È entrato in vigore il tetto europeo al prezzo del gas, ma ora non serve più

Se n’era discusso per mesi per contenere il prezzo dell’energia: ora però le quotazioni del gas sono scese moltissimo, ai livelli del 2021

La presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen (AP Photo/Efrem Lukatsky)
La presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen (AP Photo/Efrem Lukatsky)
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Mercoledì, dopo mesi di discussioni e polemiche tra governi, è infine entrato in vigore il tetto europeo al prezzo del gas, cioè il limite massimo di prezzo entro cui può essere acquistato il gas sui mercati energetici nell’Unione europea. Il tetto era stato proposto per tenere sotto controllo i costi dell’energia e per evitare che la Russia potesse vendere il gas a prezzi esorbitanti ai paesi europei, dopo che questi ultimi l’avevano sanzionata a causa dell’invasione in Ucraina. Tutte quelle discussioni si sono rivelate però inutili, almeno per ora: oggi il prezzo del gas è sceso al livello del 2021, quello precedente alla guerra e molto al di sotto del tetto stabilito dall’Unione europea.

Dall’autunno del 2021 e con l’inizio della guerra in Ucraina il prezzo del gas era aumentato moltissimo a causa del timore che in risposta alle sanzioni la Russia avrebbe smesso di fornirlo all’Unione europea, che ne era invece molto dipendente; le quotazioni avevano raggiunto lo scorso agosto i massimi storici, superando i 300 euro al megawattora (in tempi normali sono intorno ai 20 euro).

I paesi membri dell’Unione europea hanno quindi pensato di imporre un tetto al prezzo del gas per tenere sotto controllo il costo dell’energia. Ma la misura ha avuto un percorso piuttosto difficile e l’approvazione è arrivata solo a dicembre, dopo mesi che se ne stava discutendo. I paesi europei non riuscivano a mettersi d’accordo: quelli più contrari erano Germania, Austria e Paesi Bassi, che temevano che con un limite di prezzo i fornitori di gas lo avrebbero venduto più profittevolmente altrove e che potevano permettersi di pagare prezzi altissimi pur di non rimanere senza; dall’altro lato c’erano circa una quindicina di paesi, tra cui soprattutto Italia, Francia e Spagna, che spingevano molto sull’introduzione di un tetto al prezzo del gas per abbassare i costi dell’energia.

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L’accordo era quindi stato trovato su un livello di prezzo piuttosto alto, proprio per non rischiare di mettere davvero a repentaglio le forniture di gas. Un compromesso è arrivato dopo molto tempo e soprattutto dopo i momenti di massima gravità della crisi energetica. Adesso però il prezzo del gas è molto inferiore a quello dei mesi scorsi: costa poco più di 50 euro al megawattora, l’85 per cento in meno del picco di quest’estate.

Molti attribuiscono al price cap il merito di aver abbassato le quotazioni: la sola presenza di uno strumento da attivare in caso di eccessivi rialzi dei prezzi avrebbe frenato le aspettative degli operatori, che vendevano e compravano consci che le quotazioni non sarebbero mai potute andare sopra la soglia definita dal tetto al prezzo del gas.

Due studi di fine gennaio commissionati dalla Commissione europea per monitorare gli effetti del price cap – uno dell’ACER (l’Agenzia europea per la cooperazione fra i regolatori nazionali dell’energia) e uno dell’ESMA (l’Autorità europea degli strumenti finanziari e dei mercati) – escludono però che questo abbia avuto davvero un ruolo nel tenere basso il prezzo del gas.

A contribuire sarebbero state invece normali dinamiche di mercato, tutte ugualmente valide.

Innanzitutto si sono ridotti i consumi. A causa di un autunno e un inverno mediamente più miti della norma, la domanda di gas per il riscaldamento si è ridotta e con questa le quotazioni. Oltre al clima mite, hanno avuto un ruolo anche i piani di riduzione dei consumi di energia: a luglio i paesi dell’Unione europea si erano impegnati a ridurre del 15 per cento il consumo di gas naturale fino a marzo del 2023.

L’obiettivo dell’accordo era soprattutto di evitare di arrivare in inverno in una situazione di emergenza, con le scorte al limite per fornire energia e riscaldamento ai cittadini europei. Quell’impegno è stato attuato in vari modi dai governi dei singoli paesi. Molti governi hanno per esempio deciso di illuminare di meno le attrazioni turistiche di notte e di ridurre le temperature degli uffici pubblici. Ma le misure con un impatto potenziale maggiore sono quelle volte a disincentivare l’uso di gas tra la popolazione. Per esempio, tra le altre cose in Italia è stata ritardata l’accensione del riscaldamento ed è stata ridotta la temperatura massima consentita nelle abitazioni.

Inoltre, le aziende hanno davvero iniziato a consumare molta meno energia e a operare politiche di razionamento. In Italia, uno degli effetti principali è che i consumi di gas dell’industria italiana (registrati dalla società energetica Snam) attualmente sono circa il 20 per cento in meno rispetto all’anno scorso.

Con i prezzi dell’energia che si sono registrati negli scorsi mesi le industrie cosiddette energivore, come quelle della carta, del vetro e della ceramica, hanno avuto spesso più convenienza a fermare la produzione che altrimenti sarebbe stata in perdita. Questa scelta delle imprese ha però un costo, perché le aziende producono di meno. Secondo i dati Istat, la produzione industriale nell’ultimo trimestre del 2022 è risultata in calo rispetto al trimestre precedente, soprattutto nei settori dove l’uso di energia è più intensivo. Produrre di meno implica vendere di meno e impiegare meno forza lavoro, con la conseguenza che le aziende e i lavoratori si impoveriscono.

In più gli stoccaggi europei sono ancora piuttosto pieni e questo contribuisce a tenere basse le quotazioni. L’Unione europea ha ancora moltissimo gas, più di quanto gliene serva, e questo spinge al ribasso i prezzi. Durante la scorsa estate i governi hanno cercato di riempire il più velocemente possibile gli stoccaggi – vecchi giacimenti esauriti che ora fungono da “deposito” – acquistando così tanto gas e in tempi così rapidi da far salire moltissimo i prezzi.

In Italia sono operativi 13 punti di stoccaggio di gas e queste riserve hanno un ruolo chiave per la sicurezza energetica, perché garantiscono l’approvvigionamento e consentono di bilanciare il mercato tra domanda e offerta. Il ricorso agli stoccaggi in tempi normali serve per attingere alla materia prima che è stata pagata meno rispetto ai prezzi correnti di mercato, soprattutto durante i picchi di consumo dell’inverno quando le quotazioni tendono a essere più alte.

In teoria, il complesso delle scorte potrebbe offrire oltre un terzo del consumo invernale (pari a circa 50 miliardi di metri cubi di gas), ma in condizioni normali si usano per non più del 25-28 per cento del fabbisogno. La restante parte è garantita dalle importazioni (che continuano anche durante tutto l’inverno) e dalla produzione nazionale, la quale però è residuale e pari circa al 4 per cento del fabbisogno.

I governi durante questo inverno non hanno avuto bisogno di attingere alle scorte, perché sui mercati il gas non è mai mancato, con la conseguenza che nell’Unione europea sono rimaste a un livello mai visto in questo periodo dell’anno.

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