Lee Miller, modella e fotografa di guerra

Fu esponente del surrealismo e fotografò i campi di concentramento e i bombardamenti della Seconda guerra mondiale: parla di lei un nuovo film con Kate Winslet

(U.S. Army, Wikimedia Commons)
(U.S. Army, Wikimedia Commons)
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Quello di Lee Miller è un nome non particolarmente conosciuto per chi non si intende di moda o fotografia, ma nella sua carriera fu una modella, un’esponente del surrealismo in fotografia e soprattutto una fotografa di guerra. Nata negli Stati Uniti, durante la Seconda guerra mondiale Miller fu una delle poche donne a cui venne permesso di documentare il conflitto e una delle prime corrispondenti a visitare i campi di concentramento alla fine dell’Olocausto. Tra le altre cose, fotografò alcuni degli eventi più notevoli della guerra, come il Blitz (cioè il bombardamento aereo della Germania nazista su Londra) e la liberazione di Parigi.

Questa parte della sua vita è stata raccontata in Lee, un film presentato di recente al Toronto International Film Festival (TIFF), in cui il suo ruolo viene interpretato dall’attrice inglese Kate Winslet. Nel film, basato sulla biografia scritta nel 1985 da suo figlio, Antony Penrose, recitano anche Alexander Skarsgård, Marion Cotillard, Andy Samberg e Josh O’Connor. La regia è di Ellen Kuras, che aveva già lavorato con Winslet nel film del 2004 Se mi lasci ti cancello come direttrice della fotografia.

Elizabeth “Lee” Miller nacque a Poughkeepsie, vicino a New York, il 23 aprile del 1907. Suo padre, Theodore, era un fotografo amatoriale, e spesso quando era ragazza la usava come modella, anche per foto da nuda. A sette anni fu stuprata da un amico di famiglia. «Crebbe così sveglia, piena di energia e anarchica che ogni scuola la espelleva», scrisse il Guardian in un articolo di qualche anno fa.

Nel 1925 Miller si trasferì a Parigi per studiare moda e arte, e poi ritornò a New York per dedicarsi anche al teatro e alla pittura. Si dice che nel 1927, a 19 anni, rischiò di essere investita da un’auto a Manhattan, ma venne soccorsa da Condé Nast, l’editore della celebre rivista di moda Vogue: la sua carriera come modella sarebbe cominciata così. Il suo viso fu preso come ispirazione per l’illustrazione della copertina del numero della rivista del 15 marzo del 1927 e per i successivi due anni fu una delle modelle più richieste di New York. Il suo era «il look del momento», scrisse il critico d’arte Richard Calvocoressi; poi diventò «la musa universale dei surrealisti», raccontò la giornalista e scrittrice femminista Angela Carter.

Una foto di Lee Miller scattata da Man Ray attorno al 1930-1931

Una foto di Lee Miller scattata da Man Ray attorno al 1930 (EPA/ Sotheby’s France/ Art digital studio via ANSA)

Nel 1929 Miller ritornò a Parigi, dove si avvicinò al movimento artistico del surrealismo grazie all’artista e fotografo Man Ray, di cui diventò modella, collaboratrice, musa e amante. Iniziò a fotografare anche lei: i due sperimentarono la solarizzazione, un procedimento che grazie a una maggiore esposizione alla luce rispetto alla norma permette di ottenere fotografie in cui le sfumature di bianco e nero sono invertite, creando una sorta di alone. In questo periodo tra le altre cose divenne amica del pittore Pablo Picasso, del poeta Paul Éluard e del drammaturgo Jean Cocteau, che le fece interpretare una statua nel film del 1932 Il sangue di un poeta (Le sang d’un poète), uno dei classici del surrealismo.

Oltre ad autoritratti e a scatti per l’edizione francese di Vogue, Miller produsse fotografie eminentemente surrealiste, come quella che mostra un seno rimosso durante un’operazione chirurgica adagiato su un piatto disposto in tavola. Rientrata negli Stati Uniti, nel 1932 aprì uno studio di fotografia assieme al fratello Erik, e continuò a scattare fotografie anche negli anni successivi, quando si trasferì al Cairo dopo aver sposato l’imprenditore egiziano Aziz Eloui Bey. Tornò però di nuovo a Parigi, dove cominciò una relazione con il pittore e collezionista d’arte inglese Roland Penrose. Si trasferì in Inghilterra con lui poco prima dello scoppio della Seconda guerra mondiale.

 

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A Londra Miller aveva stretto amicizia con la direttrice dell’edizione inglese di Vogue, Audrey Withers, e la convinse a inviarla sul campo come fotogiornalista corrispondente, anche all’estero. Per Vogue Miller pubblicò diversi reportage fotografici, come quelli con i ritratti delle infermiere e dei malati negli ospedali da campo inglesi e francesi. Dal 1942 fu tra le fotografe ufficiali dell’esercito degli Stati Uniti in qualità di corrispondente per la rivista di Condé Nast.

Tra le altre cose Miller documentò il Blitz, cioè il bombardamento nazista contro Londra e altre città della Gran Bretagna cominciato il 7 settembre del 1940 e durato otto mesi, e la liberazione di Parigi da parte degli Alleati nel 1944. Fotografò bambine e bambini morenti negli ospedali di Vienna e i campi di concentramento dismessi di Buchenwald e Dachau, ma anche la vita dopo la fine della guerra in Ungheria. Il 18 aprile del 1945 fotografò la famiglia dell’ufficiale nazista Ernst Kurt Lisso poco dopo il suicidio nella sede del Comune di Lipsia, in Germania. Una delle sue fotografie più celebri di sempre risale proprio ad alcuni giorni dopo.

 

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Una foto scattata da Miller in un ospedale da campo in Normandia nel 1944

In Europa Miller aveva viaggiato e collaborato spesso con David Scherman, il fotografo corrispondente di Life. Il 30 aprile del 1945, il giorno seguente alla liberazione di Dachau, Scherman fotografò Lee nella vasca da bagno dell’appartamento di Adolf Hitler a Monaco. Nessuno dei due sapeva che proprio nelle ore successive Hitler si sarebbe suicidato nel suo bunker a Berlino.

La rivista Art in America scrive che le fotografie di guerra di Miller contribuirono a trasformare Vogue da rivista dedicata alla moda a una pubblicazione in grado di diffondere notizie serie e autorevoli. Dopo la fine della guerra Miller continuò a collaborare con Vogue per un paio d’anni, occupandosi di moda e celebrità. In seguito tuttavia cominciò a soffrire di depressione e di disturbo da stress post-traumatico (PTSD) per via di quello che aveva visto e vissuto: cominciò a bere, e anche se continuò a frequentare il mondo dell’arte smise progressivamente di dedicarsi alla fotografia. Visse nel sud-est dell’Inghilterra assieme a Penrose fino al 21 luglio del 1977, quando morì per un tumore a 70 anni.

Sia secondo la sua famiglia che secondo gli esperti, le persone a lei vicine e gli archivisti avrebbero voluto valorizzare maggiormente il suo lavoro, ma lei rifiutò. «Voleva passare oltre. Voleva dimenticare», ha raccontato sempre ad Art in America Ami Bouhassane, nipote di Miller e co-direttrice del suo archivio fotografico. La storia di Miller rimase perlopiù sconosciuta fino a pochi decenni fa, quando Antony Penrose, il figlio, scoprì il suo vasto repertorio di circa 80mila fotografie nella soffitta della casa di famiglia. Migliaia di fotografie di Miller si possono osservare sul sito del Lee Miller Archives.

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