Il reclutamento nelle carceri per il gruppo Wagner

Cinque membri della compagnia militare privata russa che combatte in Ucraina hanno raccontato a Reuters come sono finiti al fronte

Yevgeny Prigozhin, fondatore del gruppo Wagner, in un video dall'Ucraina (Prigozhin Press Service via AP, File)
Yevgeny Prigozhin, fondatore del gruppo Wagner, in un video dall'Ucraina (Prigozhin Press Service via AP, File)
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I soldati del gruppo Wagner, compagnia militare privata al servizio del governo russo, stanno combattendo sin dai primi giorni su vari fronti della guerra in Ucraina. In una delle battaglie più lunghe a sanguinose, quella per la piccola città di Bakhmut, sono centrali nelle operazioni di assedio. Il gruppo Wagner è una PMC (Private Military Company) e i suoi effettivi sono mercenari, per lo più ex soldati, ex poliziotti o ex agenti di sicurezza russi: negli ultimi anni hanno combattuto diverse guerre dove la Russia aveva interesse a intervenire, in paesi africani e mediorientali come Libia, Mali, Repubblica Centrafricana e Siria.

Nell’estate del 2022 Yevgeny Prigozhin, imprenditore russo considerato molto vicino al presidente Vladimir Putin e fondatore del gruppo Wagner, cominciò una campagna di reclutamento all’interno delle prigioni russe: i condannati potevano scegliere di firmare un contratto di sei mesi con il gruppo Wagner, durante i quali sarebbero stati mandati al fronte, e ottenere in cambio un’amnistia totale. In caso di sopravvivenza, avrebbero ottenuto non solo sei mesi di uno stipendio notevolmente superiore a quello medio russo, ma anche un cambio di status al momento del ritorno in società: non più ex carcerati, ma eroi, secondo la retorica russa.

La campagna di reclutamento fu un successo, gli ex carcerati aumentarono notevolmente il numero di uomini a disposizione della compagnia privata e sono stati utilizzati nella guerra in Ucraina, spesso per assalti quasi disperati, in cui le probabilità di morire erano altissime. I comandi militari ucraini hanno detto che Wagner usava questo tipo di reclute, quasi sempre poco addestrate, come «carne da macello». In questi mesi in rari casi ex appartenenti al gruppo Wagner che erano riusciti a fuggire hanno raccontato le esecuzioni sommarie di presunti disertori, nonché il clima di forte intimidazione e crudeltà.

Il palazzo sede della Wagner a San Pietroburgo (AP Photo/Dmitri Lovetsky)

L’agenzia Reuters, in un’inchiesta pubblicata giovedì, è invece riuscita a parlare con cinque ex detenuti arruolatisi con il gruppo Wagner e poi rientrati in Russia in seguito a ferite più o meno gravi in battaglia: i cinque sono volontari che non rimpiangono la loro scelta e si dimostrano riconoscenti verso Prigozhin, che avrebbe dato loro «una nuova vita», sposando in pieno la retorica del gruppo, che ha chiare tendenze filonaziste. Alcuni si augurano di poter tornare al fronte una volta ristabiliti, tutti dichiarano di voler firmare oltre i sei mesi pattuiti, qualcuno dice che «tutti i veri uomini dovrebbero arruolarsi per Wagner».

Ma le testimonianze dei cinque ex detenuti, rintracciati partendo dai vari video celebrativi pubblicati dal gruppo e in prima persona da Yevgeny Prigozhin, sono interessanti per capire meglio il funzionamento del reclutamento, dell’addestramento e delle promesse per il futuro fatte agli uomini appartenenti al gruppo. Reuters ha utilizzato un software di riconoscimento facciale per confrontare le immagini dei video di Wagner con i profili presenti sui social russi: ha individuato e contattato undici degli ex detenuti, e cinque hanno risposto alle domande, poste al telefono o via chat.

Quattro dei cinque uomini intervistati erano stati reclutati personalmente da Prigozhin durante la campagna della scorsa estate, quando aveva visitato varie carceri. Uno, Rustam Borovkov, che doveva scontare ancora 7 dei 13 anni per una condanna per omicidio colposo, racconta che nella sua prigione qualche centinaio di detenuti aveva partecipato all’incontro e 40 avevano firmato: avevano avuto tre giorni di tempo per pensarci e avevano dovuto superare un test con la macchina della verità per verificare che non fossero dipendenti da droghe.

Molti degli arruolati avevano davanti a sé pene lunghe (ci sono condannati per omicidio o stupro, e qualcuno che peraltro si definisce “satanista”), ma non tutti: alcuni avevano scontato la gran parte della pena, c’è chi dice che sarebbe partito volontario comunque, mentre altri erano attirati dallo stipendio. Gli ex detenuti, secondo quanto emerso, sono pagati 100.000 rubli al mese (circa 1.200 euro), contro uno stipendio medio in Russia di 65.000 rubli, e con possibilità di vari bonus.

Un murale dedicato alla formazione paramilitare a Belgrado, poi imbrattato (AP Photo/Darko Vojinovic)

L’addestramento precedente alla partenza per il fronte è stato rapido, di circa due-tre settimane, ma definito «intenso e completo». I detenuti arruolati avevano tutti una qualche esperienza militare pregressa, o per la leva obbligatoria (che dura un anno) o in qualche forza professionale. I corsi, tenuti da ex membri delle forze speciali, hanno riguardato secondo le loro testimonianze lo sminamento, il posizionamento di mine, il tiro, la tattica e molto esercizio fisico. Parte dell’addestramento sarebbe stato svolto in campi della provincia di Luhansk, nei territori occupati dai russi in Ucraina. Poi i nuovi arruolati sarebbero stati divisi in unità: gli uomini con più esperienza militare sono stati nominati capisquadra, mentre secondo un’altra testimonianza erano gli stessi soldati a poter decidere i loro capi, in base «all’autorità e al carisma che mostravano».

I mercenari del gruppo impegnati nel nord del Mali (French Army via AP, File)

Subito dopo gli uomini venivano mandati al fronte. Secondo Dmitry Yermakov, condannato a 18 anni per rapimento, «era assolutamente chiaro» che quelli che puntavano solo a far passare i sei mesi «sarebbero morti». Quattro dei cinque uomini sentiti da Reuters sono comunque stati gravemente feriti a Bakhmut, definito un «totale inferno». Gli intervistati non si sono espressi sull’utilizzo che i capi militari fanno dei mercenari, ammettendo solo che alcune reclute «piangevano, vomitavano o si facevano prendere dal panico e non volevano uscire dalla trincee». Prigozhin ha detto più volte che il tasso di mortalità all’interno del gruppo è «uguale a quello all’interno dell’esercito russo», ma l’affermazione viene ritenuta da gran parte degli esperti falsa.

Per i feriti il tempo passato in ospedale per il recupero o la riabilitazione viene conteggiato come servizio attivo e quindi fa parte dei sei mesi: due dei cinque intervistati hanno detto di aver già ottenuto l’amnistia. Il mese scorso il parlamento russo ha inoltre approvato una legge che estende al gruppo Wagner una norma prevista per gli altri reduci: è considerato un reato screditare gli ex combattenti. Quasi tutti sottolineano come l’esperienza abbia permesso a loro e alle loro famiglie di superare anche lo stigma sociale di avere dei precedenti penali.

I cinque intervistati hanno detto di voler estendere il proprio legame con il gruppo: in passato alcuni fuoriusciti avevano invece denunciato che il loro contratto di sei mesi era stato prolungato unilateralmente, contro la loro volontà. A uno di loro, che ha subito l’amputazione di un braccio, sarebbe stato promesso un lavoro nell’ospedale privato del gruppo.

A febbraio il fondatore Prigozhin aveva detto in un’intervista di aver dovuto interrompere il reclutamento dei detenuti dopo l’intervento di non meglio precisati ufficiali dell’esercito. Nella seconda metà del 2022 Prigozhin era diventato molto popolare e influente nella società russa, tanto da poter criticare apertamente i vertici militari. Per un certo periodo era stato considerato uno degli uomini più potenti del paese dopo Putin: poi, forse proprio per questa sua crescente popolarità, il suo ruolo è stato in parte ridimensionato ed è comparso sempre meno nelle occasioni e nei discorsi ufficiali.

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