L’incendio del cinema Statuto, 40 anni fa

Il fumo prodotto da sedili e moquette della sala torinese uccise 64 persone, e l'Italia si rese conto che le norme sulla sicurezza andavano cambiate

Il cinema Statuto il giorno dopo l'incendio (Foto LaPresse)
Il cinema Statuto il giorno dopo l'incendio (Foto LaPresse)
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Nel tardo pomeriggio del 13 febbraio 1983, quarant’anni fa, 64 persone morirono nel più grave incidente avvenuto a Torino dal dopoguerra, l’incendio al cinema Statuto, vicino all’omonima piazza. La più piccola aveva sette anni e la più anziana 55: morirono quasi tutte per intossicazione dovuta al fumo sprigionato dall’incendio. L’origine dell’incendio fu accidentale, e il processo del 1987 individuò una serie di responsabili che furono condannati per omicidio colposo.

Dopo l’incendio, molte procure d’Italia ordinarono controlli su cinema, teatri e altri locali pubblici. Molti chiusero temporaneamente, altri definitivamente. Ci si rese conto che in Italia erano pochi i cinema e i teatri in regola con le norme di sicurezza. Ma soprattutto, a non essere adeguate erano le stesse norme. Le porte con maniglioni antipanico erano poco diffuse e non erano obbligatorie, come divennero invece in seguito. Non erano diffusi né obbligatori nemmeno i rilevatori di fumo. Gli impianti elettrici erano spesso vecchi e inadeguati. Il materiale di rivestimento delle poltrone aveva la certificazione di “ignifugo” ma nessuno si era preoccupato di accertarsi se, in caso di incendio, potesse produrre fumo ed esalazioni tossiche.

Il pomeriggio del 13 febbraio 1983 a Torino nevicava abbondantemente. Al cinema Statuto, in una zona semicentrale della città, era in programma il film La Capra, di Francis Veber con Gérard Depardieu. All’interno c’erano un centinaio di persone, in una sala che poteva accoglierne fino a 1.200. Il cinema era stato ristrutturato da pochi mesi: c’erano stati i controlli di routine e i gestori avevano ottenuto la regolare certificazione.

Intorno alle 18:15 ci fu una fiammata. I superstiti raccontarono di aver sentito il rumore come di un tonfo. A provocarla, stabilì poi l’inchiesta, fu un cortocircuito. Uno dei pesanti tendoni in fondo alla platea prese fuoco: cadendo a terra trasmise il fuoco alle poltrone dell’ultima fila che, incendiandosi, crearono una barriera che ostruì l’uscita. Qualcuno riuscì a uscire passando attraverso le fiamme, prima che diventassero invalicabili. Altri corsero verso le uscite di sicurezza, ma il proprietario le aveva fatte chiudere tutte tranne una con alcune catene. Voleva impedire che, come era accaduto in passato, da lì potessero entrare spettatori abusivi che non avevano pagato.

Alcuni tra gli spettatori corsero in un corridoio che portava però solo alle toilette e lì restarono intrappolati. I responsabili del cinema, per tentare di contenere il panico, decisero inoltre di non sospendere la proiezione: in galleria nessuno si accorse di nulla fino a che il fumo non invase tutto il settore. Molte persone furono trovate morte sedute sulle poltrone: non avevano fatto in tempo a reagire.

Raccontò Enzo Ariu, funzionario dei vigili del fuoco di Torino, che intervenne per cercare di spegnere l’incendio:

Stendiamo le manichette ed io, via radio, chiedo l’invio sul posto di un’altra squadra di rinforzo. Attacchiamo l’incendio e, attraverso la porta ormai distrutta, scorgiamo il corridoio laterale della platea completamente infuocato. Due persone ci raggiungono e si qualificano quali responsabili del cinema, sono il proprietario e l’operatore, si preoccupano della centrale termica sottostante il punto da cui stiamo operando nell’estinzione, la disattiviamo.

Arriva la squadra “23”, quella dei Capi Squadra Beppe ed Eraldo, che vengono a darci manforte; realizziamo che proprio sopra le nostre teste si affacciano le porte di sicurezza della galleria, sfocianti in ampi terrazzi. Corriamo, inerpicandoci per una scala tortuosa, fino a raggiungere le prime due porte della galleria; Beppe col picozzino spalanca una prima porta, Silvano rompe con i pugni il riquadro in masonite di una seconda porta, spalancandola a sua volta, veniamo investiti dal densissimo fumo e dall’intenso calore che saturano il locale. Il calore ed il fumo sono insopportabili; quando iniziano a defluire, viene recuperata una ragazza molto giovane che giace a ridosso della seconda porta di sicurezza; per lei non c’è più niente da fare.

Le autopsie stabilirono che le persone erano prevalentemente morte in seguito alle esalazioni prodotte dalla combustione dei materiali d’imbottitura delle poltroncine, costituiti da schiume poliuretaniche espanse, e dalla moquette d’arredo presente su pareti e pavimenti. Bruciando, i materiali avevano prodotto fumi letali per chi li aveva respirati. I funerali vennero celebrati il 15 febbraio nel Duomo di Torino: delle 64 vittime 32 erano donne e 32 uomini. Tra loro c’erano anche una bambina e un bambino.

Il processo stabilì che la causa dell’incendio era accidentale e venne ribadito che le norme di allora erano inadeguate e, spesso, scritte in maniera vaga. Per esempio delle uscite di sicurezza si diceva soltanto che dovessero essere apribili ma non si spiegava come e da chi. 

All’esterno del cinema Statuto, la notte del 13 febbraio 1983 (LaPresse)

Undici persone vennero rinviate a giudizio. In primo grado l’ex proprietario dello Statuto, Raimondo Cappella, venne condannato a otto anni di reclusione. Il geometra che aveva coordinato i lavori di ristrutturazione della sala, Amos Donisotti, fu condannato a sette anni. Il viceprefetto Antonio Di Giovine fu condannato a sei anni, mentre uno dei tecnici della commissione di vigilanza, Nello Palandri, ricevette una condanna a cinque anni e sei mesi. L’operatore del cinema Antonio Iozzia fu condannato a quattro anni, come il tappezziere Antonio Ricci. L’elettricista Elio Appiano fu assolto per insufficienza di prove. Altri membri della commissione che effettuò i controlli nel cinema furono assolti per non aver commesso il fatto. 

Le pene furono poi ridotte in appello. Il proprietario del cinema fu anche condannato a risarcire con tre miliardi di lire (circa 3,5 milioni di euro attuali) le parti civili, e cioè i 250 familiari delle persone morte. Nel corso di un’intervista data 15 anni fa a Repubblica, alla domanda se fosse vero che avesse scelto personalmente l’arredamento del cinema rispose: «Avevo scelto soltanto il colore, il tessuto era lo stesso in quasi tutti i cinema italiani. Lo produceva un’azienda di Raul Gardini. Tessuto ignifugo autorizzato dallo Stato. Sull’etichetta c’era scritto: Produce fumo. Il dottor Baima Bollone aveva poi chiarito che sprigionava acido cianidrico. In galleria sono morti nel giro di quaranta secondi».