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  • Martedì 12 settembre 2023

La decolonizzazione nel rugby

Una regola introdotta di recente ha permesso alle isole del Pacifico di riprendersi i giocatori espatriati soprattutto in Nuova Zelanda, con effetti già visibili

di Pietro Cabrio

Simione Kuruvoli dopo la vittoria delle Figi contro l'Inghilterra il 26 agosto a Twickenham (David Rogers/Getty Images)
Simione Kuruvoli dopo la vittoria delle Figi contro l'Inghilterra il 26 agosto a Twickenham (David Rogers/Getty Images)
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Tonga, Samoa e Figi sono tre isole del Pacifico meridionale note soprattutto per il rugby, il loro sport nazionale. Fanno parte di un continente, l’Oceania, che nel tempo si è imposto come riferimento per il rugby globale principalmente grazie ai successi di Australia e Nuova Zelanda. I risultati ottenuti da queste due nazioni, tuttavia, sono stati possibili anche grazie ai tanti giocatori che nel corso dei decenni ci si sono trasferiti dalle isole del Pacifico per le maggiori opportunità offerte, o hanno scelto di giocare lì dopo esserci nati da genitori emigrati.

Tonga, Samoa e Figi sono piccoli stati insulari con mezzi troppo limitati per consentire il pieno sviluppo dei loro giocatori, che sono tanti se confrontati con le rispettive popolazioni. Tonga ha poco più di 100mila abitanti e circa 2.000 praticanti, secondo dati ufficiali del 2021. Alle Samoa sono in circa 218mila con oltre 13mila praticanti, mentre le Isole Figi hanno circa 900mila abitanti e 100mila rugbisti. Per i giocatori cresciuti in queste isole il trasferimento all’estero, prima in Oceania e poi eventualmente in Europa, è stato finora un passaggio obbligato per poter continuare a giocare e soprattutto a vivere di rugby.

Dei tanti rugbisti provenienti da Tonga, Samoa e Figi non hanno beneficiato soltanto le vicine Australia e Nuova Zelanda. Quasi tutte le grandi nazionali del mondo, dall’Inghilterra alla Francia e Italia compresa, hanno almeno un giocatore con origini di queste isole. È chiaro però che per motivi geografici e culturali la nazionale ad averne beneficiato di più è la Nuova Zelanda: su 1.213 giocatori convocati nella sua storia, oltre trenta sono nati nelle isole del Pacifico, ed è un numero che aumenta se si considerano i nati in Nuova Zelanda da genitori emigrati. Tra questi ci sono sia grandi All Blacks del passato come Tana Umaga, Joe Rokocoko e Jerome Kaino, sia giocatori attuali come Ofa Tu’ungafasi e Nepo Laulala.

Una partita dei Moana Pasifika ad Apia, nelle Isole Samoa (Joe Allison/Getty Images)

Lo spopolamento dei giocatori di rugby nelle isole del Pacifico è stato anche assai criticato. Gli All Blacks, per esempio, sono stati spesso accusati di aver «saccheggiato» a lungo queste isole per rimanere la nazionale di rugby più vincente al mondo. Eddie Jones, allenatore dell’Australia e fino a poco tempo fa dell’Inghilterra, ha spesso punzecchiato gli All Blacks facendo riferimento al sostegno ricevuto indirettamente dalle tre isole del Pacifico. Una volta durante un collegamento con una televisione neozelandese disse: «Avete un sacco di giovani forti, non so come fate da quelle parti. Anzi sì, avete tre fra le più grandi accademie al mondo: Figi, Samoa e Tonga».

Jones lo disse nel 2020, un anno prima che la Federazione mondiale decidesse di cambiare alcune regole sulle convocazioni. A partire dal primo gennaio del 2022 a qualsiasi giocatore è infatti concesso cambiare Federazione di appartenenza, anche se ha già giocato in nazionale, se dimostra un legame stretto con il paese che vuole rappresentare. È un cambiamento che si può fare una volta sola e per renderlo valido il giocatore che decide di cambiare deve ritirarsi dal rugby internazionale per 36 mesi, deve essere nato nel paese in cui desidera trasferirsi o avere un genitore o un nonno con cittadinanza locale.

Il nuovo regolamento è entrato in vigore un anno e mezzo prima dell’inizio della Coppa del Mondo e tutti possono beneficiarne. Nonostante i tempi stretti, diversi giocatori, anche di alto livello, hanno già completato il cambio di Federazione e stanno giocando la Coppa del Mondo con i loro paesi d’origine, in special modo con le isole del Pacifico, le più penalizzate dagli espatri. Tonga ha convocato gli ex All Blacks Malakai Fekitoa (da questa stagione alla Benetton Treviso), Salesi Piutau, George Moala e l’ex australiano Adam Coleman. Avrebbe potuto convocare anche Israel Folau, escluso dall’Australia per motivi disciplinari quattro anni fa, ma il giocatore si è infortunato prima della Coppa del Mondo. Samoa invece ha fatto in tempo a chiamare gli ex All Blacks Charlie Faumuina, Steve Luatua, Lima Sopoaga e l’ex giocatore dell’Australia Christian Leali’ifano.

Le Isole Figi non hanno fatto in tempo ad aggiungere espatriati ai convocati, anche perché fra le tre nazionali isolane sono quella ad averne meno bisogno. Ci sono però almeno sei giocatori di alto livello pronti a tornare: uno di questi, Alivereti Raka, che ha giocato cinque partite con la Francia tra il 2019 e il 2020, potrà essere convocato dal prossimo dicembre.

Non è un caso quindi che Tonga, Samoa e Figi si siano presentate alla Coppa del Mondo con le loro migliori selezioni di sempre. Nel primo fine settimana del torneo Tonga e Samoa hanno avuto il turno di riposo e su di loro c’è ancora molta curiosità (soprattutto su Samoa, che ha un girone più equilibrato). Le Figi invece sono state battute dal Galles, ma la loro partita è stata una delle più belle e combattute del primo turno. Nei secondi finali avrebbero anche potuto vincerla e per fermare i loro attacchi incessanti il Galles ha dovuto fare 248 placcaggi, un nuovo record per la Coppa del Mondo.

Nelle partite di preparazione disputate ad agosto, inoltre, le Figi erano riuscite a battere l’Inghilterra a Twickenham per la prima volta nella loro storia, presentandosi poi in Coppa del Mondo al settimo posto del ranking mondiale, proprio davanti all’Inghilterra e anche all’Australia. Samoa invece è una posizione sopra l’Italia, mentre Tonga è appena dietro.

Nella loro storia le tre isole del Pacifico hanno ottenuto tanti risultati notevoli — come il recente oro olimpico vinto dalle Figi nel rugby a 7 — ma per gli evidenti limiti numerici, uniti a carenze organizzative e strutturali, non sono mai riuscite a esprimere il loro pieno potenziale. La nuova regola sull’eleggibilità dei giocatori potrebbe quindi consolidare i loro risultati e scombinare certi equilibri del rugby internazionale. Arriva inoltre in un periodo di ampie riforme per il rugby locale. Dal 2022 le tre isole possono infatti contare su due nuove squadre professionistiche iscritte al Super Rugby, il campionato dei paesi oceanici (un tempo giocato anche da squadre sudafricane e argentine) ritenuto tra i migliori al mondo.

Questo coinvolgimento nel Super Rugby sta offrendo nuove opportunità di sviluppo ai giocatori locali e potrebbe limitare gli espatri. Le squadre in questione sono i Moana Pasifika, che hanno sede istituzionale ad Auckland, in Nuova Zelanda, ma rappresentano tutte le isole del Pacifico — anche le più piccole — e i Drua, che invece rappresentano il rugby figiano e hanno sede nella capitale, Suva.

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