Il disastro di Sarno, 25 anni fa

Una lunga serie di frane causò “colate rapide di fango” che colpirono le province campane di Avellino, Caserta e Salerno: morirono 160 persone

Sarno dopo l'alluvione (CIRO FUSCO/ANSA/BGG).
Sarno dopo l'alluvione (CIRO FUSCO/ANSA/BGG).

Il 5 maggio del 1998, venticinque anni fa, una lunga serie di frane colpì le province campane di Salerno, Avellino e Caserta. I comuni di Quindici, Bracigliano, Siano, San Felice a Cancello e Sarno furono investiti da 2 milioni di metri cubi di materiale. Morirono 160 persone, le case distrutte furono 178 e 450 quelle danneggiate. In migliaia rimasero senza casa. Ciò che accadde viene ricordato come l’alluvione di Sarno perché molte delle vittime (137) furono proprio in quella città, nel salernitano. Fu il più grave dissesto idrogeologico della storia italiana dopo le stragi del Vajont, in Friuli, del 1963, e di Stava, in Trentino, del 1985.

Dopo l’alluvione ci furono dure polemiche perché tra la prima frana e l’ultima trascorsero circa otto ore. L’aumento del numero delle vittime fu progressivo nel corso della giornata ma il maggior numero di persone morì a causa dell’ultima frana, attorno a mezzanotte, nella frazione di Episcopio, a Sarno. Se fosse stata evacuata i morti sarebbero stati molti meno. E se molti abitanti di quella frazione non avessero deciso di abbandonare volontariamente le case sarebbero stati ancora di più.

Le frane che colpirono la zona quel giorno furono della tipologia chiamata “colate rapide di fango”, cioè frane che non coinvolgono la roccia ma il materiale che si trova sopra. Questo tipo di frana si muove molto rapidamente coinvolgendo i corsi d’acqua che si trovano nell’area interessata. Queste colate rapide sono causate solitamente dalle piogge intense, perché l’acqua si infiltra nel terreno e lo mette in moto.

Nelle 48-72 ore prima delle frane piovve molto in Campania: 150 millimetri nella zona di Sarno, 240 millimetri nei paesi collinari e 400 millimetri nella zona montuosa da dove partirono poi le colate.

La prima colata rapida di fango si staccò dal versante nordest del Pizzo d’Alvano, nella zona di Quindici, e sfiorò le case. Circa due ore più tardi una frana di dimensioni maggiori colpì il paese fino al centro cittadino, invadendo strade e case. Morirono undici persone.

Il salvataggio di una persona a Sarno il 6 maggio 1998 (CIRO FUSCO/ANSA/CD)

Contemporaneamente, sull’altro versante, si staccarono altre colate che colpirono i paesi di Siano, Bracigliano e Sarno. Alle 16:45 un funzionario di polizia di Sarno avvertì la prefettura di Salerno delle frane mentre un quarto d’ora prima, alle 16:30, il parroco della frazione di Episcopio aveva telefonato ai vigili del fuoco preoccupato per l’acqua che stava scendendo dal Pizzo d’Alvano. Alle 18 due colate colpirono Sarno, nella frazione di Episcopio e nella parte più a est. Qui ci furono i primi tre morti di Sarno. Alla stessa ora un’altra frana colpì Quindici.

Alle 18:30 il prefetto di Salerno convocò il Centro coordinamento dei soccorsi che si riunì circa venti minuti dopo. Alle 19, ma solo in base a notizie informali, l’Ufficio volontariato del Dipartimento della Protezione Civile di Roma allertò le associazioni di volontariato della zona.

Attorno alle 20 una serie di colate molto potenti colpì Sarno, soprattutto le frazioni di Episcopio e San Vito. Morirono altre 47 persone. Intanto i primi nuclei di volontari, e cioè la colonna Vesuvio composta da 12 associazioni locali e vigili del fuoco in pensione, aveva raggiunto la zona. Alle 22 un’altra colata di fango invase viale Margherita, a Sarno: morirono quattro persone.

I feriti furono portati all’ospedale Villa Malta di Sarno. Alle 22:30 il prefetto di Salerno inviò il primo fax alla Protezione Civile a Roma informando di consistenti movimenti franosi a Bracigliano, Siano e Sarno e comunicando l’avvenuta evacuazione di alcune famiglie ricoverate in istituti scolastici. Furono richiesti all’esercito 300 lettini.

Alle 24 Sarno fu colpita dalle ultime colate, le più forti, che invasero case e strade e fecero crollare l’ospedale. Morirono 86 persone. Oltre ai morti di Sarno e Quindici morirono sette persone a Bracigliano, cinque a Siano e una a San Felice a Cancello.

Ci furono molte polemiche sulla lentezza dei soccorsi e sulle mancate evacuazioni di alcune zone di Sarno. Il sindaco Gerardo Basile fu accusato di omicidio colposo plurimo. Venne assolto nei primi due gradi di giudizio ma la Corte di Cassazione annullò l’assoluzione e ordinò un nuovo processo d’appello. Secondo quanto scrisse la Corte la condotta del sindaco durante le ore dell’alluvione fu «passiva». I giudici della Cassazione motivarono la decisione scrivendo che nei processi di primo e di secondo grado non era stato tenuto conto di come un piano della Protezione Civile del 1995 indicasse come «alto» il rischio di frane nel comune di Sarno.

Secondo le sentenze di primo e di secondo grado, inoltre, solo alle 20 ci si era accorti che le colate rapide di fango non avevano le dimensioni di quelle degli anni precedenti ma erano invece decisamente più consistenti e pericolose. Per la Cassazione il pericolo era già molto chiaro alle 16:15, quando un’abitazione fu colpita e sommersa da un’ondata di fango di quattro o cinque metri. La Corte nelle motivazioni della sentenza parlò di un coordinamento dei soccorsi «sbandato» e «disorientato». Paragonò ciò che era accaduto a Sarno con ciò che invece era stato fatto a Quindici, Siano e Bracigliano dove con una sola auto con megafono il comune aveva allertato la popolazione.

Nel 2011 la Corte d’Appello di Napoli condannò il sindaco Basile a cinque anni di reclusione e la Cassazione confermò la sentenza nel 2013.

Il 29 novembre del 2022 il comune di Sarno è stato condannato a risarcire i parenti delle persone morte in quel 1998 e coloro che si costituirono parte civile nel processo penale. I risarcimenti stabiliti dai giudici erano stati pagati dallo Stato che poi si era rivalso sul comune. Sia il Tribunale sia la Corte d’Appello avevano però respinto la richiesta da parte dello Stato (il ricorso era da parte della presidenza del Consiglio dei ministri e del ministero dell’Interno) perché secondo loro il comune non c’entrava nulla con la condotta del sindaco. La Corte di Cassazione ha invece deciso che la responsabilità diretta della pubblica amministrazione c’è anche quando «il fatto, penalmente illecito, commesso dal sindaco non [avviene, ndr] attraverso un atto autoritativo ma con una omissione».