Nelle zone allagate dell’Ucraina non si sa più dove sono le mine

Le acque le hanno spostate e trascinate a valle: sono un pericolo per la popolazione di Kherson e per i soccorsi

I soccorsi nell'area di Kherson (AP Photo/Evgeniy Maloletka)
I soccorsi nell'area di Kherson (AP Photo/Evgeniy Maloletka)

Tra i numerosi e gravissimi problemi provocati dalla distruzione della diga nelle vicinanze della città di Nova Kakhovka, nella regione di Kherson, c’è anche la presenza nell’area allagata di numerosi campi minati. Le mine antiuomo e anticarro sono state mosse dall’acqua e rappresentano ora un ancora maggiore pericolo per la popolazione locale ma anche per chi si occupa dei soccorsi.

La distruzione della diga, che si trova in un’area controllata dall’esercito russo, sta causando allagamenti in una grande area sulle due sponde del fiume Dnipro: quella occidentale è sotto il controllo dell’esercito ucraino, quella orientale è sotto occupazione russa. Le inondazioni causate dalle acque del bacino idrico prima contenuto dalla diga da martedì hanno sommerso almeno 30 fra città e villaggi, rendendo necessaria l’evacuazione di migliaia di persone.

Erik Tollefsen, capo dell’unità della Croce Rossa che si occupa fra le altre cose proprio del problema delle mine, ha detto all’agenzia AFP: «Prima sapevamo quali erano le zone pericolose, ora non lo sappiamo più. Sappiamo solo che le mine sono da qualche parte verso valle, trascinate dalla corrente».

Molte delle mine antiuomo, secondo testimonianze dell’esercito ucraino, sarebbero diventate mine galleggianti: potrebbero esplodere scontrandosi con altri detriti trascinati dalle acque, o riposizionarsi casualmente sul terreno, continuando a essere un pericolo anche quando il livello delle acque scenderà.

L’evacuazione nelle zone inondate, sulla sponda del Dnipro sotto il controllo ucraino (AP Photo/Evgeniy Maloletka)

La diga è stata distrutta nelle prime ore di martedì, con ogni probabilità da un’esplosione: Ucraina e Russia da allora si accusano reciprocamente di averne causato il crollo, anche se l’ipotesi di gran lunga più plausibile è che la responsabilità sia della Russia. Un’esplosione interna della diga, controllata dalla Russia, è considerata al momento la causa più plausibile, mentre un attacco dall’esterno avrebbe richiesto l’impegno di molte forze e con esiti meno certi.

Da allora circa 30 città e villaggi sono stati allagati, una ventina nei territori controllati dall’Ucraina e una decina in quelli occupati dalla Russia. L’acqua è arrivata anche a Kherson, la maggiore città dell’area, tornata sotto il controllo ucraino a novembre, quando l’esercito russo ha deciso di arretrare la propria linea difensiva sulla sponda orientale del Dnipro. A Kherson quasi 2.000 abitazioni sono state evacuate: il governatore regionale Oleksandr Prokudin ha comunicato che le acque avrebbero raggiunto un’altezza di oltre 5 metri in alcune vie della città, ma anche che la piena dovrebbe aver raggiunto i suoi livelli più alti mercoledì notte.

La piazza centrale di Nova Kakhovka in una immagine tratta da un video diffuso dall’amministrazione russa dell’area (Russian-controlled administration of Kherson Region via AP)

Gli amministratori locali hanno stimato in circa 40.000 le persone che dovranno essere sfollate, più o meno equamente divise fra le due sponde: l’operazione di messa in sicurezza della popolazione procede a rilento e con difficoltà. Alle condizioni già complesse si aggiungono la presenza di mine, saltuari ma costanti bombardamenti da parte dell’esercito russo e la penuria di mezzi militari, impegnati al fronte.

Le inondazioni avranno inoltre effetti a lungo termine definiti “catastrofici” sull’agricoltura, la principale risorsa della regione, mentre si teme che una prolungata presenza di acque stagnanti possa favorire lo svilupparsi di infezioni e malattie. Le inondazioni potrebbero avere effetti negativi per l’ambiente su un’area di 5.000 chilometri quadrati: il viceministro degli Esteri ucraino Andri Melnyk ha definito la distruzione della diga la «peggior catastrofe ambientale in Europa dopo Chernobyl».

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