La prima indagine per pirateria nella tratta migratoria del Mediterraneo

Avviata dalla procura di Agrigento, con l'arresto di quattro cittadini tunisini accusati di aver depredato un'imbarcazione di migranti 

(ANSA/ ELIO DESIDERIO)
(ANSA/ ELIO DESIDERIO)
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Ad Agrigento, in Sicilia, quattro cittadini tunisini sono in carcere perché accusati di aver depredato alcune imbarcazioni con a bordo persone migranti nel mar Mediterraneo, partite dalla Tunisia e dirette a Lampedusa. Sono accusati di pirateria marittima, reato previsto dall’articolo 1135 del Codice della navigazione, il testo che in Italia regolamenta e disciplina la navigazione marittima e aerea in territorio nazionale: è la prima volta che qualcuno viene accusato di aver compiuto questo reato nella tratta migratoria compresa tra Libia, Tunisia e Sicilia, ha detto Andrea Palermo, vice dirigente della squadra mobile di Agrigento, che ha effettuato gli arresti su ordine della procura di Agrigento, che sta coordinando le indagini.

I quattro tunisini sono il capitano e tre membri dell’equipaggio di un peschereccio. Secondo quanto ricostruito dalla procura di Agrigento, avrebbero intercettato alcune imbarcazioni di migranti al largo della costa tunisina, le avrebbero abbordate, per poi spingere le persone a bordo a consegnare loro il motore dell’imbarcazione, i contanti e i cellulari che avevano con sé, ha detto Palermo.

I quattro tunisini sono stati fermati in acque internazionali: il fermo e il successivo arresto sono stati resi possibili dalla Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare, un trattato internazionale ratificato dall’Italia nel 1995 che prevede che gli stati possano perseguire il reato di pirateria anche in acque esterne alla propria giurisdizione (senza la Convenzione, le autorità italiane non avrebbero potuto eseguire gli arresti).

I quattro uomini erano stati fermati lo scorso 23 luglio, dopo il soccorso di alcune imbarcazioni di migranti, ha detto in una conferenza stampa il procuratore di Agrigento Salvatore Vella. I quattro formalmente si presentavano come pescatori, ma sul peschereccio non c’era nulla che facesse pensare che lo fossero davvero, come reti da pesca o altre attrezzature, ha detto Palermo. A bordo del peschereccio c’erano invece almeno altri due motori di imbarcazioni, del denaro (non è stato specificato quanto) e cinque cellulari, fondamentali per i migranti per poter chiedere aiuto, per esempio attraverso il centralino Alarm Phone, che offre assistenza 24 su 24 ai migranti in difficoltà in mare.

Vella ha detto che non è la prima volta che succede una cosa simile: ha aggiunto che metà delle piccole imbarcazioni che raggiungono le coste siciliane dalla Tunisia arrivano senza il motore e che diversi migranti soccorsi avevano già raccontato di essere stati intercettati, fermati e minacciati da uomini tunisini che volevano rubare motore, contanti e cellulari. Finora, però, non erano mai state avviate indagini contro i presunti responsabili di queste operazioni.

Palermo ha detto che l’ipotesi ritenuta più probabile è che i motori siano stati rubati per essere rivenduti, ma ci sono anche altre ipotesi. Una di queste, ritenuta meno probabile per ora dalla procura, è che i cittadini tunisini arrestati collaborassero con i trafficanti di esseri umani che gestiscono le partenze dei migranti da Sfax, la città tunisina da cui partono più imbarcazioni dirette a Lampedusa. I motori sono la parte più costosa delle precarie imbarcazioni dei migranti: rubarli potrebbe essere un modo di riutilizzarle.