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  • Mercoledì 6 settembre 2023

Forse in Corea del Sud hanno capito come sbagliare meno tiri liberi a basket

Un allenatore americano ha notato che nel campionato locale le percentuali sono migliorate sfruttando il rimbalzo sul tabellone

(Kelly Defina/Getty Images)
(Kelly Defina/Getty Images)
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Nel basket il tiro libero è una delle poche situazioni di gioco in cui le variabili e le interferenze esterne sono ridotte al minimo: ci sono soltanto il giocatore e il canestro, sempre alla stessa distanza, senza nessuna difesa. Non c’è un’altra situazione di gioco più replicabile e riproducibile, e nelle partite combattute punto a punto un tiro libero segnato (che vale un punto) può fare la differenza.

Per questi motivi i tiri liberi sono stati spesso oggetto di studi approfonditi, in particolare nel paese che il basket lo ha inventato, gli Stati Uniti. Uno dei più famosi e citati lo fece negli anni Novanta un ingegnere aerospaziale e docente alla North Carolina State University, che con un software sviluppato per riprodurre milioni di traiettorie diverse cercò di trovare una risposta semplice a una grande domanda: come si esegue il tiro libero perfetto?

I risultati suggerirono di imprimere alla palla tre rotazioni prima di farla arrivare a canestro partendo da un’angolazione di tiro di 52 gradi, in modo che nel punto più alto della sua parabola la palla arrivi a raggiungere l’altezza del bordo superiore del tabellone. La mira deve inoltre puntare all’estremità del ferro più lontana. In pratica vennero descritti i meccanismi di tiro che già venivano eseguiti dalla maggior parte dei giocatori professionisti e che da allora sono stati perfezionati senza mai cambiare più di tanto: raramente qualcuno li tira ancora dal basso, in mezzo alle gambe, come si faceva molti decenni fa e come oggi continuano a fare soltanto i meno pratici.

Di recente, tuttavia, l’attenzione degli esperti è stata attirata dal campionato di basket sudcoreano, dove le percentuali realizzative di un numero insolitamente alto di giocatori è sopra l’80 per cento (i migliori in NBA sono all’incirca fra l’80 e il 90 per cento): nella scorsa stagione 4 dei 9 migliori realizzatori sudcoreani li hanno tirati così.

Se ne è accorto per primo Eric Fawcett, un allenatore universitario che a Slate ha raccontato: «Guardo costantemente i campionati esteri per vedere se c’è qualcosa di innovativo che posso portare nel basket universitario. Ho quindi pensato di dare un’occhiata al campionato coreano». Così Fawcett si è accorto che lì i tiri liberi vengono eseguiti perlopiù puntando al tabellone, quindi di sponda. Su Twitter ha scritto: «La prima volta che ho visto un giocatore farlo ho pensato: “wow, è interessante e tira all’82 per cento dalla lunetta”. La seconda volta sono rimasto di nuovo sorpreso, ma quando ho visto un terzo, un quarto, un quinto e poi altri ancora ho capito che in realtà si tratta di una tendenza».

I tiri di tabellone in sé non sono certo una novità per il basket e alcuni grandi giocatori sono rimasti famosi per l’uso che ne facevano, come Tim Duncan dei San Antonio Spurs. Ma nei tiri dalla distanza o da tiro libero vengono eseguiti raramente: solitamente si mira direttamente a canestro. Dalla segnalazione di Fawcett sono nate diverse discussioni su questo modo sudcoreano di eseguire i tiri liberi, già segnalato altre volte in passato, ma perlopiù in casi individuali notati durante i tornei internazionali. Secondo le opinioni più diffuse, adottare la sponda come tecnica di tiro libero potrebbe essere utile, ma soltanto per chi ha basse percentuali realizzative e non trova altri modi per migliorarle. L’esecuzione del tiro diventerebbe infatti più complessa: invece che mirare direttamente al canestro, si deve mirare al tabellone calcolando anche la traiettoria del rimbalzo.

Queste discussioni sono alimentate dal fatto che per tanti giocatori i tiri liberi rimangono un aspetto piuttosto complicato del gioco. Nonostante la loro apparente semplicità, c’è qualcosa che li rende problematici da affrontare. Nel campionato NBA sono ancora ricordate le grandi difficoltà che aveva nel tirarli Shaquille O’Neal, uno dei giocatori più dominanti e vincenti nella storia del basket nordamericano. Le sue difficoltà diedero peraltro il nome a un’altrettanto famosa strategia di gioco, nota come Hack-a-Shaq, che consiste nel commettere intenzionalmente fallo sui giocatori con basse percentuali al tiro libero, in modo da negare loro il canestro su azione con buone probabilità che non segnino nemmeno dalla lunetta (come si dice in gergo quando si parla di tiri liberi).

Nel basket di oggi questa strategia viene usata spesso su Giannis Antetokounmpo, che nonostante sia stato eletto per due volte miglior giocatore del campionato, in carriera ha una media realizzativa di poco superiore al 70 per cento e nell’ultima stagione ha superato a fatica il 60 per cento.

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