Le aziende che vendono confezioni sempre meno piene

Pacchi di pasta da 400 grammi invece dei soliti 500 e confezioni di yogurt più piccole: è un modo per le aziende di aumentare i prezzi

(Spencer Platt/Getty Images)
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Oltre che aumentare i prezzi, le aziende hanno un altro modo per aumentare i propri margini o semplicemente per far fronte all’aumento dei costi di produzione provocato nell’ultimo anno dalla carenza di materie prime a seguito della pandemia e dai rincari dei costi energetici a causa dalla guerra in Ucraina: hanno diminuito le quantità di prodotto nelle confezioni senza cambiarne il prezzo. Il risultato è che in commercio si trovano allo stesso prezzo di prima per esempio pacchi di pasta da 400 grammi invece dei soliti 500, confezioni di yogurt più piccole, flaconi di detersivo pieni solo in parte.

È un fenomeno molto comune e in economia è chiamato “sgrammatura” (in inglese shrinkinflation o abbreviato shrinkflation): è una strategia commerciale con cui le aziende continuano a proporre i prodotti allo stesso prezzo, ma diminuendone la quantità. In questo modo il consumatore non vede l’aumento del prezzo, che emotivamente è più impattante nelle scelte, e spesso neanche si accorge della piccola riduzione della quantità. In altri casi, invece, il prezzo della confezione subisce, seppur in misura limitata, un aumento a fronte della riduzione del suo contenuto.

È uno stratagemma che viene utilizzato per aumentare i prezzi in maniera poco trasparente, senza che un consumatore poco attento se ne accorga.

Le associazioni dei consumatori sono molto critiche nei confronti di questa pratica, perché di fatto rende gli acquisti meno consapevoli. Per esempio, l’associazione Altroconsumo ha monitorato i prezzi e le quantità di alcuni marchi e ha segnalato che questa pratica è piuttosto comune. Per questo, suggerisce l’associazione, nelle scelte di consumo è sempre bene fare attenzione al prezzo al chilogrammo o al litro (che si trova sulle etichette degli scaffali dei supermercati) in modo da non essere “ingannati” dai prezzi delle confezioni.

La shrinkflation per molti versi è più una strategia commerciale che un fenomeno economico. Non viene usata solo in casi di aumenti eccezionali dell’inflazione tradizionale, come nell’ultimo anno, ma in generale fa parte del modo in cui le aziende più grandi determinano i prezzi.

In un articolo scientifico due economisti americani, Diego Aparicio e Roberto Rigobon, spiegano i motivi per cui le aziende perseguono queste strategie: le società che vendono migliaia di articoli diversi li inseriscono in un alcune fasce di prezzo. È una scelta molto visibile nei marchi di fast fashion, che offrono i loro articoli a 9,99 euro, 12,99 euro, 19,99 euro e così via. Quando i venditori vogliono cambiare il prezzo di un articolo non lo cambiano e basta, ma lo inseriscono in una delle categorie di prezzo preesistenti. Gli autori chiamano questo fenomeno “quantum pricing”, prendendo spunto dalla fisica quantistica, per la quale le proprietà delle particelle subatomiche non variano lungo un continuo, ma assumono valori definiti e discreti.

In tempi normali i prezzi non si muovono molto. Soprattutto nei settori ad alta concorrenza, prima di aumentare i prezzi le aziende le provano tutte prima di rischiare di perdere quote di mercato a favore di chi riesce a tenere prezzi più bassi. Aparicio e Rigobon spiegano che per le aziende è più rassicurante progettare prodotti che si adattino alle loro fasce di prezzo preferite invece che fare il prezzo sulla base dei costi di produzione.

Per esempio, nei casi di grossi cambiamenti nelle condizioni di mercato, come nel caso dell’ultimo anno in cui i costi di produzione sono aumentati moltissimo, le aziende spesso riprogettano un prodotto per adattarlo al prezzo piuttosto che fare il contrario. Possono rendere un processo di produzione meno laborioso o ridurre le dimensioni o la quantità del prodotto finito.

Nell’ultimo anno però il grosso aumento dell’inflazione ha reso più giustificato – agli occhi delle aziende e dei consumatori – un aumento dei prezzi: ad aprile l’inflazione, che misura l’aumento generale del livello dei prezzi, era del 7,6 per cento in Italia e del 7 nell’Eurozona. Le aziende quindi non si sono fatte problemi nell’aumentare i prezzi: in questi mesi i consumatori hanno accettato i consistenti aumenti dei prezzi perché li ritenevano tutto sommato giustificati da ciò che stava accadendo – prima la pandemia, poi la crisi dei commerci mondiali, infine la guerra in Ucraina e l’aumento del costo dell’energia.

La riduzione delle quantità di prodotto è stato un ulteriore modo per attutire i rincari dei costi di produzione e di aumentare i margini. È tuttavia in corso una discussione piuttosto articolata sul fatto che, poiché molti fenomeni che avevano provocato l’aumento dei prezzi sono ormai esauriti, le aziende stiano in realtà cercando di approfittarsi della situazione, e stiano continuando ad aumentare i prezzi e ridurre le quantità senza giustificazioni.

– Leggi anche: Le aziende stanno speculando sull’inflazione?

In Italia due casi hanno attirato l’attenzione dei consumatori ultimamente tra i prodotti di largo consumo: i formati dei vasetti dello yogurt greco Fage, le cui confezioni da 170 grammi si sono ridotte a 150, quelle da 500 a 450, e quelle da 1 chilo a 950 grammi; l’altro caso è quello di Barilla, che ha introdotto una nuova linea di pasta trafilata al bronzo che si trova solo nei formati da 400 grammi, invece dei soliti 500 (Barilla, in un comunicato al Post, ha ricordato che la pasta con pacchi da 400 grammi è un prodotto con caratteristiche differenti dall’abituale pasta da 500 grammi che rimane in commercio).

La shrinkflation non nasce ora. Nel 2016 fece molto discutere la decisione dell’azienda che produce il Toblerone, la tavoletta di cioccolato fatta a piramidi, di cambiare forma per ridurre la quantità di cioccolato e nocciole al suo interno: fu presa solo per il mercato britannico, a seguito dell’aumento dei costi delle materie prime usate nella produzione. Il peso del Toblerone da 400 grammi fu ridotto a 360, mentre quello da 170 grammi a 150. Ci furono molte critiche dietro a questa scelta perché cambiò proprio la forma della tavoletta di cioccolato, con le piramidi più lontane le une dalle altre. Dopo anni di critiche da parte dei consumatori, nel 2018 l’azienda tornò alla forma originaria.