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  • Sabato 13 maggio 2023

È opportuno vendere gelati appena fuori da Auschwitz?

Il museo dell'ex campo di concentramento nazista ritiene che sia irrispettoso e inadatto al contesto

Dal profilo Twitter del politologo Ian Bremmer
Dal profilo Twitter del politologo Ian Bremmer
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Da una decina di giorni al museo di Auschwitz, il più famoso campo di concentramento nazista, in Polonia, si discute molto di un chiosco di gelati che ha appena aperto vicino all’ingresso. Il museo, per esempio, lo ritiene inadatto al luogo e irrispettoso della sua tragica storia, ma dice anche di non avere strumenti legali per farlo spostare.

Il campo di concentramento di Auschwitz, in cui si stima siano morte almeno un milione di persone, è visitabile come museo fin dal 1946, anno successivo alla liberazione dei suoi prigionieri con la fine delle Seconda guerra mondiale. Ci vanno ogni anno centinaia di migliaia di visitatori e di recente è spesso al centro di polemiche e discussioni per l’approccio prettamente turistico, quindi secondo alcuni irrispettoso, di alcune persone che lo visitano.

Il chiosco in questione vende sia gelati che waffle, le cialde a nido d’ape molto vendute in diversi paesi europei, ed è stato allestito a inizio maggio a circa 200 metri dal noto ingresso del museo di Auschwitz, quello in cui entravano i treni carichi di persone deportate: soprattutto ebrei, ma anche persone di etnia rom e prigionieri di guerra.

L’ingresso del museo di Auschwitz (AP Photo/Matthias Schrader, file)

Il proprietario del chiosco è un privato ed è privato il suolo su cui è stato allestito: il chiosco ha un’insegna rosa shocking che dice «Icelove», e negli ultimi giorni sono circolate diverse foto che lo ritraggono, mostrandone la vicinanza con l’ingresso del museo.

Il chiosco è stato contestato da diversi residenti della zona, che ritengono inopportuna la vendita di gelati in un luogo come Auschwitz, dedicato per volontà degli stessi sopravvissuti alla commemorazione dell’Olocausto e al cui interno è vietato mangiare, parlare al telefono e in alcuni casi scattare fotografie, sempre come segno di rispetto.

Paweł Sawicki, portavoce del museo, ha definito il chiosco «un esempio non solo di cattivo gusto estetico, ma anche di mancanza di rispetto per il vicino sito storico speciale». Sawicki ha fatto sapere alla Jewish Telegraphic Agency, la principale agenzia stampa al mondo rivolta alla comunità ebraica, che il chiosco è stato aperto in un’area esterna al perimetro legale del museo, e la direzione non può quindi materialmente fare nulla per chiuderlo o per allontanarlo. Per questo Sawicki ha detto di augurarsi che vengano presi provvedimenti dalle autorità cittadine.

Sulla questione è intervenuto anche il sindaco di Oświęcim, il comune polacco all’interno del quale si trova il museo, che ha fatto sapere che il chiosco è stato aperto sulla base di un accordo tra il suo proprietario e il proprietario del suolo. La rivista online Notes from Poland scrive che le autorità cittadine hanno avviato alcune indagini per capire se l’apertura del chiosco abbia ricevuto o meno l’approvazione – necessaria, dice il sindaco – del governo provinciale.

Un funzionario della città ha poi detto al quotidiano polacco Gazeta Krakowska che sono state avviate delle procedure per spostare il chiosco, ma non è chiaro esattamente quando succederà.

Le polemiche su come Auschwitz venga vissuto come una semplice attrazione turistica sono frequenti: spesso riguardano i selfie sorridenti che molti visitatori si scattano di fronte all’ingresso o all’interno del sito, altre volte le foto di chi fa equilibrismi sui binari dei treni su cui venivano deportati i prigionieri. Nel 2015 si era discusso anche della decisione dello stesso museo di installare degli spruzzi d’acqua affinché i visitatori potessero rinfrescarsi nei mesi più caldi, che però, secondo alcuni critici, ricordavano le “docce” all’interno del campo, cioè le camere a gas usate per sterminare i prigionieri.

Non tutti sono d’accordo nel ritenere inappropriata la presenza di un chiosco di gelati in un posto del genere.

Il giornalista Lev Gringauz, che lavora in un piccolo giornale della comunità ebraica in Minnesota (Stati Uniti), ha fatto notare su Twitter che la zona di Minsk, in Bielorussia, dove parte della sua famiglia è stata uccisa dai nazisti perché ebrea è molto vicina a un fast food di McDonald’s. «Per quanto vorrei che ogni spazio in cui si ricorda lo sterminio degli ebrei fosse soltanto un memoriale, dobbiamo convivere col fatto che queste atrocità sono state commesse in uno spazio pubblico, e che la vita “normale” oggi va avanti, in questi spazi», ha scritto Gringauz.