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  • Martedì 18 aprile 2023

Cos’è e quanto conta la causa per diffamazione contro Fox News

L'azienda che gestisce il voto elettronico negli Stati Uniti chiede 1,6 miliardi di dollari per le false accuse di brogli alle elezioni 2020

Gli studi di Fox News a New York nel 2018 (AP Photo/Mark Lennihan, File)
Gli studi di Fox News a New York nel 2018 (AP Photo/Mark Lennihan, File)
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Inizia oggi, martedì 18 aprile, nello stato americano del Delaware un atteso processo per diffamazione contro Fox News, la più famosa e influente tv di destra negli Stati Uniti. La causa è stata avviata dall’azienda informatica Dominion Voting Systems, che produce hardware e software per il voto elettronico: ha chiesto 1,6 miliardi di dollari di danni di risarcimento a Fox News sostenendo che la rete americana l’abbia accusata ripetutamente, e ingiustamente, di avere preso parte a una frode elettorale per favorire Joe Biden nelle elezioni presidenziali del 2020, danneggiando il candidato Repubblicano e presidente uscente Donald Trump.

Al di là dell’ingente richiesta danni, il processo sta attirando grandi attenzioni per le sue implicazioni sul piano mediatico – Fox News è la rete più vista fra i canali all news degli Stati Uniti, e questo è il caso più grande che l’abbia mai riguardata – sia sul piano politico. Si discuterà infatti dei limiti del primo emendamento, l’articolo della costituzione americana che garantisce la libertà di espressione. Col tempo i giudici americani hanno stabilito che va garantita a chi dice certe cose in buona fede, in estrema sintesi. La tv si appella proprio al primo emendamento per difendere la sua condotta: si dovrà stabilire insomma se Fox News sia ancora da considerare un organo di informazione, e possa godere delle tutele previste, oppure sia sostanzialmente diventata un organo di propaganda, che diffonde notizie false sapendo di farlo.

Fox News in questi anni ha appoggiato con forza il partito Repubblicano e le sue frange più estreme, nonché l’ex presidente Trump, con pratiche giornalistiche molto aggressive e spesso poco aderenti al racconto della realtà.

Dopo le elezioni presidenziali del 2020 Trump e i suoi più stretti alleati e collaboratori iniziarono a ripetere la falsa teoria che i risultati elettorali fossero stati truccati per favorire Joe Biden. In particolare fu proposta più volte, ospitata sui canali Fox e ripetuta da alcuni dei suoi presentatori più noti, una teoria complottista che aveva al centro le macchine per il voto elettronico prodotte da Dominion. Si sosteneva che l’azienda avesse previsto un algoritmo segreto che poteva spostare i voti da un candidato all’altro e che fosse stata fondata in Venezuela per aiutare il leader autoritario del paese Hugo Chávez, ostile soprattutto ai Repubblicani, a falsare le elezioni.

L’azienda contattò ripetutamente Fox News, anche in via ufficiale, chiedendo che le informazioni, palesemente false, fossero corrette. Ma la rete televisiva continuò a impostare il suo racconto su quella linea. Qualche mese dopo l’ufficio legale della Dominion avviò una causa per diffamazione.

Il caso Dominion riguarda anche, seppur lateralmente, l’assalto al Congresso del 6 gennaio 2021, ed è il primo sul tema ad arrivare in aula: proprio le teorie complottiste nate e diffuse nei giorni immediatamente seguenti alle elezioni e le accuse di risultati truccati hanno alimentato la radicalizzazione di parte dell’elettorato di Trump, poi sfociata nell’assalto al Congresso e nel tentativo di sovvertire il risultato elettorale impedendo che Biden entrasse in carica. La discussione in tribunale non dovrebbe comunque arrivare a coinvolgere quei fatti, ma inevitabilmente si parlerà anche di quello, data la grande influenza di Fox News sulle frange più radicali della destra americana.

Il processo che inizierà martedì non dovrà definire se le accuse ripetute a Fox News siano vere o false. Eric Davis, giudice del Tribunale superiore del Delaware (stato che ha giurisdizione in quanto sede legale di entrambe le aziende in causa) ha già chiuso questa questione quando ha deciso di istituire il processo, rifiutando quindi la richiesta di archiviazione. Ha scritto nelle motivazioni: «Le prove portate nel procedimento civile dimostrano in modo CHIARO ed EVIDENTE [crystal clear, scritto in maiuscolo e grassetto, ndr] che nessuna delle accuse riguardo a Dominion sulle elezioni del 2020 è vera».

Un bozzetto del giudice Eric Davis del Tribunale superiore del Delaware (Elizabeth Williams via AP)

Per vincere la causa e dimostrare che è esistita un’effettiva diffamazione gli avvocati dell’azienda informatica dovranno però provare che le affermazioni sono state ripetute dalla rete televisiva non per errore o per ignoranza della realtà, ma che quella tesi fosse frutto di “effettiva malafede” (“actual malice”).

È una discriminante prevista dalla legislazione americana, una delle più garantiste al mondo riguardo alla libertà di stampa, introdotta da una sentenza della Corte Suprema del 1964 in un caso relativo al New York Times (New York Times v. Sullivan). Si stabilì che l’accusa dovesse dimostrare che il giornale aveva pubblicato informazioni pur essendo pienamente cosciente della loro falsità, o con un totale disinteresse riguardo alla loro veridicità.

Nei paesi anglosassoni vige il sistema giuridico definito common law, basato sui precedenti giudiziari più che sui codici: questo precedente rende le cause per diffamazione particolarmente complesse negli Stati Uniti. Il caso specifico è però ritenuto da molti osservatori ed esperti legali molto solido, per la grande quantità di prove raccolte sul fatto che all’interno di Fox News si fosse a conoscenza della falsità delle accuse. Lee Levine, un avvocato che si è occupato per tutta la carriera di cause legate al primo emendamento difendendo aziende dei media fra cui CBS e Fox, ha detto a CBS: «Non ho mai visto un caso relativo a una figura pubblica in cui le prove di effettiva malafede da portare davanti alla giuria fossero più forti».

Le macchine per il voto della Dominion (AP Photo/Andres Leighton, File)

Nei mesi precedenti al processo sono infatti circolate le prove raccolte dall’accusa che verranno usate durante il processo, che dovrebbe durare circa cinque-sei settimane. Comprendono conversazioni, email e chat private fra i giornalisti e i dirigenti di Fox News: quei dialoghi sembrano mostrare che i massimi esponenti della tv erano consapevoli della falsità delle accuse dei Repubblicani più vicini all’ex presidente Donald Trump, a cui però hanno continuato a garantire spazio e credito in onda.

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Lo stesso Rupert Murdoch, proprietario di Fox News, in una dichiarazione sotto giuramento precedente al processo ha confermato che diversi dei propri conduttori di spicco – tra cui Sean Hannity, Maria Bartiromo, Jeanine Pirro e Lou Dobbs – hanno contribuito a dare credibilità a queste affermazioni pur sapendo che erano bugie.

In effetti prima ancora del processo sono emersi nei documenti interni alla causa alcuni messaggi in cui Tucker Carlson sembra avere un’opinione di Donald Trump e delle sue accuse molto diversa da quella presentata in onda. Nelle sue conversazioni private Carlson ha definito il comportamento di Trump dopo le elezioni del 2020 «disgustoso», e lo definisce «una forza del demonio», un «disastro» di presidente.

Secondo molti commentatori un’eventuale vittoria di Fox News potrebbe riaprire il dibattito sulle eccessive tutele di cui godono i media americani nell’esercizio della propria libertà di stampa e di opinione nell’interpretazione corrente, molto garantista, del primo emendamento. Una vittoria di Dominion Voting Systems d’altronde potrebbe  generare una serie di cause simili da parte di altri soggetti che si ritengano ugualmente danneggiati dall’emittente, con conseguenze molto concrete per Fox News.

Anche per questo gli avvocati di Fox News hanno provato lunedì a riaprire una trattativa per un accordo extra-giudiziale, cioè un patteggiamento con l’accusa che prevede il pagamento di una cifra per chiudere la causa. Se non dovesse andare in porto, spetterà alla giuria definire l’entità dei danni causati a Dominion. I legali di Fox News hanno definito la richiesta di 1,6 miliardi di dollari «assolutamente non congrua», in quanto sostengono che l’azienda non abbia subito particolari ripercussioni sulla propria immagine e sui propri affari.

Il processo non sarà trasmesso dalle televisioni né ripreso dalle telecamere, per decisione del giudice, ma potrebbe portare sul banco dei testimoni molte delle personalità di spicco della rete e dell’azienda, con parecchie ripercussioni dal punto di vista della sua reputazione. La diffusione dei documenti e dei colloqui interni ha già mostrato come Fox News abbia preso diverse decisioni editoriali per assecondare gli elettori di Trump, che rappresentano la parte più consistente del proprio pubblico.

Dominion Voting System, che ha avuto il primo contratto per macchine per votare nel 2009 e che oggi fornisce hardware e software utilizzato in 28 stati americani, ha intentato altre cause, oltre a quella a Fox News e Fox Corp (l’azienda più grande di cui fa parte la rete televisiva). Ha citato per danni, con ragioni simili, anche gli avvocati di Donald Trump Rudy Giuliani e Sidney Powell, oltre ai media Newsmax e One America News Network, entrambi di estrema destra.

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