Il dettaglio più osservato del “Giardino delle delizie” di Bosch

È nella tavola dell'inferno, e si pensa rappresenti una sorta di autoritratto del celebre pittore fiammingo

Il presunto autoritratto di Bosch nel trittico del “Giardino delle delizie”
Il presunto autoritratto di Bosch nel trittico del “Giardino delle delizie”

Il “Giardino delle delizie” del pittore fiammingo Hieronymus Bosch è un’opera che difficilmente lascia indifferenti: con decine tra figure umane o antropomorfe, animali enormi o fantastici e scene che sembrano uscite da un incubo, il trittico di fine Quattrocento è considerato il capolavoro dell’artista e uno dei dipinti più enigmatici, assurdi e affascinanti di sempre. Dal momento che della vita di Bosch si conosce pochissimo, non si sa granché nemmeno del significato dell’opera, che si articola appunto su tre tavole e secondo le interpretazioni più condivise rappresenta sia un monito contro i pericoli dei vizi terreni, sia la caducità dell’esistenza terrena, tra paradiso e inferno. Un nuovo studio ha comunque evidenziato qual è la parte del dipinto che attira di più chi la guarda: il presunto autoritratto di Bosch, collocato nella tavola che rappresenta l’inferno.

Lo studio è stato realizzato dal gruppo di neuroingegneria biomedica dell’Università Miguel Hernández di Alicante in collaborazione con il museo del Prado di Madrid, dove l’opera si trova dal 1933. Per svolgerlo, i ricercatori hanno fatto indossare a 52 volontari uno speciale paio di occhiali in grado di tracciare il movimento degli occhi, analizzandolo poi al computer. In questo modo gli scienziati hanno osservato che nel 46 per cento dei casi le persone cominciano a guardare il dipinto dalla sua sinistra, cioè dalla tavola che rappresenta il paradiso, per poi passare al giardino delle delizie che dà il nome all’opera e quindi all’inferno, la tavola sulla destra, dove si soffermano più a lungo.

L’inferno è la parte del dipinto in cui si trova la maggior parte dei dettagli bizzarri, assurdi o inquietanti, come un coltello che spunta fuori da un enorme paio di orecchie o una specie di grosso uccello-insetto che sembra inghiottire un uomo e defecarne un altro, destinato a precipitare in un pozzo pieno di anime sofferenti. Questi sono alcuni dei particolari su cui i volontari che hanno partecipato allo studio si sono soffermati di più, ma quelli che hanno attirato maggiormente l’attenzione sono due punti del tronco vuoto di un “uomo-albero” che è considerato da molti critici d’arte un autoritratto del pittore.

Lo studio ha evidenziato che in media le persone osservano ciascun metro quadrato di inferno per 33,2 secondi, circa il doppio del tempo rispetto al paradiso e sette secondi in più rispetto alla tavola centrale. La sala del museo in cui è conservato il dipinto (che si può vedere bene nel dettaglio qui) è quella in cui i visitatori si trattengono più a lungo, passando in media 4,08 minuti solo davanti a quello.

(Wikimedia Commons)

A distanza di più di cinque secoli il trittico continua a incuriosire milioni di visitatori e a influenzare artisti e pittori. Il nome di Bosch viene accostato a tutto ciò che è enigmatico, spaventoso, visionario, e la sua opera più famosa è stata citata in innumerevoli occasioni, da una campagna di Gucci nel 2018 agli immancabili Simpson. Della sua origine e di cosa la ispirò però si sa molto poco, come del resto della vita del suo autore.

Hieronymus Bosch (nome d’arte di Jheronimus van Aken) nacque attorno al 1450 nei Paesi Bassi e morì il 9 agosto del 1516 durante un’epidemia di peste. Si pensa che passò quasi tutta la sua vita a ‘s-Hertogenbosch (Boscoducale, in italiano), una cinquantina di chilometri a sud-est di Rotterdam, e che imparò a dipingere dalla sua famiglia, visto che sia il nonno che gli zii e probabilmente il padre erano pittori. Produsse almeno sedici trittici, di cui otto ancora intatti, e dipinse il “Giardino delle delizie” in un periodo compreso tra il 1480 e il 1505, quando aveva grossomodo tra i 40 e i 60 anni: anche se l’opera non è firmata, non è mai stato messo in dubbio che fosse sua.

La tavola sulla sinistra rappresenta chiaramente il paradiso, con dio, Adamo ed Eva in un paesaggio calmo e lussureggiante. Quella sulla destra è l’inferno, dove si susseguono scene apocalittiche di caos, torture e distruzione e persone punite per i rispettivi peccati, dalla gola al gioco d’azzardo, dalla musica profana alla lussuria. La tavola centrale invece è quella su cui sono emerse più opinioni contrastanti.

Piena di persone nude, avvinghiate, a bagno o in groppa a unicorni, secondo qualcuno potrebbe rappresentare una specie di utopia, un paradiso perduto; in generale però si ritiene che sia un avvertimento rispetto alle tentazioni della vita terrena. Nell’interpretazione della dottrina cristiana del tempo i piaceri erano percepiti come effimeri e i peccati terreni non potevano che portare alle pene dell’inferno. Nelle parole di Pilar Silva, una delle curatrici del museo del Prado, per Bosch il mondo abitato dagli esseri umani era «un falso paradiso».

Il trittico esposto al museo del Prado nel 2020 (AP Photo/ Bernat Armangue)

Il giardino del piacere della tavola centrale è pieno di simboli e scene che rimandano costantemente alla lussuria. In un saggio citato dal sito Artsy.net, lo storico dell’arte Walter S. Gibson ricorda che nell’immaginario collettivo dell’epoca di Bosch il giardino era associato già di per sé all’amore e al sesso. Raccogliere frutti (come fanno diversi personaggi nella tavola centrale del trittico) simboleggiava l’atto sessuale, mentre sia i pesci che molte delle strutture immaginarie dipinte da Bosch erano simboli fallici. È opinione condivisa tra i critici dell’arte che il dipinto tuttavia sembri voler ricordare che la natura del piacere è fugace e indichi più ampiamente la fragilità della condizione umana.

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Quando Bosch dipinse il trittico era già un artista conosciuto nella nobiltà europea, che di solito commissionava opere basate su temi religiosi, tra i pochi accettabili al tempo. Per questo motivo lo storico dell’arte Reindert Falkenburg ritiene che probabilmente le persone del tempo dovevano essere «tanto sconcertate e divertite» quanto il pubblico di oggi nel vedere le sue stranezze, che per quanto ispirate a soggetti religiosi erano decisamente bizzarre.

È anche per questo che nel tempo ci sono state numerose teorie sull’origine del dipinto, come quella secondo cui Bosch sia stato ispirato da allucinazioni avute dopo aver assunto una sostanza simile all’LSD, oppure provocate dal fuoco di Sant’Antonio. Nel 1947 invece lo storico d’arte tedesco Wilhelm Fränger ipotizzò che Bosch facesse parte del gruppo religioso degli adamiti, un’antica setta cristiana di cui si sa molto poco, e che fosse stato ispirato dal fatto che i suoi seguaci praticassero i propri riti nudi e credessero di aver ritrovato l’innocenza perduta con il peccato originale. Queste teorie sono state accolte con scetticismo dalla maggior parte degli storici.