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  • Lunedì 20 febbraio 2023

Come è cambiato il superbonus

La cessione del credito è ancora possibile in alcuni casi e non sono state cancellate del tutto le agevolazioni, rimaste però soltanto per chi ha un reddito piuttosto elevato

cantiere edile
Operai edili al lavoro sulla facciata di un palazzo ricoperto da ponteggi, Milano, 14 giugno 2022. (ANSA/DANIEL DAL ZENNARO)
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Il decreto-legge approvato dal Consiglio dei ministri nella serata di giovedì, pubblicato poche ore dopo sulla Gazzetta Ufficiale e quindi subito operativo, ha modificato sensibilmente le regole del superbonus, l’agevolazione fiscale per gli interventi di ristrutturazione che migliorano l’efficienza energetica di case e condomini. Quello di giovedì è soltanto l’ultimo di una serie di correttivi introdotti dal governo per limitare l’accesso alle agevolazioni fiscali e tenere sotto controllo la spesa pubblica.

Le nuove regole si sono sovrapposte alle diverse modifiche fatte nell’ultimo anno, spesso confuse e interlocutorie, e a loro volta successivamente cambiate, al punto che ormai è rimasto poco della misura originale.

Il superbonus 110% fu introdotto nel 2020 dal secondo governo Conte, sostenuto dal Partito Democratico e dal Movimento 5 Stelle. Con questa misura il governo si impegnò a rimborsare, e anzi a corrispondere una piccola aggiunta, una fascia molto ampia di lavori di ristrutturazione degli edifici residenziali, ville comprese.

Secondo i dati più recenti pubblicati dall’ENEA, l’Agenzia nazionale per le nuove tecnologie, l’energia e lo sviluppo economico sostenibile, dal 2020 al 31 gennaio 2023 sono stati autorizzati 372.303 cantieri per un importo complessivo di 65,2 miliardi di euro e un costo a carico dello Stato di 71,7 miliardi di euro.

In questa mappa si può osservare la distribuzione del superbonus concesso per gli interventi in tutte le regioni.

Negli ultimi anni i limiti e i problemi di questa misura sono emersi in modo piuttosto chiaro: oltre a costare moltissimo allo Stato, la versione originale del superbonus era poco equa perché ha favorito le fasce benestanti della popolazione, ha portato benefici limitati in termini di emissioni risparmiate, ha falsato il mercato dei materiali edili che hanno iniziato a costare moltissimo, ha favorito le frodi e la nascita di molte piccole aziende edili spesso improvvisate, con rischi non trascurabili per la sicurezza sul lavoro.

I due problemi principali erano il rimborso concesso, al 110%, cioè addirittura il 10% in più rispetto al costo dei lavori, e il meccanismo della cessione del credito.

Capire come funziona il superbonus è importante per comprendere le ultime decisioni del governo. Il superbonus poteva essere riscosso in tre diversi modi. Il più lineare e sicuro, l’unico rimasto dopo le modifiche, è la detrazione fiscale fatta direttamente ai proprietari delle case che pagano i lavori di tasca loro: i rimborsi vengono fatti dallo stato sotto forma di detrazione dalle tasse pagate negli anni successivi.

Le altre due possibilità, entrambe legate alla cosiddetta cessione del credito, sono state cancellate dal decreto-legge approvato la scorsa settimana. La prima era lo sconto in fattura applicato dai fornitori e dalle imprese, che potevano accollarsi il credito fiscale dei proprietari per recuperarlo successivamente dallo Stato sotto forma di detrazione fiscale oppure cedere ad altri intermediari per recuperare subito i soldi.

La terza opzione consentiva ai proprietari degli immobili di trasferire la detrazione fiscale a banche, enti o professionisti. In cambio della cessione del credito, chi ristruttura casa aveva la possibilità di avere subito i soldi per iniziare i lavori oppure per accedere a un mutuo o a un finanziamento. Chi voleva fare dei lavori di efficientamento energetico poteva pagare l’impresa, invece che una somma ipotetica di 10mila euro, con il credito d’imposta di 11mila euro. Chi comprava un credito di imposta faceva un investimento che poteva cedere a sua volta, per esempio a una banca o a un intermediario.

Nell’ultimo anno il mercato dei crediti si è intasato: moltissime aziende edili si sono prese in carico crediti fiscali nella convinzione di fare un investimento, contando di poterli cedere successivamente a banche o altri intermediari come Poste Italiane guadagnandoci il 10 per cento. Diverse banche, però, sono state costrette a fermare l’acquisto dei crediti dopo aver esaurito il cosiddetto “spazio fiscale”: hanno cioè ricevuto moltissime richieste e comprato un credito totale superiore alle tasse dovute allo Stato. Quindi non avrebbero più potuto incassare gli ulteriori crediti comprati.

Un primo intervento del governo per cercare di limitare il superbonus risale all’inizio di novembre: con l’approvazione del decreto Aiuti Quater, il rimborso garantito dallo Stato per i lavori di efficientamento energetico è passato dal 110% al 90%. È stata introdotta anche una serie di ulteriori vincoli per l’accesso. La seconda significativa limitazione è stata introdotta la scorsa settimana con il blocco dello sconto in fattura e della cessione del credito.

Le nuove regole hanno causato un certo allarmismo tra le persone che stanno ristrutturando casa e tra chi è in procinto di fare i lavori. Anche a causa di una certa approssimazione comunicativa da parte del governo, non è semplice districarsi tra cosa è rimasto del superbonus e cosa è stato cancellato definitivamente, e soprattutto di come sono cambiate le cose per chi è in una fase transitoria dei lavori e delle pratiche edilizie.

Una delle informazioni più importanti, e su cui è stata fatta confusione, riguarda i casi in cui la cessione del credito è ancora prevista: i proprietari di case e i condomini possono cedere il credito per finanziare i lavori se entro il 16 febbraio hanno presentato al comune la CILA, la comunicazione di inizio lavori. Chi invece fa un intervento di demolizione e ricostruzione deve aver già presentato in comune la SCIA, la Segnalazione certificata di inizio attività. Chi ha già pagato studi di fattibilità o consulenze tecniche, ma non ha presentato la CILA o la SCIA, non può cedere il credito.

Se non si può cedere il credito perché la CILA o la SCIA non sono state ancora presentate, rimane soltanto la possibilità di ottenere il superbonus al 90% attraverso la detrazione fiscale riscossa direttamente dai proprietari. Per come sono state modificate le regole, tuttavia, questa possibilità è riservata a un numero molto ristretto di contribuenti. Il problema consiste nel fatto che il bonus viene riscosso in quattro anni: solo chi guadagna molto, e quindi paga molte tasse, può recuperare i costi dei lavori. Chi non paga abbastanza tasse è costretto a lasciare allo Stato la parte eccedente del bonus.

Leonzio Rizzo sulla Voce ha mostrato due esempi pratici che spiegano questo meccanismo: con lavori per 50mila euro, può riscuotere tutto il 90 per cento previsto dal bonus soltanto chi ha un reddito almeno pari a 43 mila euro annui. Quindi solo il 9 per cento dei lavoratori dipendenti sarebbe in grado di fruire pienamente della detrazione. Il rimanente 91 per cento ne perderebbe una parte.

Nel caso di lavori pari a 100 mila euro, il reddito necessario per fruire della detrazione piena, sempre per un lavoratore dipendente, sale ad almeno 69 mila euro. In quest’ultimo caso, solo il 4 per cento potrebbe fruire della detrazione piena, mentre il restante 96 per cento ne perderebbe una parte. Di fatto, il superbonus ora è riservato a persone con un reddito molto alto.

Un’altra informazione da non sottovalutare è che il blocco dello sconto in fattura e della cessione del credito riguarda anche tutti gli altri bonus edilizi: il bonus ristrutturazioni del 50% su una spesa fino a 96mila euro, l’ecobonus del 65% per il miglioramento energetico, per esempio per la sostituzione degli infissi, il cosiddetto sismabonus che va dal 50 all’85% per gli interventi di sicurezza antisismica, le detrazioni per l’installazione di impianti fotovoltaici e delle colonnine per la ricarica dei veicoli elettrici, il bonus del 75% per l’abbattimento delle barriere architettoniche.

Le conseguenze più temute delle nuove regole riguardano non tanto la possibilità di accedere alla cessione del credito, comunque consentita a tutti i proprietari che hanno presentato i permessi entro giovedì scorso, ma la stabilità delle imprese edili che si ritrovano con molti crediti non riscossi. Secondo l’ANCE, l’associazione dei costruttori, ci sono 15 miliardi di crediti fermi che mettono a rischio i conti di 25mila aziende. Questa situazione rischia di far fallire molte aziende, che non potrebbero portare a termine i lavori già iniziati.

Il governo e le associazioni di categoria da tempo pensano a possibili soluzioni per evitare il blocco generale del mercato dell’edilizia. Una delle strategie, già proposta dall’ANCE, consiste nel consentire alle banche di usare i crediti per pagare non soltanto le loro tasse, ma anche quelle pagate dai loro clienti attraverso i modelli F24 gestiti dalle banche. In questo modo si amplierebbe lo spazio fiscale delle banche che avrebbero la possibilità di acquistare nuovi crediti dalle imprese e sbloccare la situazione. Finora, però, il governo non ha mai preso in considerazione seriamente questa soluzione.