La guerra ha accelerato la transizione energetica?

Molti sostengono che le cose siano peggiorate, ma gli ottimisti guardano agli investimenti in rinnovabili e ai comportamenti più responsabili

L'attivista Greta Thunberg fermata dalla polizia durante una protesta in Germania contro l'espansione di una miniera di carbone, decisa dal governo per far fronte alla crisi energetica (Christoph Reichwein/dpa, ANSA)
L'attivista Greta Thunberg fermata dalla polizia durante una protesta in Germania contro l'espansione di una miniera di carbone, decisa dal governo per far fronte alla crisi energetica (Christoph Reichwein/dpa, ANSA)
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A un anno dall’inizio della guerra in Ucraina ci sono ipotesi contrastanti sulla possibilità che la crisi energetica che ha causato sia stata una fonte di accelerazione oppure di rallentamento della transizione verso fonti d’energia meno dannose per l’ambiente.

Gli esperti, con le ovvie sfumature, si dividono sostanzialmente in due: chi pensa che ci sia stato un rallentamento guarda soprattutto alla riapertura o all’espansione di alcune centrali a carbone – una fonte di energia dannosa per l’ambiente e che per questo si stava gradualmente abbandonando – e ai sussidi offerti dai governi per calmierare il costo di bollette e carburanti. Chi al contrario pensa che la guerra possa aver innescato comportamenti virtuosi cerca di guardare più sul lungo periodo e nota che la crisi energetica ha fatto diminuire notevolmente i consumi di energia negli ultimi mesi e che gli alti costi delle fonti fossili hanno spinto molte famiglie, imprese e soprattutto i governi di investire nelle rinnovabili a livelli maggiori di prima.

Da quando è iniziata la guerra una grave preoccupazione per l’Europa è stata il rischio di non avere abbastanza gas e petrolio per affrontare l’inverno e in generale per soddisfare la domanda di energia, per via del ruolo importantissimo che aveva la Russia tra i fornitori di materie prime. Oltre a cercare fornitori alternativi alla Russia, molti governi hanno messo in atto misure rese necessarie dall’emergenza ma che rappresentavano un passo indietro nel percorso di transizione energetica, come per esempio la riapertura di alcune centrali a carbone o l’erogazione di sussidi per tenere più bassi i prezzi dei carburanti e le bollette di gas ed elettricità, incentivando così di fatto il consumo di energia derivante da fonti fossili.

Secondo alcuni la crisi energetica ha dimostrato che gli impegni per ridurre le fonti fossili sono talmente poco presi sul serio che è sempre possibile tornare indietro, anche se solo in parte e per urgenze oggettive; altri invece sostengono che la crisi energetica abbia instaurato nei consumatori meccanismi di risparmio energetico virtuosi e che tutti i provvedimenti e gli incentivi per energie più pulite siano destinati a restare, mentre quelli presi in emergenza prima o poi cesseranno.

Tra le posizioni critiche c’è un articolo di Lorenzo Forni su lavoce.info, secondo cui i forti aumenti dei prezzi dell’energia e le implicazioni internazionali legate all’invasione russa dell’Ucraina hanno messo di fatto in secondo piano le esigenze legate alla transizione energetica. I governi, soprattutto quelli europei, hanno privilegiato l’obiettivo di ridurre la dipendenza dal gas russo e di avere allo stesso tempo accesso a fonti di energia a costi contenuti.

I prezzi di gas, elettricità e petrolio sono aumentati tantissimo lo scorso anno a causa dei timori che in risposta alle sanzioni occidentali la Russia avrebbe smesso di fornire le sue materie prime all’Unione europea, che ne era fortemente dipendente. Alcuni governi europei sono così intervenuti per calmierarli: per esempio, in Italia da oltre un anno gli oneri di sistema delle bollette – ossia una componente fissa delle fatture legata ai costi del sistema di distribuzione di gas e luce – sono stati azzerati e fino a dicembre è stato finanziato uno sconto sulle accise dei carburanti per tenere più bassi i prezzi.

È stata una scelta necessaria per non far pagare il prezzo della guerra a famiglie e imprese, messe in seria difficoltà dai forti rincari dell’energia. Ma queste misure sono state comunque piuttosto incoerenti con le necessità climatiche, che richiedono invece un incremento dei costi legati alle emissioni di CO2 e quindi anche un aumento dei costi dell’energia prodotta da fonti fossili. Sussidiare l’uso di gas, energia elettrica e carburanti riduce di fatto gli incentivi di famiglie e imprese a rendere più efficienti i loro consumi. Gli enormi rincari del gas hanno portato alcuni paesi, come la Germania, a riattivare la produzione di energia dalle centrali a carbone, interrompendo un percorso di dismissione ormai avviato da tempo. Lo scorso anno il consumo di carbone a livello mondiale è cresciuto dell’1,2 per cento rispetto all’anno prima, dopo anni di declino.

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L’Agenzia Internazionale dell’Energia, un istituto internazionale che monitora il mercato dell’energia, nel suo ultimo rapporto annuale prevede che la domanda di carbone potrebbe restare alta fino al 2025. L’Unione europea riceverà sempre meno gas dalla Russia e l’offerta globale di gas difficilmente riuscirà ad aumentare, il che significa che il carbone rimarrà l’unica opzione di ripiego nell’immediato.

Un effetto positivo c’è però stato: la crisi energetica ha reso ancor più evidenti la necessità e l’urgenza di una transizione energetica verso fonti sostenibili. I costi e rischi delle fonti fossili le rendono sempre meno attrattive, visto che nell’ultimo anno sono state uno strumento di manipolazione geopolitica e in balia delle fortissime fluttuazioni di prezzo dei mercati energetici.

Una posizione più ottimista sulla transizione energetica è quella dell’Economist, secondo cui la crisi causata dalla guerra in Ucraina potrebbe aver accelerato la transizione di un periodo che va dai cinque ai dieci anni. Esaminando una serie di fattori, tra cui il consumo di combustibili fossili, l’efficienza energetica e la diffusione delle energie rinnovabili, secondo il settimanale la guerra ha attivato una serie di comportamenti virtuosi che altrimenti avrebbero impiegato anni a diffondersi.

Per esempio, gli alti prezzi dell’energia tradizionale hanno già portato famiglie e imprese a ridurre la loro dipendenza dalle fonti fossili. A livello globale, le installazioni di pannelli solari sui tetti, che le famiglie e le imprese utilizzano per tagliare le bollette, sono aumentate del 50 per cento nel 2022 rispetto all’anno precedente. Lo scorso anno la spesa per investimenti in impianti eolici e solari è cresciuta da 357 a 490 miliardi di dollari, superando per la prima volta gli investimenti in giacimenti di petrolio e gas.

Lo scorso anno l’economia mondiale ha migliorato la sua efficienza energetica e si è ridotta del 2 per cento la quantità di energia impiegata per produrre un punto di PIL, il più veloce miglioramento degli ultimi dieci anni. In Europa i piani di riduzione dei consumi introdotti dai governi per evitare di arrivare a razionamenti forzati in caso in cui la Russia avesse smesso di fornire gas hanno avuto i loro risultati e hanno probabilmente portato le persone ad adottare comportamenti più virtuosi. In Italia da settembre 2022 a oggi sono stati risparmiati 8 miliardi di metri cubi di gas, quasi un quarto dei consumi totali di una tipica stagione fredda.

Per l’Economist, la riapertura di alcune centrali a carbone di quest’anno è una «digressione in una storia molto più grande» e di lungo periodo, che è quella di un aumento sempre più consistente di investimenti nelle fonti rinnovabili.

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