L’intelligenza artificiale sta già sostituendo chi scrive i messaggi dei biscotti della fortuna

Potrebbe dare risultati simili in molto meno tempo, visto che quasi tutti sono inventati da chi li produce

biscotti della fortuna
(Armin Weigel/ dpa, ANSA)
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Secondo alcune stime ogni anno in tutto il mondo vengono prodotti 3 miliardi di biscotti della fortuna, i tipici biscottini croccanti e profumati a forma di mezzaluna ripiegata che vengono serviti nei ristoranti cinesi a fine pasto in vari paesi, Italia compresa. Più che per il loro sapore, questi biscotti sono noti per i messaggi che contengono: aforismi, messaggi benauguranti e frasi ironiche o a volte piuttosto criptiche. Le principali aziende che li producono si trovano negli Stati Uniti, il paese in cui se ne consumano di più, e quasi sempre sono i proprietari o i dipendenti a scrivere i messaggi, prendendo spunto da antichi proverbi o inventandoseli con un po’ di fantasia. Adesso il loro lavoro ha cominciato a farlo anche l’intelligenza artificiale.

Anche se si trovano nella gran parte dei ristoranti cinesi in Italia, Francia o in Messico, i biscotti della fortuna non si trovano comunemente in Cina e non sono un’invenzione cinese, ma si ritiene che fossero stati importati negli Stati Uniti dal Giappone a fine Ottocento (ci torniamo). Sono pensati per essere spezzati a metà e per sfilare bigliettini lunghi e stretti sui quali poi si possono leggere frasi come «Un’opportunità bussa alla porta», «Concediti qualcosa» o «Per il mondo sei qualcuno, ma per qualcuno sei il mondo intero», spesso scritte in un’altra lingua sulla parte posteriore.

È raro trovare due volte lo stesso messaggio perché parte del lavoro delle aziende che producono i biscotti della fortuna è creare continuamente nuovi messaggi proprio per evitare questa possibilità. Il problema è che è un compito lungo e faticoso.

Charles Li, proprietario e amministratore delegato della Winfar Foods, che fornisce i biscottini a 11mila ristoranti in tutti gli Stati Uniti, ha raccontato al Wall Street Journal di trascorrere ore e ore con il padre per inventarsi frasi brevi, curiose e sagaci, e di doversi affidare anche a collaboratori esterni per crearne sempre di nuove. La sua è una delle aziende che per semplificare questa attività e ridurne i tempi hanno già iniziato a sfruttare ChatGPT, il chatbot di proprietà dell’organizzazione statunitense OpenAI che grazie all’intelligenza artificiale risponde a frasi scritte o pronunciate dagli utenti, ed è in grado di creare un repertorio potenzialmente infinito di messaggi.

(Il Post)

Li ha detto di ritenere che l’intelligenza artificiale sia un’ottima risorsa per risparmiare tempo, come d’altra parte i fondatori di OpenFortune, un’azienda di marketing di New York che usa i messaggi nei biscotti della fortuna per fare pubblicità ad aziende di tutto il mondo ed è stata una delle prime del settore ad aver puntato su ChatGPT. Secondo Shawn Porat, uno dei due fondatori, è uno strumento che può creare messaggi verosimili e indistinguibili da quelli creati dalle persone, ma nel giro di pochi secondi. L’azienda ha fatto sapere di aver per così dire addestrato il chatbot per tenere in considerazione tra le altre cose la correttezza grammaticale e l’intelligenza emotiva.

Il fatto che ogni tanto i messaggi creati dal software possano risultare un po’ criptici o difficili da capire secondo Porat non è un problema: in effetti lo sono anche i messaggi ideati dagli esseri umani, che a volte vengono scritti in maniera non proprio perfetta (e a volte tradotti con traduttori automatici, si direbbe). Parte della loro curiosità e del loro fascino insomma è proprio che alcuni sembrano già scritti da un robot, ha riassunto in maniera piuttosto efficace il Wall Street Journal.

– Leggi anche: Le tipiche scatole del cibo cinese non sono cinesi

Diversi storici fanno risalire l’invenzione dei biscotti della fortuna a biscotti simili diffusi nell’Ottocento a Kyoto, in Giappone. Tra questi c’è la ricercatrice giapponese Nakamachi Yasuko, che se n’è occupata per anni, analizzando vecchi documenti e illustrazioni alla Biblioteca nazionale a Tokyo e viaggiando per il paese per cercare di ricostruire la loro storia.

I biscotti giapponesi erano più grossi rispetto a quelli che conosciamo oggi e con un impasto più scuro, perché anziché con burro e vaniglia venivano preparati con sesamo e miso, un condimento derivato dalla fermentazione della soia: erano chiamati tsujiura senbei (letteralmente “cracker della fortuna”) ed erano a loro volta accompagnati da un messaggio scritto su un foglietto di carta, che però era infilato nella piega del biscotto, e non dentro. Nakamachi ne ha trovato traccia in un’illustrazione del 1878.

Il commerciante David Jung rivendicò di aver inventato i biscotti della fortuna cinesi nel 1918, nella sua azienda alimentare a Los Angeles. Secondo le ricostruzioni più condivise, però, la prima persona ad aver servito una versione di questi biscotti negli Stati Uniti fu Makoto Hagiwara, il custode del Japanese tea garden al Golden Gate Park di San Francisco, attorno al 1890: sembra verosimile, anche perché le persone giapponesi avevano cominciato a emigrare negli Stati Uniti già alcuni decenni prima.

Al tempo stesso, i primi ristoranti cinesi negli Stati Uniti risalgono a metà Ottocento, e alla fine degli anni Cinquanta del Novecento i biscotti della fortuna erano popolarissimi (si stima che ne venissero prodotti 250 milioni ogni anno, e furono utilizzati anche in campagna elettorale dai politici Democratici Adlai Stevenson e Stuart Symington). In Italia il primo ristorante cinese, lo Shanghai, aprì a Roma nel 1949, mentre il primo di Milano fu La Pagoda, nel 1962: la grande diffusione della cucina cinese nel nostro paese cominciò però negli anni Ottanta.

L’illustrazione del 1878 in cui si vedono i tipici biscotti giapponesi (Wikimedia Commons, pubblico dominio)

Non tutte le aziende che producono i biscotti della fortuna sono convinte che l’intelligenza artificiale le aiuterà a migliorare la qualità dei bigliettini o a risparmiare tempo.

Kevin Chan, co-proprietario di un’azienda di San Francisco, dice di averne scritti circa 5mila con la madre e sostiene che farli creare a un chatbot sia «un segno che la società si sta muovendo troppo velocemente». Derrick Wong, funzionario della Wonton Food, una tra le prime aziende del settore, sembra invece combattuto. Da un lato, ai software vanno date molte istruzioni per evitare che propongano messaggi offensivi o troppo estremi; dall’altro, a suo dire, con troppe limitazioni i messaggi potrebbero risultare noiosi. I cofondatori di OpenFortune invece hanno spiegato di non scartare alcun messaggio creato dal chatbot, purché non sia offensivo: il loro obiettivo non è quello di interferire con la tradizione, bensì di migliorare un processo creativo che ritengono lungo e complesso e non si è rinnovato per oltre un secolo.

La Wonton Food oggi dice di produrre 4,5 milioni di biscotti della fortuna al giorno che distribuisce in 40mila ristoranti in tutti gli Stati Uniti e nel resto del mondo. Al momento l’azienda ha un database con circa 15mila messaggi, che toglie o reinserisce ogni anno per evitare che si possa trovare lo stesso più di una volta, spiega Wong: la gran parte è scritta sempre dalle persone interne all’azienda, che adesso sta cercando anche collaboratori esterni che la aiutino ad aggiungerne altri 5mila.

«C’è qualcosa di molto giocoso nei biscotti della fortuna, alleggeriscono la giornata», ha detto sempre al Wall Street Journal Grace Young, storica della cucina e autrice di un ricettario cinese. «È come se avessimo bisogno di un qualcosa dall’universo, una piccola notizia positiva o un messaggio di saggezza».