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  • Venerdì 18 agosto 2023

Chi sta con chi in Asia

Una piccola guida non esaustiva per capire che rapporti hanno tra loro i paesi dell'Asia, che si trovano in mezzo tra Cina e Stati Uniti

(Guang Niu/Getty Images)
(Guang Niu/Getty Images)
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Venerdì il presidente degli Stati Uniti Joe Biden accoglierà a Camp David, una delle residenze estive del presidente, il primo ministro del Giappone Fumio Kishida e il presidente sudcoreano Yoon Suk-yeol. È un incontro molto importante per varie ragioni, soprattutto per gli Stati Uniti che vorrebbero rafforzare la propria alleanza con i due paesi in funzione di contrasto alle politiche sempre più aggressive della Cina.

Al tempo stesso questo incontro mostra tutta la complessità delle relazioni diplomatiche tra i paesi asiatici: sia la Corea del Sud sia il Giappone sono alleati strettissimi degli Stati Uniti e sono di fatto allineati su tutte le più importanti questioni strategiche. Ma tra di loro Giappone e Corea hanno un rapporto piuttosto distante e spesso ostile, soprattutto a causa dei crimini commessi dal Giappone durante l’occupazione giapponese della penisola coreana, durata fino alla fine della Seconda guerra mondiale. Soltanto negli ultimi tempi i due paesi hanno cercato di riavvicinarsi, anche su pressione degli Stati Uniti. Questi schemi di alleanze e ostilità, spesso coesistenti e spesso con un portato storico e culturale piuttosto forte, si ripetono in tutta l’Asia.

Dire “chi sta con chi” è molto difficile e comporta necessariamente diverse semplificazioni, anche per le forti relazioni economiche e culturali presenti nella regione e perché specialmente i paesi più piccoli e deboli sono comprensibilmente restii a schierarsi.

(Guang Niu/Getty Images)

In Asia orientale i due più importanti alleati degli Stati Uniti sono Giappone e Corea del Sud. Entrambi, come gli Stati Uniti, sono “democrazie di mercato” e ritengono che la Cina possa essere una minaccia. Entrambi negli anni Cinquanta firmarono con gli Stati Uniti un trattato di mutua difesa militare, ed entrambi ospitano basi militari. Tra loro però i due paesi non sono andati d’accordo per anni, e questo è stato a lungo un problema per gli Stati Uniti, che l’amministrazione Biden sta cercando di risolvere.

L’altro stretto alleato degli Stati Uniti nella regione (anche se qui ci si deve spostare nell’Indo Pacifico) è l’Australia: questi tre paesi (Australia, Giappone, Corea del Sud) sono il punto di partenza di tutte le alleanze statunitensi nell’area.

Ci sono poi due paesi del sud-est asiatico con cui gli Stati Uniti hanno stretti rapporti militari e a cui hanno inviato armi e aiuti militari nel corso della storia recente: le Filippine e la Thailandia (a cui si aggiunge la piccola città stato di Singapore, che ospita perfino una base militare statunitense). Qui le cose cominciano a complicarsi, perché i due paesi sono sì alleati degli Stati Uniti, ma alleati spesso recalcitranti e ben poco allineati con le priorità della politica estera americana. I rapporti con la Thailandia sono peggiorati quando nel 2014 i militari fecero un colpo di stato, mentre quelli con le Filippine si sono incrinati durante la presidenza di Rodrigo Duterte (2016-2022), politico populista e molto antiamericano.

Ma più in generale Thailandia e Filippine non possono davvero permettersi di schierarsi nello scontro tra Stati Uniti (importante alleato militare) e Cina (il più importante partner economico), per ragioni economiche e di sicurezza.

– Ascolta Globo: Il paese con più golpe al mondo

Lo stesso vale, ma in un certo senso a parti inverse, per i paesi del sud-est asiatico più vicini alla Cina, cioè il Vietnam, il Laos, la Cambogia e il Myanmar. Tutti e quattro hanno relazioni storiche e militari molto forti con la Cina, ma cercano come meglio possono di bilanciare i propri interessi. Questo vale soprattutto per il Vietnam, che tra i quattro è il paese più importante, ha l’economia più vivace e per ragioni storiche – la guerra in Vietnam – ha sviluppato una forte inimicizia nei confronti degli Stati Uniti.

Da oltre un decennio i governi statunitensi stanno cercando di avvicinarsi al Vietnam, con qualche successo, e il fatto che il Vietnam stia diventando un centro manifatturiero sempre più importante fa sì che l’integrazione con i mercati occidentali sia ritenuta fondamentale dalla leadership del paese.

Inoltre il Vietnam ha in corso dure dispute territoriali con la Cina per il controllo di ampie aree del mar Cinese meridionale: secondo il diritto internazionale apparterrebbero al Vietnam ma la Cina le rivendica come proprie. Questo riguarda un po’ tutti i paesi che si affacciano sul mar Cinese meridionale, che oltre al Vietnam sono le Filippine, la Malaysia e il Brunei. Queste dispute territoriali rendono molto difficile per la Cina creare relazioni affidabili con i paesi a lei più vicini.

– Leggi anche: La “linea dei nove tratti” e le dispute territoriali nel mar Cinese meridionale

La complessità di tutti questi rapporti è ben presente nell’ASEAN, l’Associazione delle Nazioni del Sud-est asiatico, che rappresenta dieci paesi della regione (Filippine, Indonesia, Malaysia, Singapore, Thailandia, Brunei, Vietnam, Myanmar, Laos, Cambogia) e che ormai da tempo sta cercando un complicato bilanciamento tra Stati Uniti e Cina.

Restano fuori tre paesi piuttosto peculiari. La Corea del Nord, feroce dittatura e paese più isolato al mondo, ha di fatto relazioni stabili con un solo paese: la Cina. Dipende da lei per buona parte dei suoi scambi e delle sue forniture militari. Nel 1961 i due paesi firmarono un trattato di cooperazione economica e difesa comune, che è tuttora l’unico trattato di questo tipo mai stipulato sia dalla Cina sia dalla Corea del Nord. Paradossalmente, si può dire che la Corea del Nord è l’unico alleato su cui la Cina possa contare con certezza, anche se non sono mancati gli scontri tra il Partito Comunista cinese e la dinastia dei Kim in Corea.

L’altro paese in una situazione peculiare è Taiwan, l’isola che si autogoverna da quasi 75 anni ma che la Cina continua a rivendicare come propria. Attorno a Taiwan c’è una complessa questione diplomatica per cui formalmente gli Stati Uniti riconoscono l’isola come parte della Cina, ma allo stesso tempo la riforniscono di armi. Cina e Taiwan hanno strette relazioni economiche, nonostante il loro rapporto sia assai conflittuale.

– Leggi anche: Perché gli Stati Uniti tengono tanto a Taiwan

Infine c’è l’India, che è da poco diventata il paese più popoloso del mondo ed è una delle maggiori economie globali. Per la sua importanza, l’India si trova in una posizione molto peculiare. Storicamente ha rapporti non troppo stretti con la Cina, con la quale sono ancora in corso dispute territoriali piuttosto dure sull’Himalaya. Anche con gli Stati Uniti i rapporti sono sempre stati controversi, soprattutto per lo stretto legame che il governo americano ha mantenuto per decenni con il Pakistan.

– Leggi anche: Perché l’India non ha alleati

Durante la Guerra Fredda l’India era uno dei principali membri del movimento dei paesi non allineati, che cercavano di creare un’alternativa ai due blocchi statunitense e sovietico. In un certo senso anche oggi cerca di mantenere questo atteggiamento. Al contrario dei paesi dell’ASEAN, che mirano a stare nel mezzo tra Stati Uniti e Cina, l’India vorrebbe costituirsi come “terzo polo” di questa contesa.

Da tempo però gli Stati Uniti hanno cominciato a muoversi in maniera sempre più decisa per avvicinarsi all’India. Fu l’amministrazione di Donald Trump, per esempio, a cominciare a usare la dicitura di “Indo Pacifico” per definire la regione, nel tentativo di includere anche l’India nelle discussioni attorno all’influenza della Cina sull’Asia orientale. Questa dicitura è poi rimasta e adesso è diventata comune.

Gli Stati Uniti hanno avuto qualche successo. Per esempio l’India ha accettato di fare parte del Quad, il Dialogo quadrilaterale di sicurezza composto, oltre che dagli Stati Uniti e dall’India, anche dal Giappone e dall’Australia: è un’alleanza strategica informale per la cooperazione regionale nata per contenere l’espansionismo cinese. Al tempo stesso, però, il primo ministro indiano Narendra Modi rivendica la propria neutralità, come si è visto in maniera piuttosto chiara con l’invasione russa dell’Ucraina.