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  • Giovedì 23 marzo 2023

La Bolivia festeggia il giorno del mare, anche se il mare non ce l’ha

Ma l'ha avuto, prima di perdere l'affaccio dopo una guerra col Cile: da anni prova a riottenerlo, e ha perfino una Marina militare

Bolivia dia del mar
Una donna durante le celebrazioni per il Día del Mar a La Paz, il 23 marzo del 2018 (AP Photo/ Juan Karita)
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Ogni anno il 23 marzo in Bolivia si celebra il Día del Mar, il giorno del mare, una ricorrenza bizzarra se si considera che la Bolivia un affaccio sul mare non ce l’ha. Il Día del Mar commemora la prima battaglia della Guerra del Pacifico (da non confondere con quella tra Stati Uniti e Giappone durante la Seconda guerra mondiale), combattuta a fine Ottocento tra il Cile e l’alleanza tra Bolivia e Perù, in seguito alla quale la Bolivia perse il suo sbocco sul mare. Ancora oggi i boliviani accusano il Cile di averglielo “rubato” e l’argomento è al centro delle tensioni diplomatiche tra i due paesi.

Il 23 marzo i boliviani ricordano la battaglia di Calama (o del Topáter), che si combatté nel 1879 contro le truppe cilene. Nella capitale La Paz si tiene una grande parata militare in onore di Eduardo Abaroa, uno dei leader della resistenza boliviana, che morì durante la battaglia. Sia a La Paz che nel resto del paese ci sono poi feste e celebrazioni per ricordare la guerra, ma soprattutto per rivendicare l’affaccio sul mare.

La Bolivia è un paese di circa 12 milioni di abitanti: confina a nord con il Perù e il Brasile e a sud con il Cile, l’Argentina e il Paraguay, l’unico altro paese del Sud America a non avere un accesso al mare. Sorge in un territorio molto vario, che comprende parte dell’altopiano andino, parte della foresta Amazzonica e parte del deserto di Atacama. Fino a circa 150 anni fa, il suo territorio si estendeva fino all’oceano Pacifico.

Bianca De Marchi Moyano, ricercatrice boliviana-italiana dell’Istituto di studi internazionali all’Università Arturo Prat del Cile, spiega che l’identità boliviana «si basa su una relazione contro il Cile». De Marchi, esperta di border studies (cioè studi che riguardano i confini fra vari paesi), racconta che in Bolivia «il Cile è il nemico, il nemico di guerra che ha rubato il mare»: a scuola viene insegnato «a rivendicare il mare e pensare ai cileni come a quelli che lo hanno rubato», e si imparano inni e canzoni per reclamare il mare perduto. Sempre a causa dell’espansionismo del Cile nell’Ottocento, esiste una diffusa ostilità verso il paese anche in Perù, e in misura minore in Argentina.

In Bolivia ci sono state guerre più sanguinose di quella del Pacifico, come quella del Chaco, combattuta fra il 1932 e il 1935 con il Paraguay per una disputa territoriale legata alle risorse della regione del Gran Chaco. La guerra contro il Cile però è quella che ha influito di più sulla storia recente e sul nazionalismo in Bolivia, dice De Marchi.

Un gruppo di persone mostra cartelli con scritto “mare” durante le celebrazioni della festa nel 2018 (AP Photo/ Juan Karita)

La Guerra del Pacifico riguardò questioni legate allo sfruttamento del territorio, in particolare per l’abbondanza, tra le coste e il deserto di Atacama, di salnitro (o nitrato di potassio), usato per la fabbricazione della polvere da sparo e anche come conservante e fertilizzante.

In estrema sintesi, nel 1866 Bolivia e Cile firmarono un accordo per regolamentare le attività di estrazione tra il 23esimo e il 25esimo parallelo sud e spartirsi così i ricavi e le tasse. Il conflitto si sviluppò quando alcuni anni dopo le autorità boliviane imposero una tassa di 10 centesimi per ogni quintale di merce esportata dalla Compañía de Salitres y Ferrocarril de Antofagasta (CSFA), una società cilena che si occupava soprattutto del commercio di salnitro nella città portuale boliviana di Antofagasta.

Il Cile ritenne l’imposizione della tassa una violazione di altri accordi precedenti. Dopo una serie di dispute, la Compañía si rifiutò di pagare e in risposta il governo boliviano revocò del tutto la sua licenza, sequestrandone i beni e mettendoli all’asta. Il giorno dell’asta, il 14 febbraio del 1879, l’esercito cileno occupò Antofagasta: il successivo primo marzo la Bolivia dichiarò guerra al Cile e in un secondo momento rese noto il patto segreto di alleanza militare che aveva stretto anni prima con il Perù, che combatté al suo fianco.

La guerra proseguì fino all’ottobre del 1883 e si concluse con il trattato di Ancón, che sancì la vittoria del Cile e stabilì la pace fra i paesi coinvolti. Il Perù perse la sua provincia di Tarapacá e la Bolivia una porzione di territorio ampia 120mila chilometri quadrati che comprendeva il suo tratto di costa, lungo circa 400 chilometri.

Il trattato di Pace e amicizia firmato nel 1904 da Bolivia e Cile stabilì che Antofagasta passasse sotto il controllo cileno, garantendo però alla Bolivia alcuni diritti di commerciare nei porti cileni sul Pacifico. I nuovi confini furono invece stabiliti solo nel 1929 con il trattato di Lima, ma con varie rivendicazioni da parte della Bolivia, che sostenne di essere stata privata dell’accesso al mare in maniera illegittima e di aver di conseguenza subìto gravi danni alla propria economia.

Nei decenni seguenti, la Bolivia provò a rivendicare le terre perse in varie occasioni, a volte avviando discussioni che sembravano promettenti, ma senza mai giungere a una conclusione. I rapporti con il Cile peggiorarono all’inizio degli anni Sessanta, quando il governo cileno avviò un progetto per deviare il corso del fiume Lauca, che attraversa anche la Bolivia: nel 1962 il presidente boliviano Victor Paz Estenssoro interruppe i legami diplomatici con il Cile, chiudendo le ambasciate nel paese.

Il presidente boliviano Evo Morales (al centro) mostra un cartello che dice “mare per la Bolivia” accanto al vicepresidente Álvaro Garcia Linera (a sinistra) e al presidente del Senato José Alberto Gonzáles durante una parata militare a La Paz, il 23 marzo del 2015 (AP Photo/ Juan Karita)

I due paesi non hanno relazioni diplomatiche da allora, ma il problema è che la Bolivia continua a dipendere dal Cile per tutte le sue esportazioni e importazioni via mare, osserva De Marchi. Questo crea tutta una serie di problemi per la Bolivia, che anche negli ultimi decenni ha continuato a rivendicare il proprio diritto all’accesso al mare.

L’ex presidente boliviano Evo Morales, in carica dal 2006 al 2019, insistette molto sulla questione dell’accesso al mare, soprattutto durante il suo secondo mandato. Morales, un socialista che guidò il paese in un periodo di spettacolare crescita economica e di riduzione della povertà, fondò la DIREMAR (Direzione strategica della rivendicazione marittima), un’organizzazione incaricata delle attività per rivendicare l’accesso della Bolivia al mare, e nel 2013 portò il caso alla Corte internazionale di giustizia dell’Aia. Cinque anni dopo tuttavia la Corte stabilì che il Cile non aveva alcun obbligo giuridico di avviare negoziati con la Bolivia.

A oggi qualsiasi tentativo di dialogo tra i due paesi continua a essere complicato per via di questa disputa.

Nonostante non abbia un affaccio sul mare, la Bolivia ha comunque la propria marina militare, la Armada Boliviana, che è una divisione delle forze armate. La marina boliviana era stata sciolta alla fine della Guerra del Pacifico, ma venne riattivata nel 1966 con un piccolo comando navale e circa 5mila membri, che oggi si occupano perlopiù di controllare il traffico delle imbarcazioni sui fiumi e nei laghi del paese.

Ufficiali di marina cantano l’inno boliviano durante la parata del 23 marzo del 2021 a La Paz (AP Photo/ Juan Karita)

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