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  • Mercoledì 26 luglio 2023

La rivincita del rosa

Nei suoi millenni di storia ha attraversato funzioni e significati diversi, ma la sua associazione alla femminilità è un'invenzione recente, che è stata prima sovvertita e poi rivendicata

(Amy Sussman/Getty Images)
(Amy Sussman/Getty Images)
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La settimana scorsa è uscito nelle sale italiane e internazionali Barbie, l’attesissimo film ispirato alla bambola di Mattel della regista Greta Gerwig, che ha fatto molto parlare di sé anche per l’imponente campagna promozionale che ha incluso un massiccio utilizzo del colore rosa. Da qualche mese il rosa è anche molto presente nella maggior parte delle collezioni di moda, ma la sua fortuna non è da attribuire solo all’uscita di Barbie. Pantone aveva infatti dichiarato già alla fine del 2022 che il Viva Magenta, una tonalità di rosa molto accesa, sarebbe stato il colore dell’anno per il 2023, dopo un periodo in cui il colore era già stato molto utilizzato ad esempio sulle nuove maglie dell’Inter Miami, la squadra statunitense fondata da David Beckham che ha da poco acquistato Lionel Messi. Il fucsia, poi, era stato il colore dominante di una commentatissima sfilata di Valentino per la collezione autunnale dello stesso anno.

Dopo decenni in cui il rosa è stato associato alla femminilità, nella sua accezione di sesso debole e frivolo, da qualche tempo viene invece usato anche per sovvertire questa idea. Da quando gli esseri umani cominciarono a usarlo come pigmento, il rosa ha avuto connotazioni e funzioni diverse di cultura in cultura e di secolo in secolo, assumendo ruoli precisi per esempio all’epoca del colonialismo e nella definizione del potere. Nel Novecento è diventato il colore distintivo del genere femminile, ma è stato anche rappresentato come un simbolo di ribellione e orgoglio.

Il colore rosa si trova spesso in natura ed è stato utilizzato dagli esseri umani sin dall’antichità. Come ha spiegato un recente articolo del National Geographic, pigmenti rosa brillante sono stati trovati in rocce di 1,1 miliardi di anni fa, grazie ai fossili di miliardi di minuscoli cianobatteri che un tempo vivevano in grandi quantità negli oceani. Già 9.000 anni fa le popolazioni che abitavano nell’attuale Perù indossavano abiti di pelle tinti di rosa grazie all’ocra rossa, un pigmento composto da ossido di ferro fra i più antichi utilizzati dagli esseri umani. Nell’antico Egitto, l’ocra veniva usata anche per colorare le labbra e le guance, dato che a contatto con la pelle creava un rosa simile al fard che veniva associato all’amore, alla sessualità e alla bellezza. Trucchi simili vennero usati per secoli in molte parti del mondo e ricavati, ad esempio, dalle fragole.

L’alta domanda per i cosmetici in Europa portò, durante il colonialismo, a una grande ricerca di nuovi pigmenti naturali nelle Americhe, dove alcune specie di alberi, la cui linfa era rossa, rischiarono di estinguersi per il disboscamento intensivo. Tuttavia, come spiega la storica Jo B. Paoletti nel libro Pink and Blue: Telling the Boys from the Girls in America, per molto tempo il rosa non fu un colore associato alla femminilità, ma alla classe. Nel Diciottesimo secolo, quando le tinte divennero più economiche, gli aristocratici europei iniziarono a vestirsi con colori pastello, specialmente di rosa, per distinguersi dalle classi medie che per la prima volta avevano accesso a vestiti con colori forti e accesi. In Francia il rosa era il colore più usato da Madame de Pompadour, l’amante del re Luigi XV, che ebbe una grande influenza sulla cultura popolare del tempo.

Il rosa venne introdotto nell’abbigliamento per bambini alla metà del Diciannovesimo secolo, ma ancora nel 1918 Earnshaw’s Infants’ Department, rivista specializzata in vestiti per bambini, specificava che «la regola comunemente accettata è che il rosa sia per i bambini, il blu per le bambine. Questo perché il rosa è un colore più forte e deciso, più adatto ad un maschio, mentre il blu, che è più delicato e grazioso, è più adatto alle femmine». Il rosa veniva visto più vicino al rosso (colore considerato forte e virile, legato agli eroi e ai combattimenti), mentre il blu veniva associato al colore del velo con cui veniva rappresentata la Vergine Maria.

Tra gli anni Trenta e Quaranta le cose iniziarono a cambiare: gli uomini cominciarono a vestire con colori sempre più scuri, associati al mondo degli affari, per distinguersi dalle tinte chiare percepite come più femminili e legate alla sfera domestica. Nell’alta moda, il rosa “shocking”, molto acceso, divenne il colore distintivo della stilista Elsa Schiaparelli, che innovò la moda femminile con i suoi abiti avanguardisti ispirati al Surrealismo. Nonostante all’epoca il rosa e l’azzurro non fossero ancora stati assegnati ad un particolare genere, nella Germania nazista i detenuti dei campi di concentramento accusati di omosessualità, di essere cioè dei “maschi effeminati”, venivano già contrassegnati con un triangolo rosa.

La precisa assegnazione dei due colori alla sfera femminile e maschile avvenne negli anni Cinquanta, anche se non è ancora chiaro il perché. Paoletti scrive che si trattò di una «scelta arbitraria», che portò il rosa a diventare onnipresente non solo nell’abbigliamento femminile ma anche nei beni di consumo pensati per le donne, come gli elettrodomestici. Questa associazione fu fortemente criticata durante gli anni Sessanta e Settanta con la diffusione del movimento femminista, non tanto per il colore rosa in sé, ma in quanto colore di riferimento della sfera infantile. In uno dei testi teorici più importanti per il movimento delle donne dell’epoca, La mistica della femminilità di Betty Friedan, il colore rosa viene nominato solo due volte, mentre si parla molto della donna «infantile» che rimane a casa come «un bambino tra i suoi figli, passiva, senza alcun controllo sulla propria esistenza».

Nella storia del rosa, l’enorme diffusione della bambola Barbie ebbe un ruolo nel consolidare la sua associazione con la femminilità. Ma non da subito. La prima Barbie venne introdotta nel mercato dall’azienda di giocattoli Mattel nel 1959 e indossava solo un costume da bagno intero bianco e nero. Anche nella prima casa di Barbie, prodotta negli anni Sessanta, il rosa non era il colore dominante, ma era presente insieme a molti altri.

L’associazione fra la bambola e il rosa iniziò a metà degli anni Settanta, e pochi anni dopo l’idea dei colori che marcatamente segnalavano il genere d’appartenenza del bambino o della bambina si impose definitivamente. Il consumismo degli anni Ottanta, associato alla diffusione della diagnosi prenatale e della conseguente possibilità di scoprire il sesso prima del parto, portò allo sviluppo di strategie di marketing che imposero definitivamente una serie di stereotipi legati all’infanzia e al mondo dei giocattoli: scomparvero i vestiti unisex e divenne naturale trovare i giocattoli per maschi, come soldatini e Lego, e femmine, come bambole e cucine in miniatura, in sezioni separate dei grandi magazzini, rispettivamente dominate dal blu e dal rosa.

Contemporaneamente, tuttavia, il rosa diventò un colore molto usato in diverse sottoculture. Paul Simonon, bassista dei Clash, disse che «il rosa è l’unico vero colore del rock ’n’ roll» e il rosa divenne uno dei colori di riferimento della cultura punk britannica: la prima boutique della stilista Vivienne Westwood, soprannominata la madrina del Punk, e di Malcolm McLaren, manager dei Sex Pistols, si chiamava SEX e la sua insegna e vetrina erano completamente rosa. Negli Stati Uniti, il rosa divenne per la comunità queer un simbolo di resistenza e denuncia: negli anni della crisi dell’HIV-AIDS, la comunità LGBT+ si riappropriò del triangolo rosa nato nella Germania nazista e lo utilizzò in una famosa campagna di sensibilizzazione identificata dallo slogan “SILENZIO = MORTE”.

Tuttavia, nella cultura di massa, il rosa era sempre più legato alla femminilità. Tra la fine degli anni Novanta e l’inizio dei Duemila la femminizzazione del rosa raggiunse il suo apice e nacque il cosiddetto “Barbiecore”, ossia la moda di portare nel mondo reale e nel proprio stile l’estetica e i colori di Barbie. Nel 1997, gli Aqua fecero uscire la loro canzone “Barbie Girl” e nel 2008 Mattel registrò un particolare tono di fucsia come “Barbie Pink”. A quel tempo il rosa era onnipresente nella moda e nella cultura pop, dalle iconiche tute di Juicy Couture alle collezioni di lingerie di Victoria’s Secret. Il rosa era il colore che contraddistingueva le protagoniste di film molto popolari come La rivincita delle bionde e Mean Girls e star di MTV come Britney Spears e Paris Hilton, che portavano sui red carpet il Barbiecore. Nel 2010, la rapper statunitense Nicki Minaj divenne famosa a livello internazionale con il suo album d’esordio Pink Friday e i suoi l0ok ispirati alla bambola di Mattel (non a caso, i suoi fan si chiamano da sempre Barbz).

Questa tipizzazione estrema del rosa, specialmente nelle sue tonalità più accese, portò, dopo il 2010, a una graduale decrescita della sua popolarità. Il colore tornò a essere molto usato nel 2016, tanto che Pantone lo scelse come colore dell’anno, ma in una tonalità che era stata poco utilizzata fino a quel momento, ossia quella del rosa antico. Questo specifico tono venne chiamato Millennial Pink, perché era molto usato dalle persone nate fra l’inizio degli anni Ottanta e la prima metà degli anni Novanta. Il Millennial Pink divenne popolare grazie al film di Wes Anderson Grand Budapest Hotel, all’iPhone nel colore “oro rosa”, entrambi usciti nel 2015, e alla diffusione su Pinterest dell’arredamento in stile scandinavo, dove il rosa antico era molto presente. Rappresentava l’evoluzione adulta di una generazione che era cresciuta con il Barbie Pink e ora se ne voleva separare, ma non aveva nessuna valenza politica.

Negli ultimi anni, tuttavia, il rosa nelle sue tonalità più accese è tornato ad essere molto utilizzato ed è stato legato non tanto alla femminilità quanto alla liberazione e all’unicità. Negli ambienti femministi il rosa è passato dall’essere associato agli stereotipi di genere all’essere identificato come un colore potente e sovversivo. Alcune correnti del femminismo, come quella del cosiddetto choice feminism, se ne sono riappropriate assieme al concetto di femminilità, sostenendo che qualsiasi scelta una donna faccia, anche quella di fare la casalinga, se consapevole, può essere considerata una scelta femminista. Altre hanno proprio cercato di staccarlo da questa idea, rendendolo un colore di protesta. Durante le elezioni presidenziali negli Stati Uniti del 2020, il rosa fu scelto come colore dominante delle campagne di Supermajority, un gruppo creato da membri delle organizzazioni progressiste Planned Parenthood, Black Lives Matter e National Domestic Workers Alliance che incoraggiava le donne ad attivarsi nella politica in difesa dei loro diritti, dopo gli anni della presidenza di Donald Trump.

Anche nell’alta moda, stilisti come Jacquemus nel 2019 e Valentino nel 2022 l’hanno reso protagonista delle loro collezioni e hanno spiegato questa scelta definendo il rosa come un colore potente e liberatorio, che tutti possono indossare. La collezione di Valentino per l’autunno 2022 fu così commentata e apprezzata che viene considerata il vero punto di svolta di questa nuova era del rosa, proprio perché, come spiega Elle, riuscì a «prendere una tonalità femminile stereotipata e a trasformarla in una dichiarazione politica di bellezza».