• Mondo
  • Venerdì 10 febbraio 2023

Il freddo e la guerra stanno complicando le ricerche di sopravvissuti in Turchia e Siria

I morti per il terremoto di lunedì sono almeno 24mila, ma ci sono ancora migliaia di dispersi e i soccorsi stanno andando a rilento

(IHA via AP)
(IHA via AP)

Il gravissimo terremoto che nella notte tra domenica e lunedì ha colpito la Siria e la Turchia ha provocato la morte di oltre 28mila persone (ma è una stima provvisoria, perché sono crollati interi edifici e ci sono ancora migliaia di dispersi sotto le macerie). Da giorni i soccorsi vanno avanti senza sosta – si parla di 110mila operatori e oltre 5.500 veicoli coinvolti – ma il loro lavoro non è per nulla facile, per una serie di circostanze.

Il terremoto ha colpito aree densamente popolate, e le scosse si sono verificate intorno alle 4 del mattino locali, quando la maggior parte delle persone si trovava in casa propria. Significa che i soccorsi non devono concentrarsi in grandi punti di ritrovo, come potrebbero essere scuole, uffici o altri luoghi pubblici, ma devono scavare casa per casa, allungando di parecchio i tempi e quindi riducendo le possibilità di trovare sopravvissuti.

Le operazioni di maggior successo vengono infatti svolte nelle prime 72 ore dal momento del terremoto (cioè i primi tre giorni: mercoledì era il terzo). Steven Godby, esperto britannico di disastri naturali, ha detto ad Associated Press che dopo le prime 72 ore le probabilità di trovare persone vive sotto le macerie passano dal 74 per cento al 22 per cento, arrivando al 6 per cento il quinto giorno dopo il disastro, cioè venerdì. Nelle ultime ore sono comunque arrivate notizie di persone sopravvissute, estratte ancora vive dalle macerie nonostante vi fossero rimaste incastrate per oltre quattro giorni.

Il freddo complica ulteriormente le attività di soccorso. In Siria e in Turchia è inverno, come in Italia, e proprio in questi giorni le temperature sono significativamente inferiori alla media, con le minime intorno a 1-2 °C. Il freddo rallenta le operazioni di soccorso, dato che molti operatori lavorano a mani nude per scavare tra le macerie. Le basse temperature riducono inoltre le probabilità di trovare superstiti, data l’esposizione al freddo, combinata alla disidratazione, di chi è da giorni bloccato sotto le macerie. Nel frattempo ci sono decine di migliaia di persone rimaste senza casa che stanno trascorrendo le notti in rifugi di fortuna, spesso senza riscaldamento.

Molti ospedali sono sovraffollati e senza il personale e gli strumenti necessari per far fronte a tutto. Alcuni sono stati distrutti dal terremoto. Le squadre di soccorso al lavoro non hanno veicoli e carburante sufficienti ad effettuare tutte le operazioni.

La situazione è particolarmente complicata in Siria, dove è in corso da oltre un decennio una guerra civile che ha devastato il paese. Proprio a causa della guerra, da una parte il governo del presidente siriano Bashar al Assad è da anni sotto sanzioni, decise per mettergli pressione e spingerlo a una risoluzione pacifica del conflitto; dall’altra il nord-ovest della Siria controllato dai ribelli è diventato difficilmente raggiungibile: i percorsi usati negli ultimi anni per aggirare i controlli del governo centrale, passavano dal sud della Turchia, che in questo momento è devastato dal terremoto.

Assad aveva chiesto di poter gestire tutti gli aiuti umanitari diretti in Siria, compresi quelli per il nord-ovest occupato dai ribelli, e molti temono che possa usarli come arma di ricatto. Venerdì sera tuttavia i media di stato siriano hanno detto che il governo ha dato il via libera per fare arrivare gli aiuti da tutte le parti del paese: la notizia per ora è stata presa con cautela dalle Nazioni Unite, perché per il momento non è stata data l’autorizzazione al trasporto di aiuti nei territori dei ribelli da oltre frontiera.

Nel frattempo, un medico siriano che lavora negli ospedali di Al-Shifa e Atme ha detto che le risorse mediche a disposizione nell’area non bastano per nemmeno il 20 per cento degli abitanti colpiti dal terremoto.

I principali aeroporti turchi vicini al nord-ovest della Siria sono stati chiusi perché inagibili, in particolare quello di Hatay, tra le città turche di Antiochia e Alessandretta. Passare da quell’aeroporto è indispensabile, visto che gli accordi presi dalle Nazioni Unite con la Siria per mandare aiuti nel nord-ovest impongono di passare dal valico di frontiera di Bab al Hawa, sulla strada che collega Alessandretta a Idlib, la principale città siriana controllata dai ribelli. Le strade stesse della zona sono state molto danneggiate dal terremoto e sono in parte inagibili anche a causa delle nevicate degli ultimi giorni.

Giovedì mattina le Nazioni Unite hanno confermato l’arrivo nel nord-ovest della Siria del primo convoglio umanitario: i Caschi bianchi, un’organizzazione di volontari di difesa civile noti per i soccorsi prestati alla popolazione durante la guerra, hanno detto però che l’arrivo di quel convoglio era già stato programmato prima del terremoto, e hanno accusato le Nazioni Unite di gestire i soccorsi in modo inadeguato e non imparziale.

Nel frattempo la Banca Mondiale ha promesso l’equivalente di 1,66 miliardi di euro in aiuti alla Turchia: la somma include alcuni finanziamenti immediati per ricostruire edifici e infrastrutture e soccorrere le persone colpite dal terremoto.

Secondo la stima attuale quasi 4mila persone sono morte in Siria e più di 24mila in Turchia, dove è considerato il peggior terremoto dal 1939.