Il rapimento di John Paul Getty III

Cinquant'anni fa a Roma cominciò il lungo sequestro del nipote di uno degli uomini più ricchi del mondo, ricordato tra le altre cose per un orecchio mozzato

(AP Photo/Giuseppe Anastasi)
(AP Photo/Giuseppe Anastasi)
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La notte del 10 luglio 1973 John Paul Getty III – all’epoca diciassettenne e nipote del petroliere John Paul Getty I, tra gli uomini più ricchi al mondo – si trovava in piazza Farnese, nel pieno centro di Roma, quando venne avvicinato da un’auto dalla quale uscirono tre uomini armati di pistola: lo colpirono con il calcio dell’arma e lo sedarono (probabilmente con un fazzoletto imbevuto di cloroformio), per poi caricarlo nel bagagliaio della vettura. Sarebbe rimasto prigioniero per i cinque mesi successivi. 

Durante i primi giorni del sequestro non solo la polizia, ma anche la stessa madre di Getty, Abigail Harris, così come l’avvocato della famiglia, Giovanni Jacovoni, pensarono che si trattasse di uno scherzo di cattivo gusto o di un escamotage architettato da Getty per ottenere soldi dal nonno. La famiglia del giovane si era trasferita a Roma durante i primi anni Sessanta, al seguito del padre Eugene Paul Getty II, che per un periodo aveva gestito la divisione italiana della Getty Oil, la compagnia petrolifera fondata all’inizio degli anni Quaranta da John Paul Getty I. All’epoca i giornali descrissero Paul come un bohémien poco interessato agli affari di famiglia, che cercava di guadagnare piccole somme di denaro vendendo i quadri che dipingeva, appassionato di auto da corsa e vicino al mondo della controcultura romana, una descrizione confermata dallo stesso John in una lunga intervista al mensile statunitense Rolling Stone del 1974.

All’incirca una settimana dopo che Getty scomparve la madre ricevette una lettera in cui il figlio le spiegava di essere stato rapito, le chiedeva «di non rendere pubblico il rapimento» e di pagare qualunque somma fosse stata richiesta; una lettera simile venne inviata al nonno, John Paul Getty I. I rapitori confidavano nel fatto che quest’ultimo non avrebbe esitato a pagare un riscatto: nel 1966 il Guinness dei primati lo aveva nominato «uomo più ricco al mondo» grazie ad un patrimonio di 1,2 miliardi di dollari, che oggi equivarrebbero a circa 11 miliardi di dollari. John Paul Getty I in realtà aveva fama di uomo avaro. La madre di Getty, Abigail Harris, raccontò che quando gli chiese di pagare il riscatto, le rispose: «Va’ a cercare i soldi a Londra», dove all’epoca viveva il padre di Paul. Pochi giorni dopo il rapimento del nipote, Getty I fece poi circolare un comunicato stampa piuttosto sorprendente:

Sebbene veda mio nipote raramente e non gli sia particolarmente vicino, non posso che volergli bene. Tuttavia non credo sia utile pagare i rapitori. Ho altri quattordici nipoti, e se pagassi anche solo un singolo penny ora, finirei con l’avere quattordici nipoti in mano ad altri rapitori

Con il passare delle settimane la pista del rapimento venne però ritenuta sempre più credibile, anche grazie alla crescente copertura che il Messaggero, un quotidiano romano molto presente sulle cronache della città, diede alla vicenda. Il 20 ottobre la redazione del giornale ricevette una busta insanguinata che conteneva l’orecchio destro di Paul. Ad accompagnare la busta, i rapitori avevano scritto una lettera in un italiano sgrammaticato:

Signore direttore,

questa è la promessa che vi abbiamo fatto. Da oggi in avanti tutto quello che vi diciamo sarà fatto cioè questo è il primo orecchio di Paul fate gli accertamenti se è suo e se entro dieci giorni la famiglia pensa ancora che è una burla fatta da lui gli arriva anche l’altro in poche parole gli arriva tutto a pezzettini perché la famiglia di Paul da tre mesi ci prende in giro dicendo che non già soldi per pagare

Successivamente furono recapitate al Tempo, l’altro grande quotidiano di Roma, quattro fotografie che mostravano Paul Getty con l’orecchio amputato, ma ancora vivo: le immagini ebbero un impatto molto forte sull’opinione pubblica, e contribuirono a convincere John Paul Getty I a pagare il riscatto per la liberazione del nipote, che venne fissato a 3 milioni di dollari.

I dettagli su come avvenne il pagamento ancora oggi sono scarsamente noti: pare che il nonno di Getty abbia ingaggiati un ex agente della CIA, Fletcher Chase (solitamente di stanza in Kuwait), per gestire l’operazione. Chase, con l’aiuto di Jacovoni, l’avvocato della famiglia Getty, si accordò con i rapitori: andò in Calabria e depositò 2 miliardi di lire in piccolo taglio a lato di un’autostrada. Secondo alcuni resoconti, John Paul Getty I pagò personalmente 2,2 milioni di dollari, mentre il padre di Paul pagò i restanti 800 mila dollari – ottenendoli in prestito dallo stesso John Paul Getty I, che gli chiese un interesse del 4 per cento. Paul venne infine liberato il 15 dicembre del 1973, dopo 5 mesi di prigionia; lo fecero trovare in una stazione di servizio a Lauria, in provincia di Potenza.

Nove persone vennero arrestate per il suo rapimento. Due furono condannate, ma le altre sette, tra cui i boss della ‘ndrangheta Saverio Mammoliti e Girolamo Piromalli, che sarebbero stati condannati poi anni dopo per altri reati, furono rilasciate per mancanza di prove.

Il sequestro di John Paul Getty III – che è morto nel 2011 dopo una lunga malattia – fu raccontato nel film del 2017 Tutti i soldi del mondo di Ridley Scott, ed è considerato storico principalmente per due motivi. Da un lato segnò l’inizio della cosiddetta stagione dei sequestri in Italia: un periodo che andò dall’inizio degli anni Settanta ai primi anni Novanta durante il quale la ‘ndrangheta rapì, a scopo di estorsione, quasi cinquecento persone. Dall’altro con il riscatto di quel rapimento – la cui cifra è stata descritta dalla Commissione Antimafia come «enorme per l’epoca, la più alta di quel decennio» – la ‘ndrangheta iniziò a costituire «ditte mafiose nel campo dell’edilizia» che le permisero di partecipare a numerosi appalti pubblici, tra cui quelli per la costruzione del quinto centro siderurgico di Gioia Tauro (che non venne mai costruito).