• Mondo
  • Martedì 4 aprile 2023

Cosa vuol dire far parte della NATO

Significa soprattutto ricevere protezione militare ma implica anche rispettare obblighi di natura politica, come si è visto durante tutto il processo di adesione della Finlandia

(Justin Tallis - Pool/Getty Images)
(Justin Tallis - Pool/Getty Images)
Caricamento player

Martedì la Finlandia è diventata il 31esimo paese membro della NATO, concludendo un processo iniziato dopo l’invasione russa dell’Ucraina e mettendo fine alla neutralità che il paese aveva scelto di mantenere per molto tempo. Dal punto di vista militare, ma anche politico, l’entrata nella NATO ha diverse implicazioni che riguardano nuove garanzie ma anche molti obblighi che non è sempre facile rispettare: l’adesione all’alleanza militare fornisce anzitutto protezione militare, ma richiede anche il rispetto di numerosi requisiti, tra cui quello di essere una democrazia.

La protezione
La NATO (acronimo che sta per Organizzazione del Trattato dell’Atlantico del Nord) è un’alleanza militare e politica fondata nel 1949, pochi anni dopo la fine della Seconda guerra mondiale, per contrastare l’influenza dell’Unione Sovietica in Europa. Oggi ne fanno parte 31 paesi dell’America settentrionale e dell’Europa che condividono alcuni valori politici e che soprattutto hanno concordato alcuni princìpi di difesa comune, il più importante dei quali è descritto nell’articolo 5 del trattato fondativo (che si chiama ufficialmente Trattato Nord Atlantico o trattato di Washington, perché fu firmato nel 1949 nella capitale americana). La parte più importante dell’articolo 5 dice:

Le parti convengono che un attacco armato contro una o più di esse in Europa o nell’America settentrionale sarà considerato come un attacco diretto contro tutte le parti.

Questo non significa che i paesi NATO siano automaticamente costretti a entrare in guerra quando un altro paese viene attaccato: l’articolo 5 (assieme all’articolo 4, che si occupa comunque della mutua difesa) prevede tutta una serie di passaggi e di consultazioni, e non obbliga a dare una risposta militare in caso di attacco ostile.

– Leggi anche: Cosa dicono gli articoli 4 e 5 del Trattato NATO

In ogni caso, la protezione fornita dalla NATO e dall’articolo 5 è la ragione principale per cui i paesi membri sono entrati nell’organizzazione negli ultimi decenni. Anche il governo finlandese, nella pagina internet ufficiale in cui spiegava ai suoi cittadini le ragioni e le necessità della sua scelta, diceva piuttosto chiaramente:

L’effetto più importante dell’ingresso della Finlandia nella NATO sarebbe che la Finlandia diventerebbe parte della difesa collettiva della NATO e sarebbe coperta dalle garanzie di sicurezza descritte dall’Articolo 5 del Trattato Nord Atlantico. La difesa della Finlandia avrebbe un effetto deterrente che sarebbe notevolmente maggiore di quello attuale, perché basato sulle capacità militari di tutta l’Alleanza.

I requisiti da avere e da mantenere
Per entrare nella NATO, la Finlandia e tutti i paesi prima di lei hanno dovuto rispettare alcuni requisiti non solo di tipo militare, ma anche politico. Sono cinque: i nuovi membri devono essere democrazie che tollerano la diversità e economie di mercato quanto meno in formazione; le loro forze armate devono essere fermamente sotto il controllo civile; i governi devono avere buone relazioni con i loro vicini e rispettare la sovranità dei paesi fuori dai propri confini; devono inoltre lavorare per raggiungere la compatibilità con le forze NATO.

Di questi cinque requisiti merita probabilmente una spiegazione il terzo, quello per cui le forze armate devono essere poste sotto il controllo civile: è una cosa fondamentale nei sistemi democratici (ma non soltanto), perché significa che le decisioni sull’utilizzo della forza militare non sono lasciate ai comandi militari ma alla leadership politica eletta dalla popolazione. È l’elemento fondamentale che divide le dittature militari dagli altri sistemi politici.

Un altro requisito fondamentale per l’ingresso nella NATO riguarda la “compatibilità” tra le forze armate. Compatibilità è un termine piuttosto generico che può riferirsi a molte cose, ma che sintetizzando significa che ogni paese deve impegnarsi a raggiungere il massimo livello di cooperazione con gli altri, sia nelle decisioni sia nell’attività militare. Le leadership politiche e militari dei paesi membri entrano per esempio a far parte del North Atlantic Council, il principale organo decisionale dell’Alleanza, oltre che negli altri organi decisionali.

Soprattutto a livello militare raggiungere la compatibilità con gli altri paesi membri significa rispettare quelli che dentro alla NATO sono definiti “standard”, cioè delle procedure condivise che consentano alle diverse forze armate di lavorare assieme e di coordinarsi senza attriti. Gli “standard” della NATO sono decine, ed esistono uffici ed enti creati apposta per tenerli aggiornati e assicurarsi che siano rispettati: riguardano la raccolta dell’intelligence, le comunicazioni crittografate, l’uso delle munizioni, le manovre aeree, le manovre dei sottomarini, la logistica militare e così via.

Per paesi come la Finlandia molte di queste “standardizzazioni” (è il termine tecnico quando si parla del raggiungimento di un certo standard) saranno facili, perché da decenni ha un rapporto molto stretto e collaborativo con la NATO, e segue già buona parte delle sue pratiche.

A livello teorico, poi, tutti i paesi devono armonizzare le proprie dottrine militari, cioè il complesso di analisi, studi e ragionamenti fatti dalle persone che si occupano di strategia militare nelle forze armate e nella politica di un paese, e che definiscono la postura di quel paese quando si tratta dell’approccio alla guerra e alla difesa. La NATO ha una dottrina militare condivisa che si chiama “Concetto strategico”, che viene aggiornata periodicamente con il consenso di tutti i paesi membri e a cui tutti i paesi devono aderire.

L’obiettivo finale di tutti questi processi dovrebbe essere quello dell’“interoperabilità”, un termine tecnico molto in voga in ambito militare che indica l’eliminazione di tutti gli attriti nel processo di collaborazione. L’idea è che gli standard militari diventino così omogenei che un ufficiale italiano possa comandare un battaglione polacco anche senza nessuna o con pochissima preparazione precedente, perché le procedure, l’equipaggiamento e le strategie sono le stesse tra tutti i paesi membri. È un obiettivo evidentemente complicato da raggiungere.

Un soldato finlandese prende parte a un’esercitazione della NATO nel 2015 (AP Photo/Czarek Sokolowski, File)

Gli obblighi
Un paese che entra nella NATO ha anche alcuni doveri da rispettare. Dal punto di vista economico deve impegnarsi a fare in modo che almeno il 2 per cento del suo prodotto interno lordo sia destinato alla spesa militare (un impegno che la maggior parte dei paesi membri non mantiene) e deve contribuire al budget comune della NATO, che mantiene l’infrastruttura civile e militare dell’Alleanza. Il budget della NATO per il 2023 ammonta a 3,27 miliardi di dollari a cui l’Italia contribuisce per l’8,7 per cento, in proporzione alla dimensione della sua economia.

Soprattutto, l’ingresso nella NATO comporta la disponibilità da parte dei paesi membri a partecipare alle missioni militari, alle operazioni di “deterrenza e difesa” e alle esercitazioni militari congiunte, che sono due cose molto diverse.

Per quanto riguarda le esercitazioni militari congiunte, in realtà, parteciparvi è considerato molto spesso un privilegio: alla NATO appartengono alcune delle forze armate più efficienti e qualificate del mondo, e addestrarsi secondo gli standard della NATO partecipando alle esercitazioni significa addestrarsi a livelli estremamente alti. Per questo numerosi paesi non membri (compresa la Finlandia prima di entrare) partecipano periodicamente alle esercitazioni delle forze armate della NATO.

Sulle missioni militari e sulle operazioni di “deterrenza e difesa” la questione è complessa. Con “missioni” la NATO intende una lunga serie di operazioni militari all’estero: alcune sono di natura più prettamente bellica, come per esempio le operazioni militari contro il dittatore libico Muhammar Gheddafi nel 2011; altre sono missioni antiterrorismo o di protezione, come per esempio varie azioni contro la pirateria nell’Oceano Indiano condotte negli anni scorsi.

Ci sono poi le operazioni cosiddette di “deterrenza e difesa”, cioè quelle in cui la NATO utilizza le forze militari a sua disposizione per difendere i paesi membri. Per esempio nei paesi membri nell’Europa orientale, più esposti a una potenziale minaccia russa, a partire dal 2014 sono stati stanziati migliaia di soldati NATO con una funzione appunto di difesa, il cui numero è aumentato dopo l’invasione russa dell’Ucraina.

Una volta che una missione o un’operazione di difesa è stata decisa, la raccolta delle forze necessarie per metterla in atto avviene su base volontaria. Ciascun paese può anche imporre dei “caveat”, cioè delle particolari misure di tutela o delle regole d’ingaggio per le sue forze che partecipano a una missione. Si stabilisce poi quale o quali paesi prenderanno di volta in volta il comando di ciascuna missione. Ovviamente, nella pratica, al momento di decidere l’invio di forze per una missione interviene tutta una serie di fattori, non soltanto militari e di strategia ma anche politici: difficilmente un paese può rifiutarsi di contribuire alle missioni, ma può variare la portata del proprio contributo di volta in volta.

L’ingresso nella NATO non comporta invece l’apertura di basi militari straniere o lo stanziamento di truppe straniere. Ciascun paese NATO mantiene la piena sovranità nel decidere se vuole permettere che truppe, basi, armamenti o attrezzature si trovino o meno sul proprio territorio. Alcuni paesi, anzi, al momento dell’ingresso nella NATO hanno negoziato particolari restrizioni che vietano la presenza di armi e di basi militari in tempo di pace: è il caso per esempio di Norvegia e Danimarca.