Come si rende sexy «il prodotto meno sexy che ci sia»

È la domanda che Durex ha dovuto farsi per arrivare a vendere 3 miliardi di preservativi all'anno

(Christopher Furlong/Getty Images)
(Christopher Furlong/Getty Images)
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Quando nel 2010 la multinazionale Reckitt Benckiser acquistò il marchio di preservativi Durex, le vendite in Cina non andavano benissimo. Non tanto per via della presenza di altre aziende concorrenti (Durex aveva comunque il 30 per cento del totale venduto), ma perché i preservativi erano generalmente poco usati nel paese. Quell’anno Ben Wilson, la persona che è oggi a capo della divisione di Reckitt Benckiser dedicata ai prodotti per il benessere sessuale, fu mandato in Cina per capire come allargare il mercato. Non era facile in un paese in cui i preservativi non potevano essere menzionati nelle pubblicità televisive o stampate, e in generale il tabù sul sesso era ancora molto sentito.

La campagna promozionale di Durex di quegli anni – che sfruttò social network e blogger quando ancora pochi lo facevano – contribuì a far crescere significativamente le vendite di preservativi nel paese ed è ancora oggi citata come una delle più efficaci per un’azienda occidentale in Cina.

Il marchio Durex (che viene da DUrability, REliability and EXcellence) esiste dal 1929 e fu creato dai fratelli Lionel e Elkan Jackson, fondatori della London Rubber Company. Fu la prima a usare una nuova tecnologia per la produzione del lattice che si affermò negli anni successivi e rese molto meno fastidiosi i preservativi, che erano fatti in questo materiale già da qualche anno ma erano ancora molto spessi. Oggi Durex vende 3 miliardi di preservativi all’anno, circa il 40 per cento di quanti se ne vendono complessivamente nel mondo.

Wilson ha raccontato al Guardian che il suo lavoro in Cina è stato un esempio in piccola scala del lavoro quotidiano del dipartimento marketing di Durex, il cui obiettivo è capire come «rendere sexy il prodotto meno sexy che ci sia». Nonostante siano gli unici contraccettivi che proteggono anche dalle malattie sessualmente trasmissibili infatti, i preservativi sono prodotti difficili da promuovere. Un articolo del 1981 della Harvard Business Review sosteneva che il marketing dei preservativi avesse gli stessi limiti di quello per la vendita dei farmaci per le malattie terminali, dei servizi funebri e del napalm (una sostanza acida altamente infiammabile).

Forse proprio per questa difficoltà, l’approccio di Durex alla pubblicità e alla comunicazione è stato da sempre molto creativo, innovativo – fu uno dei primi marchi ad aprire il proprio sito web nel 1996 (un anno dopo Amazon) – e provocatorio. Wilson ha raccontato che quando propose come slogan per una campagna per la Giornata internazionale contro l’AIDS «Give a Fuck» (che si può tradurre con «Fatti una scopata», ma anche con «Preoccupatene») moltissime persone gli sconsigliarono di portarla avanti ma lui lo fece lo stesso.

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Allo stesso tempo però Durex è riuscita a consolidare la propria presenza in molti paesi del mondo anche grazie a solidi rapporti con le istituzioni, e riuscendo per esempio a portare corsi di educazione sessuale in paesi come l’India e il Sudafrica. In Italia, Durex ha partecipato alla definizione di una nuova normativa che allentasse le rigide regole imposte alle pubblicità di preservativi.

Anche oggi Durex continua a investire moltissimo in marketing. Da un lato c’entra il fatto che negli ultimi tre anni i lockdown dovuti alla pandemia hanno portato a una riduzione dei rapporti sessuali occasionali e quindi anche a un forte calo delle vendite di preservativi. Ma più in generale e già da prima, soprattutto tra le persone con relazioni monogame, ha iniziato a diffondersi sempre di più l’uso dei contraccettivi ormonali femminili, considerati più economici e sicuri, e con impatto minore sull’esperienza del rapporto sessuale.

Dal punto di vista della protezione dalle malattie invece i preservativi maschili continuano a essere la soluzione più usata, ma anche in questo caso sono stati introdotti negli ultimi anni nuovi prodotti come i preservativi femminili o i farmaci per la profilassi in caso di esposizione all’HIV, cioè quei farmaci che si possono prendere quando si sa in anticipo che si avrà un rapporto a rischio per evitare il contagio.

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A questo si aggiunge il fatto che i preservativi che si usano oggi non sono molto cambiati rispetto a quelli che si usavano decine di anni fa, e che portare innovazione in questo campo sembra quasi impossibile. Negli anni sono stati proposti preservativi spray, preservativi “corti” (che coprono solo la punta del pene ma non il resto, per non limitare la sensibilità) e preservativi che replicassero la sensazione del contatto con la pelle, ma senza risultati abbastanza validi da essere commercializzati. La maggior parte delle novità in questo campo riguarda soprattutto la confezione e in generale il modo in cui i preservativi vengono presentati, più che l’oggetto in sé.

Anche Durex, i cui investimenti nella ricerca potrebbero essere superiori a quelli di qualsiasi altra azienda concorrente, fatica infatti a introdurre delle vere novità nella sua offerta, anche per via delle rigide norme a cui la produzione di preservativi – in quanto dispositivi medici – deve sottostare in molti paesi. Le novità più recenti del marchio sono quelle che riguardano lo spessore del lattice, la sostituzione con altri materiali, la produzione di preservativi aromatizzati o con rilievi pensati per aumentare l’attrito e il piacere.

Quello che è cambiato negli ultimi anni è invece l’approccio culturale ai temi legati al sesso: Wilson ha raccontato come alle riunioni che teneva all’inizio della sua carriera fossero presenti solo responsabili commerciali uomini che gestivano con risate nervose l’imbarazzo di dover parlare di questi temi davanti al loro capo. Ora le cose sono molto diverse.

Nella sua intervista al Guardian Wilson ha raccontato che il suo obiettivo ora è quello di cambiare l’immaginario legato ai preservativi: da un prodotto per rendere il sesso sicuro a un prodotto per rendere il sesso più “sexy”. Una delle cose su cui Wilson vuole intervenire è quel momento di pochi secondi del rapporto sessuale in cui il preservativo viene indossato. Secondo Wilson quel momento deve essere «un’esperienza multi-sensoriale»: nell’immaginario comune è un momento goffo, imbarazzante, di interruzione dell’atto, mentre il preservativo «deve essere una cosa sexy da indossare, una parte dei preliminari».

Per rendere sexy i preservativi Durex sta provando a inserirli all’interno di discorsi sugli stili di vita, la cultura, la musica e la moda. Un esempio recente è quello della settimana della moda di febbraio a Milano, dove Durex ha collaborato con il marchio di abbigliamento Diesel per allestire una montagna di preservativi sullo sfondo della sua sfilata. Ha anche fatto campagne promozionali con personaggi noti della musica come Lil Nas X e Sam Smith, e ha investito in una massiccia presenza su TikTok. Il pubblico di riferimento è quello che Wilson definisce degli “aperti e curiosi”: uomini generalmente sotto i 35 anni a cui piace sperimentare. Ma soprattutto punta su persone giovani e alle prime esperienze, perché secondo i dati di Durex chi usa un loro preservativo la prima volta è più portato a comprarne altri. Durex ha anche cambiato il linguaggio che usa nelle sue pubblicità, in linea con le maggiori sensibilità rispetto alle minoranze di genere e in generale con l’apertura a pratiche sessuali più varie e meno tradizionali.

Parlando di come raggiungere un più ampio numero di clienti possibile, anche quelli che probabilmente non compreranno mai i preservativi di Durex, Wilson ha detto al Guardian che sta puntando sui prodotti lubrificanti, il cui potenziale di crescita in termini di vendite è secondo lui maggiore di quello dei preservativi: «il lubrificante è il futuro».