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  • Giovedì 15 giugno 2023

Stati Uniti e Iran si stanno parlando sul nucleare

Lo sostiene il New York Times: secondo molti funzionari statunitensi, iraniani e israeliani sarebbero in corso negoziati informali tra i due paesi

Un reattore nel complesso nucleare di Arak, in Iran (Atomic Energy Organization of Iran via AP, File)
Un reattore nel complesso nucleare di Arak, in Iran (Atomic Energy Organization of Iran via AP, File)

In un articolo pubblicato mercoledì, il New York Times ha parlato di alcuni cauti negoziati avviati tra Stati Uniti e Iran per raggiungere un’intesa informale sulle attività nucleari dell’Iran. L’articolo è basato su interviste con alcuni funzionari statunitensi, iraniani e israeliani che hanno chiesto di restare anonimi. I negoziati, se confermati, sarebbero particolarmente rilevanti: dal fallimento dello storico accordo sul nucleare del 2015, cancellato nel 2018 dall’allora presidente americano Donald Trump, le relazioni tra i due paesi erano peggiorate a un punto ritenuto preoccupante.

Secondo i funzionari intervistati, se raggiunto, l’accordo informale potrebbe prevedere che l’Iran accetti di ridurre le proprie scorte di combustibile nucleare, di collaborare maggiormente con le autorità internazionali che dovrebbero sorvegliare sulle sue attività nucleari, come l’Agenzia internazionale per l’energia atomica (AIEA), e di liberare alcuni prigionieri statunitensi attualmente detenuti nel suo territorio. Quest’ultimo punto è quello su cui si sanno meno cose, ma i funzionari americani ascoltati dal New York Times l’hanno definita una «priorità urgente».

Per quanto riguarda la riduzione delle attività nucleari iraniane l’intesa, che alcuni funzionari israeliani hanno definito «imminente», prevedrebbe che l’Iran accetti di non arricchire il proprio uranio (cioè aumentare la quantità di uranio 235 nel totale: un passaggio fondamentale per la costruzione di armi atomiche) oltre il 60 per cento. È una soglia vicina ma comunque inferiore rispetto al 90 per cento necessario a costruire un’arma nucleare, la preoccupazione maggiore degli Stati Uniti.

L’Iran accetterebbe inoltre di smettere di compiere attacchi contro i contractor statunitensi presenti in Siria e Iraq e di vendere missili balistici alla Russia, il cui esercito potrebbe usarli in Ucraina come ha ampiamente fatto con i droni acquistati dall’Iran nel corso dell’ultimo anno e mezzo.

Le richieste dell’Iran sarebbero soprattutto di natura economica: agli Stati Uniti sarebbe stato chiesto di permettere al governo iraniano di accedere a miliardi di dollari attualmente bloccati dalle sanzioni imposte negli ultimi anni, forse accettando alcuni vincoli sul loro utilizzo, di evitare di inasprire le sanzioni già in vigore e di introdurne altre.

Come detto, i negoziati appena avviati sono in una fase ancora molto preliminare e se Stati Uniti e Iran riusciranno a mettersi d’accordo è ancora tutto da vedere. Così com’è, comunque, la possibile intesa sembra andare nella direzione dell’accordo del 2015, che limitava fortemente le attività dell’Iran in cambio di un alleggerimento delle sanzioni.

Secondo il New York Times, i primi colloqui si sarebbero svolti questa primavera in Oman, paese della penisola araba, e che la possibile intesa sarà informale e non scritta. Alcuni funzionari iraniani l’hanno definita un «cessate il fuoco politico», e da come ne hanno parlato sia il New York Times che alcune altre fonti intervistate sembra che l’obiettivo sia prima di tutto placare le tensioni tra le due parti, creare uno spazio di dialogo e prendere tempo per accordarsi in futuro in modo più strutturato. Anche perché un accordo formale richiederebbe l’approvazione del Congresso, che in questo momento, anche per le tensioni interne alla politica americana, è particolarmente ostile all’Iran.

Negli ultimi anni, e soprattutto nell’ultimo anno, al peggioramento delle relazioni tra Iran e Stati Uniti hanno contribuito una serie di fattori: oltre al fallimento dei negoziati sul nucleare, e all’accumulo di uranio arricchito da parte dell’Iran, anche la guerra in Ucraina, in cui l’Iran ha fatto capire molto chiaramente di stare dalla parte della Russia, a cui ha venduto armi, e la brutale repressione delle proteste antigovernative dello scorso autunno.

Sulla possibilità di una cauta ripresa delle attività diplomatiche sono arrivati segnali incoraggianti dai governi di entrambe le parti.

La Guida suprema dell’Iran Ali Khamenei, la principale figura politica e religiosa del paese, in modo piuttosto inaspettato ha detto proprio mercoledì che potrebbe approvare un accordo coi paesi occidentali ad alcune condizioni, e che l’Iran dovrebbe mantenere un certo grado di cooperazione con le autorità internazionali che sorvegliano le sue attività nucleari. Da parte loro, la scorsa settimana gli Stati Uniti hanno autorizzato una deroga alle sanzioni in corso per permettere all’Iraq di pagare l’equivalente di oltre due miliardi e mezzo di euro di debiti energetici all’Iran, anche in questo caso con alcuni vincoli sull’utilizzo di quel denaro (sembra soprattutto per risorse alimentari e sanitarie per i cittadini iraniani).

Le attività diplomatiche tra Iran e Stati Uniti sono cautamente riprese alla fine dell’anno scorso con alcuni incontri diplomatici. I colloqui in Oman dello scorso maggio sono stati svolti da Brett McGurk, coordinatore del Consiglio di sicurezza nazionale per il Medio Oriente e il Nord Africa, e da una delegazione iraniana che comprendeva il vice ministro degli Esteri Ali Bagheri Kani. Prima ancora Robert Malley, il rappresentante speciale degli Stati Uniti per l’Iran (cioè la persona all’interno dell’amministrazione americana che si occupa delle politiche iraniane) aveva organizzato alcuni incontri con Amir Saeid Iravani, rappresentante del governo iraniano alle Nazioni Unite. Anche questi sembrano essere segnali incoraggianti: durante i passati negoziati per riprendere gli accordi del 2015 l’Iran non aveva accettato di incontrare direttamente funzionari statunitensi.