni. Ma anche e soprattutto dalla popolarità che il brutalismo ha acquisito sui social e sulle piattaforme di condivisione di fotografie, attraverso il lavoro di raccolta di persone appassionate e con un seguito molto esteso.

Gli edifici convenzionalmente associati allo stile brutalista sono oggi apprezzati da alcune persone per la precisione geometrica e il rigore estetico, oltre che per la storia che nella maggior parte dei casi ciascuno di essi testimonia. Da altre persone sono invece considerati architetture esteticamente sgradevoli e anonime, simbolo di degrado, abbandono e ghettizzazione sociale, al punto che spesso si discute della possibilità e in alcuni casi necessità di demolirli. Gli edifici sono cioè in parte oggetto dello stesso disprezzo e delle critiche che sancirono la fine del brutalismo all’inizio degli anni Ottanta.

Esempi di architettura brutalista sono presenti più o meno dappertutto nel mondo. Dopo la Seconda guerra mondiale, a fronte della necessità di ricostruzione, emerse infatti in molti paesi un’inclinazione condivisa a superare in modo netto i residui di precedenti tendenze architettoniche e artistiche, tra cui l’Art Nouveau, dominate da approcci molto attenti agli elementi decorativi. A questi approcci il brutalismo contrappose la predilezione per edifici imponenti, geometrici e privi di ornamenti, costruiti utilizzando il cemento in un modo particolare e riconoscibile: lasciandolo visibile sulle superfici, senza aggiungere intonaco né rivestimento di pietre, piastrelle o altro. La parola “brutalismo” – spesso associata al termine francese béton brut, che vuol dire appunto “cemento grezzo” – ha un’origine etimologica incerta, ma non è un riferimento diretto all’estetica dell’architettura.

torre Velasca Milano

La Torre Velasca, uno degli edifici più famosi di Milano, progettato dallo studio BBPR e costruito tra il 1955 e il 1957 nell’omonima piazza Velasca, all’inizio di Corso di Porta Romana, non lontano dal Duomo (ANSA/Daniel Dal Zennaro)

Lasciare il cemento a vista permise di rendere evidenti la forma e le caratteristiche strutturali e funzionali delle costruzioni, tutte perlopiù di un solo colore: il grigio del cemento. E questo stile fu utilizzato principalmente per l’edificazione di uffici pubblici, scuole, chiese e altri palazzi istituzionali, ma anche case popolari, in risposta all’accresciuta domanda di abitazioni. Nei paesi dell’Europa orientale l’impersonalità dello stile brutalista si intrecciò con gli ideali socialisti dominanti in quelle aree fin dal Dopoguerra, e si espresse non soltanto nell’architettura civile ma anche nei monumenti dedicati alla Seconda guerra mondiale disseminati nei territori dell’ex Jugoslavia e conosciuti come “spomenik”. Nel resto del continente, negli Stati Uniti e in Sud America condivise in parte con il preesistente Movimento Moderno il principio secondo cui l’approccio razionalista – studiare la soluzione più semplice possibile a un problema spaziale e pratico – fosse quello in grado di produrre la migliore forma di architettura.

Trellick Tower Londra

La Trellick Tower, progettata dall’architetto ungherese Erno Goldfinger e costruita tra il 1968 e il 1972 nel quartiere Kensal Green, a Londra, il 18 novembre 2016 (Jack Taylor/Getty Images)

Un’altra caratteristica del brutalismo fu il gusto per le costruzioni modulari, fatte di grandi unità giustapposte, a loro volta composte da singoli elementi architettonici identici – piccole finestre, per esempio – ripetuti per ampie parti della superficie dell’edificio. È uno dei principali fattori alla base dell’attuale successo del brutalismo sul piano grafico: quello che ha permesso che le facciate degli edifici diventassero pattern oggetto di apprezzatissime fotografie e copertine dell’ultimo decennio.

Tunisia Hotel du Lac 1976

L’Hotel du Lac, progettato dall’architetto italiano Raffaele Contigiani e costruito tra il 1970 e il 1973 a Tunisi, in Tunisia, il 23 maggio 1976 (AP Photo/Bob Dear)

L’architetto svizzero naturalizzato francese Le Corbusier, tra i più innovativi e influenti del Novecento, è considerato uno dei principali ispiratori dell’estetica brutalista, per esser stato il primo a riconoscere ed esplorare a fondo le potenzialità del cemento armato in architettura. Fu lui a utilizzare la tecnica del cemento a vista, tra le altre cose, per la costruzione delle Unités d’Habitation: la prima, un complesso di 337 appartamenti in grado di ospitare fino 1.600 persone, fu completata nel 1952 a Marsiglia.

Inizialmente considerata un’architettura impersonale e brutta, diventò in pochi anni un riferimento in altri paesi in Europa sia per funzionalità che per estetica. Altre tre Unités furono costruite in Francia, a Rezé, Firminy e Briey, e un’altra a Berlino Ovest, in Germania, chiamata Corbusierhaus.

Corbusierhaus

La facciata della Corbusierhaus, a Berlino Ovest, il 2 novembre 2011 (Jean-Pierre Dalbéra/Wikimedia)

La parola “brutalismo” diventò popolare quando lo storico dell’architettura inglese Reyner Banham ne ricostruì l’origine nel 1966 nel libro The New Brutalism: Ethic or Aesthetic?. Accreditò un’ipotesi secondo cui a utilizzare per primo la parola fosse stato nel 1950 l’architetto svedese Hans Asplund, definendo più o meno sarcasticamente «Neobrutalisti» due suoi colleghi architetti, Bengt Edman e Lennart Holm, responsabili del progetto di una casa costruita in modo molto semplice ma curato a Uppsala, in Svezia (Villa Göth).

L’espressione utilizzata da Asplund fu poi riadattata e messa in circolazione in Inghilterra da un gruppo di giovani urbanisti nella forma New Brutalism. Non fu una differenza soltanto formale: «“Neobrutalista” è un’etichetta stilistica, come Neoclassico o Neogotico», scrisse Banham, mentre nell’espressione diventata popolare in Inghilterra il brutalismo indicava «un’etica, e non un’estetica». Almeno inizialmente, prima che l’associazione con il cemento a vista prendesse piede, la parola descrisse un particolare approccio all’architettura, e cioè il tentativo di costruire edifici semplici e funzionali.

Il Regno Unito fu uno dei paesi in cui lo stile brutalista trovò maggiormente espressione, a cominciare dal complesso residenziale Robin Hood Gardens, progettato alla fine degli anni Sessanta dagli architetti Alison e Peter Smithson e completato nel quartiere Poplar, a Londra, nel 1972. Costruito con lastre di cemento prefabbricate, nel corso degli anni fu oggetto di molte critiche e, più di recente, al centro di un piano di demolizione e ricostruzione.

Nel 2016 l’allora ministro dei trasporti del Regno Unito John Hayes definì i Robin Hood Gardens «esteticamente inutili» e, in riferimento al brutalismo, invocò una «rivolta contro il culto della bruttezza». Nel 2017, prima della demolizione di un’ampia parte del complesso residenziale, una parte dei Robin Hood Gardens fu acquistata dal Victoria & Albert Museum con l’obiettivo di conservare un esempio significativo del movimento brutalista.

Robin Hood Gardens Londra demolizione

La facciata di un palazzo del complesso residenziale Robin Hood Gardens, durante una demolizione del blocco della parte a ovest per far spazio a 1.500 nuovi appartamenti, a Londra, il 18 gennaio 2018 (Chris J Ratcliffe/Getty Images)

Una delle ragioni che resero impopolare l’approccio brutalista a partire dagli anni Ottanta, oltre all’austerità e alla freddezza degli edifici, furono i progressivi segni di usura e i danni provocati dall’acqua e da altri fattori ambientali alle facciate in cemento grezzo. Uno dei più famosi artisti avversi all’uso del cemento grezzo in architettura fu il pittore e scultore spagnolo Salvador Dalì, che definì gli edifici di Le Corbusier «i più brutti e inaccettabili al mondo», e parlò dello stesso Le Corbusier come di «un essere deprecabile che lavorava col cemento armato».

– Leggi anche: 10 cose su Le Corbusier

Trovando anche lui «mostruose» le architetture del brutalismo, il critico inglese Anthony Daniels, noto anche con lo pseudonimo Theodore Dalrymple, sintetizzò nel 2009 uno dei principali limiti del cemento: «Non invecchia con eleganza, ma si sbriciola, si macchia e si decompone». Uno solo degli edifici di Le Corbusier o ispirato allo stile di Le Corbusier, scrisse, è in grado di «rovinare l’armonia di un intero paesaggio urbano» ed è «incompatibile con qualsiasi cosa tranne sé stesso».

Biblioteca Nacional Mariano Moreno Buenos Aires Argentina

La biblioteca nazionale “Mariano Moreno” a Buenos Aires, in Argentina, l’8 luglio 2022 (Gideoraielgave/Wikimedia)

Il brutalismo finì inoltre per essere associato ai problemi emersi durante il suo periodo di massima popolarità: le difficoltà economiche di un’ampia parte della popolazione e il degrado urbano. Molti dei progetti di abitazioni sviluppati nel Dopoguerra per far fronte alla necessità di avere alloggi efficienti e in tempi rapidi implicarono successive necessità di far fronte a problemi di manutenzione e di criminalità nelle zone periferiche in cui gli edifici spesso sorgevano. E il cemento grezzo diventò «la tela perfetta per i graffitari, i cui atti vandalici non fecero altro che contribuire al declino di queste strutture», scrive il sito My Modern Met.

Moltissimi edifici comunemente associati all’architettura brutalista furono demoliti dopo gli anni Ottanta, prima che lo stile ottenesse nuova popolarità in anni recenti. I molti rimasti in piedi sono ancora oggi oggetto delle stesse discussioni di allora: da alcune persone sono considerati un pugno nell’occhio, da altre un pezzo di storia dell’architettura da preservare e un simbolo di resilienza e funzionalità.

municipio di Boston

Il municipio di Boston, progettato dallo studio Kallmann McKinnell & Knowles nel 1968, durante una proiezione della finale del Mondiale maschile di calcio il 9 luglio 2006 (AP Photo/Chitose Suzuki)

Il dibattito su bellezza o bruttezza degli edifici brutalisti tende a riemergere ciclicamente ogni volta che se ne parla, spesso riguardo all’opportunità o meno di investire risorse per la loro ristrutturazione, oppure riguardo alle proposte di demolirli per lasciare spazio a costruzioni di tipo diverso. Lo stesso dibattito, come ha scritto My Modern Met, tende a intrecciarsi in alcuni casi con quello portato avanti da gruppi ambientalisti generalmente inclini a salvare le architetture esistenti, limitando il consumo di risorse necessarie a costruire nuovi edifici.

La curiosità e l’interesse per il brutalismo sono inoltre cresciuti notevolmente attraverso i social media. Secondo la critica inglese Virginia McLeod, curatrice del volume del 2020 Atlas of Brutalist Architecture, l’architettura brutalista ha dato a migliaia di persone l’opportunità di apprezzare e condividere – soprattutto su Instagram – qualità degli edifici come la simmetria e la modularità. Ma non è esattamente chiaro perché il brutalismo sia tornato di moda.

Secondo il giornalista statunitense Brad Dunning, esperto di architettura brutalista, il brutalismo è «la musica techno dell’architettura, spoglia e sinistra», ed è attuale perché pone problemi difficili da risolvere. Per una serie complessa di ragioni, secondo Dunning, gli edifici brutalisti sono sia costosi da mantenere che difficili da distruggere. E non possono essere facilmente rimodellati o modificati, qualità per cui tendono a mantenere le forme in cui erano stati pensati dai loro architetti. «Forse il movimento è tornato di moda perché la stabilità è particolarmente attraente in questo mondo caotico e fatiscente», ha scritto Dunning.