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  • Mercoledì 28 giugno 2023

Il granchio blu ha invaso il delta del Po

È grosso, alloctono e soprattutto vorace, e mentre si riproduce in modo incontrollato sta danneggiando la produzione di vongole, il suo cibo preferito

Un esemplare di granchio blu (Chip Somodevilla/Getty Images)
Un esemplare di granchio blu (Chip Somodevilla/Getty Images)
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Da almeno tre anni i pescatori di vongole nella Sacca di Goro, una laguna nel delta del fiume Po, si sono accorti della voracità del granchio blu. Mangia qualsiasi cosa, con una particolare predilezione per le vongole su cui si fonda l’economia della zona. Non disdegna anche gamberi, piccoli pesci e altre specie di granchi che popolano le acque delle lagune dell’alto mar Adriatico. Fino a due o tre anni fa trovare un granchio blu nelle reti e nelle nasse era un evento curioso, per certi versi sorprendente date le notevoli dimensioni del crostaceo. Ma con il tempo la proliferazione di questo animale è diventata un grosso problema: ha invaso le lagune e non c’è apparentemente niente che possa fermarlo. «Quest’anno a Goro ci sono solo granchi. Si sono mangiati tutto il resto: mai vista una cosa del genere», spiega Fausto Gianella, presidente di una delle cooperative di vongolari più importanti della zona.

Il granchio blu è il nome dato al Callinectes sapidus, una specie originaria della costa orientale degli Stati Uniti, diffusa tra il Canada meridionale e l’Argentina settentrionale. Diversi studi hanno stimato il suo arrivo nel mar Mediterraneo intorno alla metà del Novecento, prima in Tunisia e Algeria e poi nel mar Egeo, in Turchia, e infine nel mar Adriatico. Una delle ipotesi più condivise è che abbia viaggiato dal continente americano all’Europa nelle acque di zavorra delle navi mercantili. È quindi una specie aliena o alloctona, che l’azione diretta o indiretta dell’uomo ha spostato in una zona diversa rispetto al suo ambiente storico.

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Il suo carapace può raggiungere e in alcuni casi superare i 23 centimetri di larghezza negli esemplari maschi e i 20 centimetri nelle femmine. È lungo circa 9 centimetri. Colpisce le sue prede con due dentelli frontali triangolari e nove laterali, lunghi e appuntiti. Viene chiamato granchio blu per via delle grosse chele colorate di blu, in grado di danneggiare le reti da pesca. Vive solitamente a 30-40 metri di profondità, ma tollera molto bene anche condizioni diverse come i fondali bassi delle lagune salmastre e degli estuari dei fiumi. Nelle sue zone di origine viene mangiato da tartarughe, pesci e uccelli. In assenza di predatori si riproduce molto velocemente: ogni esemplare femmina può deporre da 700mila a 2 milioni di uova.

Dal 2008 la sua presenza è stata osservata in diverse regioni italiane. È stato trovato in Puglia, Abruzzo, nel bacino di Torre Colimena nel mar Ionio, vicino al porto di La Spezia in Liguria, sulla costa orientale della Sicilia, in Sardegna e sul litorale romano.

Nelle ultime settimane sembra che il granchio blu si sia moltiplicato a dismisura nella Sacca di Goro, in Emilia-Romagna, e anche nelle lagune del Veneto. Gianella e i suoi colleghi vongolari ipotizzano che sia una conseguenza dell’alluvione che ha colpito l’Emilia-Romagna alla metà di maggio. Fino all’arrivo della pioggia abbondante, la salinità dell’acqua della laguna si era mantenuta piuttosto alta, poi è scesa improvvisamente con la piena dei fiumi riversata nel mare. Il granchio blu è una specie eurialina, cioè che sopporta ampie escursioni del valore della salinità, e per questo motivo ha continuato a riprodursi in modo massiccio. Servirebbe uno studio approfondito per verificare se l’ipotesi sia corretta.

I danni per l’economia della cosiddetta Sacca di Goro sono notevoli. La laguna si trova tra il Po di Goro e il Po di Volano, due diramazioni del Po nel suo delta. È in continua trasformazione per via delle correnti marine e della formazione di canneti. Qui si concentra il 28 per cento della produzione nazionale della vongola verace. Vengono allevate anche cozze e ostriche. I fondali della sacca sono profondi in media tra i 60 e i 70 centimetri ed è separata dal mare da una striscia di sabbia chiamata scanno. Le vongole vengono allevate tra la terraferma e lo scanno, nelle zone dove l’acqua circola molto ed è ricca di fitoplancton di cui si cibano i molluschi.

La notevole siccità della scorsa estate aveva messo a rischio la produzione di vongole a causa del proliferare delle alghe che impedivano la circolazione dell’acqua con effetti negativi sulla concentrazione dell’ossigeno. A questo problema, non risolto del tutto nonostante quest’anno la siccità sia meno grave, si è aggiunta la voracità del granchio blu. «Mangiano tutta la semina di vongole e cozze (vengono depositate sul fondale per farle crescere, ndr) che noi abbiamo pagato a caro prezzo e posizionato con fatica», dice Gianella. «Stanno praticamente distruggendo la catena di produzione delle vongole. È un danno economico e anche per l’ambiente perché qui sta scomparendo la biodiversità».

La pesca delle vongole nel delta del Po (AP Photo/Luca Bruno)

La consulta ittica dell’Emilia-Romagna, un organismo regionale che gestisce la pesca, si è occupata recentemente delle conseguenze legate all’invasione del granchio blu nella laguna. Una delle soluzioni ipotizzate per risolvere almeno in parte il problema è modificare le concessioni demaniali dei pescatori per autorizzare il prelievo per autodifesa: in sostanza, verrebbe dato un incentivo economico ai pescatori per tenere sotto controllo la proliferazione di una specie così invasiva.

L’altro modo per incentivare la pesca del granchio blu è la sua commercializzazione. Negli Stati Uniti, in particolare nella baia di Chesapeake, tra il Maryland e la Virginia, è considerato un prodotto molto importante per l’industria ittica. Viene pescato e cucinato al vapore o bollito, e usato come ingrediente per paste, insalate e zuppe. Non sono ricette semplici, perché per ricavare la polpa serve una preparazione di almeno una ventina di minuti. Può costare oltre 100 dollari al chilo, poco più di 90 euro. Anche in Italia alcuni ristoranti hanno iniziato a proporlo nei loro menù: fino a pochi anni fa, quando era sconosciuto, si vendeva a tre o quattro euro al chilo, ora può raggiungere i 10 euro al chilo.

Nella Sacca di Goro fino allo scorso anno il granchio blu veniva pescato prevalentemente da abitanti di origine asiatica che lo utilizzano come ingrediente per molte ricette. La pesca, quasi sempre in zone non consentite e quindi abusiva, veniva fatta di notte e per questo era piuttosto pericolosa perché non è semplice orientarsi nella laguna e capire quali sono le zone sicure e quali no. Per un po’ i vongolari hanno tollerato questa attività. Poi l’intervento delle forze dell’ordine, che hanno iniziato a presidiare le spiagge, ha limitato la pesca abusiva.

L’invasione del granchio nelle lagune, soprattutto se manterrà la velocità delle ultime settimane, è troppo rapida rispetto alla possibile commercializzazione. Le possibilità di trasformare un problema in una risorsa sono promettenti, ma serviranno anni per capire se sarà possibile creare una vera filiera del granchio blu dalla pesca alla vendita nei mercati del pesce italiani fino all’esportazione all’estero. «Per ora il mercato chiede solo gli esemplari grossi, che hanno più polpa, mentre i piccoli non li vuole nessuno», dice Emanuele Rossetti, biologo del consorzio pescatori del Polesine che rappresenta 1.500 aziende ittiche. «Invece si dovrebbero pescare i granchi più piccoli per limitare la riproduzione».

Anche nel Polesine, nella zona di Porto Tolle, in Veneto, i pescatori sono alle prese con la diffusione incontrollata del granchio blu. Nei giorni scorsi i rappresentanti del consorzio dei pescatori hanno incontrato il prefetto di Rovigo Clemente Di Nuzzo per denunciare i danni subiti nelle ultime settimane. L’unico modo per controllare la sua espansione, dicono i pescatori, è dare un incentivo economico per la pesca come sta pensando di fare l’Emilia-Romagna.

Senza un sostegno regionale o statale i costi per pescare i granchi sono notevoli. Vanno costruite nasse apposite, con una rete a maglia sottile, e il loro posizionamento e la loro rimozione delle nasse sono lavori faticosi. Anche lo smaltimento dei granchi pescati e non commercializzabili ha un costo: le aziende che se ne occupano chiedono da 20 a 40 centesimi al chilo. Il consorzio dei pescatori del Polesine ha appena acquistato due celle frigorifere dedicate ai granchi da conservare prima dello smaltimento, un passaggio essenziale anche se costoso.

Secondo Rossetti non si sa ancora con precisione come intervenire perché non si hanno informazioni sull’adattamento del granchio blu all’ambiente delle lagune italiane. «Non ci sono studi sulla dinamica della popolazione, la sua curva di riproduzione, la distribuzione per classi di taglia e la proporzione tra maschi e femmine. Senza uno studio è difficile intervenire». Una prima indagine approfondita è iniziata lo scorso marzo, commissionata dalla Regione Veneto all’università di Venezia. Lo studio è coordinato da Piero Franzoi, del dipartimento di scienze ambientali, informatica e statistica con la partecipazione delle cooperative locali della zona di Chioggia. L’obiettivo è verificare la distribuzione, l’abbondanza e l’impatto del granchio blu sulla pesca e capire quali potrebbero essere le prospettive economiche di una sua commercializzazione più organizzata e ambiziosa.

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