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  • Sabato 2 settembre 2023

Macron vuole parlare con tutti, ma forse non vuole ascoltare nessuno

Il presidente francese ha coinvolto i partiti in una «grande iniziativa politica» di dialogo, ma ci sono dubbi sull’efficacia dell’operazione

Emmanuel Macron, 1 dicembre 2018 (Daniel Jayo/Getty Images)
Emmanuel Macron, 1 dicembre 2018 (Daniel Jayo/Getty Images)
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Mercoledì il presidente francese Emmanuel Macron ha incontrato i leader dei partiti presenti in parlamento con l’obiettivo di trovare dei compromessi con le altre forze politiche e attuare il proprio programma, soprattutto dopo le difficoltà riscontrate nell’ultimo anno. Negli oltre sei anni della sua presidenza, Macron ha cercato più volte di «andare a caccia di consensi», come ha titolato un proprio editoriale Le Monde: molto criticato per quella che i suoi avversari politici e i giornali hanno definito “verticalità” e “centralismo”, il presidente ha infatti tentato in più occasioni di introdurre una maggiore orizzontalità e collegialità nel suo processo decisionale.

Nel 2019, dopo mesi di proteste organizzate dai “gilet gialli”, il presidente aveva ad esempio indetto un «grande dibattito nazionale». Nel 2021 aveva avviato gli «stati generali della giustizia», con la partecipazione di magistrati, giuristi, avvocati, notai, polizia e cittadini non legati alle professioni giuridiche. Nel 2022 aveva inaugurato il Consiglio Nazionale per la Rifondazione, un’iniziativa che avrebbe dovuto, a suo dire, «riunire la nazione» intorno a grandi temi e priorità.

Tutte queste iniziative erano state interpretate soprattutto come grandi operazioni di comunicazione pensate dal presidente per modificare la percezione di sé nell’opinione pubblica e non avevano avuto, di fatto, né un grande impatto né conseguenze significative. Macron, ha scritto il New York Times, è rimasto «un leader che guarda le cose dall’alto in basso, uno che ascolta prima di decidere ma che difficilmente considera il compromesso». Quell’immagine di uomo delle élite e lontano dal popolo che aveva fin dall’inizio, insomma, «gli è rimasta attaccata, nonostante i tentativi di seppellirla».

L’incontro dei giorni scorsi con i leader dei partiti aveva però qualcosa di diverso rispetto ai tentativi di dialogo voluti e organizzati fino a qui dal presidente. È stata, innanzitutto, un’azione politica.

La riunione è arrivata dopo un anno molto difficile per la maggioranza al governo. Gli ultimi mesi sono stati segnati da forti momenti di protesta, da scioperi e da una vasta mobilitazione sociale contro la riforma delle pensioni. All’inizio dell’estate ci sono state poi ampie rivolte scoppiate in tutto il paese dopo l’uccisione del diciassettenne Nahel M. da parte della polizia a Nanterre. E un altro tema che ha occupato molto spazio nel dibattito pubblico è stato quello dell’inflazione, che ha diviso i partiti sulle soluzioni da adottare.

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Nel 2016, durante la campagna presidenziale che aveva portato alla sua prima elezione, Macron si era presentato come un’alternativa ai grandi partiti tradizionali che avevano governato la Francia fino a quel momento: il giovane presidente aveva cercato di «depoliticizzare» la politica, ha scritto Le Monde, e di presentarsi come un “uomo del fare”. Aveva nominato una serie di ministri tecnici, provenienti per lo più dalla società civile, senza formazione né cultura politica: degli esperti al servizio di un presunto interesse generale.

Poi però era cambiato il contesto istituzionale.

Più di un anno fa Macron ha perso la maggioranza assoluta all’Assemblea nazionale ed è stato dunque costretto a complicati negoziati con le altre forze politiche sui testi in discussione. Molto spesso, la strada scelta da Macron è stata però quella di scavalcare il parlamento evitando il voto attraverso un frequente ricorso all’articolo 49.3 della Costituzione: uno strumento legale, ma secondo molti non sempre legittimo, soprattutto quando è stato applicato per imporre una riforma contestata dentro e fuori dal parlamento come quella delle pensioni.

Il crescente isolamento, un’opposizione sempre più dura e la perdita della maggioranza all’Assemblea nazionale avevano riportato il presidente alla realtà, ha scritto Le Monde: e nel rimpasto di governo dello scorso luglio molti ministri tecnici sono stati sostituiti da personalità di partito. Questa fase «ha segnato un ritorno della politica», aveva infatti detto il portavoce del governo, nella quale però Macron e il cosiddetto “macronismo” sembrano muoversi a fatica.

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L’obiettivo dell’incontro che si è tenuto mercoledì 30 agosto nella scuola della Legione d’Onore creata nel 1809 da Napoleone era trovare un compromesso politico con i partiti sui futuri testi legislativi e aprire la strada «se necessario» a possibili referendum sulle medesime questioni, come sottolineato nella lettera d’invito inviata dal presidente.

Gli incontri si sono svolti a porte chiuse: sono stati vietati i telefoni (anche al presidente), sono stati esclusi i collaboratori e i giornalisti sono stati tenuti a distanza. Erano presenti undici leader in rappresentanza delle proprie formazioni politiche e oltre a Macron anche la presidente e il presidente rispettivamente dell’Assemblea Nazionale e del Senato.

I partecipanti si sono confrontati soprattutto su due temi: la situazione internazionale e le sue conseguenze per la Francia, e «l’efficacia dell’azione pubblica», dunque semplificazione, riforme istituzionali e decentramento. I colloqui sono proseguiti durante una cena quando si è parlato di «coesione della nazione»: scuola, integrazione e disuguaglianze. L’incontro è durato circa dodici ore e si è concluso alle tre del mattino.

Ciascun partito si è presentato con le proprie istanze. I quattro leader della sinistra, Olivier Faure (Partito socialista), Manuel Bompard (La France Insoumise), Fabien Roussel (Partito comunista francese) e Marine Tondelier (Europe Ecologie Les Verts) «senza farsi troppe illusioni» hanno partecipato accordandosi sulle questioni in comune da proporre: sospensione dei decreti attuativi della riforma delle pensioni e convocazione di un referendum, riforma della polizia, conferenza sulle retribuzioni, aumento del salario minimo e degli stipendi degli insegnanti, controllo degli affitti, passaggio da una repubblica presidenziale a una repubblica parlamentare.

I quattro hanno anche concordato di evitare di partecipare a qualsiasi momento informale, come la cena: «Non mi siederò al tavolo tra Macron, Ciotti (presidente della destra di Les Républicains, ndr) e Le Pen (dell’estrema destra del Rassemblement National, ndr) per parlare delle mie vacanze», aveva detto Faure. Ma alla fine, dopo aver saputo che si sarebbe trattato di un prolungamento del lavoro della giornata, si sono fermati.

Les Républicains e il Rassemblement National hanno chiesto un referendum sulla riforma dell’immigrazione che dovrebbe essere discussa in autunno. Il governo vorrebbe trovare un equilibrio tra limitazione dell’immigrazione ed estensione delle opportunità di lavoro per le persone migranti in settori che soffrono di carenza di manodopera. Per la sinistra la proposta è troppo dura e per la destra e per l’estrema destra non è sufficiente a fermare l’arrivo di migranti, che è il loro obiettivo.

La destra ha poi proposto il rafforzamento della sicurezza, l’abolizione di tutti i «diritti degli immigrati clandestini», l’uniforme obbligatoria nelle scuole e all’università e l’abolizione degli assegni per «i genitori che vengono meno ai loro doveri». L’estrema destra, tra le altre cose, ha chiesto una «moratoria su ogni aumento di tasse e imposte» fino alla fine del quinquennio presidenziale e la riduzione delle bollette e del prezzo dei carburanti.

Dopo l’incontro non c’è stata alcuna conferenza stampa da parte del governo e quale sarà il suo possibile esito non è chiaro. Secondo quanto scrivono i giornali francesi, le discussioni sulla situazione internazionale sono state costruttive e la necessità di riformare le istituzioni per coinvolgere maggiormente i cittadini è stata trasversalmente condivisa. Macron non si è impegnato sugli eventuali referendum che invece molte forze politiche hanno chiesto, mentre ha accolto la proposta della sinistra, a cui la destra non si è opposta, di organizzare una “conferenza sociale” sulla questione dei bassi salari. Il presidente ha detto anche in modo generico che intende organizzare presto un nuovo incontro simile al primo.

I vari leader politici usciti dall’incontro hanno comunque espresso una diffusa insoddisfazione: Jordan Bardella, del Rassemblement National, ha parlato di uno scambio «franco» ma «per il momento inconcludente». E i partiti della sinistra (abbastanza soddisfatti per la loro proposta che è stata accolta) sono stati comunque molto severi. «Siamo venuti, abbiamo visto e siamo rimasti delusi», ha detto la leader ambientalista Marie Tondelier. Manuel Bompard, di La France Insoumise, ha detto che Macron non è «pronto ad ascoltare» le loro proposte e il socialista Olivier Faure ha aggiunto che in realtà la sinistra «ha retto la candela» in quello che ha definito «un date», un appuntamento romantico «della destra con la destra».

Les Républicains è in effetti la formazione politica più vicina e corteggiata da Macron in questa fase per arrivare a una maggioranza. Il suo leader, Eric Ciotti, uscito dalla riunione, ha comunque detto di non sapere «a cosa porterà tutto questo».

Secondo una lettura condivisa di chi vi ha partecipato e di chi l’ha raccontata sui giornali, quella che Macron aveva chiamato una «grande iniziativa politica» e che il portavoce del governo Olivier Véran aveva definito un «processo senza precedenti» che avrebbe potuto «segnare la storia» è stata piuttosto deludente. Come ha sintetizzato con maggiore severità rispetto ad altri il quotidiano Libération, «a prima vista, il risultato di questo approccio presidenziale “senza precedenti” appare tutt’altro che storico. Ha lasciato tutti gli ospiti affamati e con la sensazione di una messa in scena in gran parte sterile (…). In una parola: fumo».