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  • Venerdì 27 gennaio 2023

Riformare il calcio italiano è possibile?

Sentiamo ripeterlo da talmente tanto che non sembra avere più un significato preciso: ma qualcuno che ci prova c'è sempre, fra le solite difficoltà

di Alessandro Austini

(LaPresse/Spada)
(LaPresse/Spada)
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Da anni si discute di una possibile riforma del calcio italiano che dovrebbe modificare principalmente la struttura dei campionati maschili, riducendo le squadre partecipanti e introducendo un diverso meccanismo per promozioni e retrocessioni. Finora però le componenti che dovrebbero stabilire le nuove regole non hanno mai trovato un accordo, e alcuni ultimi sviluppi suggeriscono che servirà ancora del tempo.

La revisione delle norme spetta alla Federcalcio (FIGC), in accordo con le leghe che gestiscono i campionati. La Lega di Serie A, quella di Serie B e la Lega Pro, che organizza la Serie C, guidano i tre tornei professionistici, mentre la Lega Nazionale Dilettanti (LND) si occupa delle serie inferiori e dei settori giovanili e ha un peso politico rilevante. Si tratta di quattro associazioni private che riuniscono i presidenti dei club e sono indipendenti fra loro. Ognuna ha interessi e obiettivi diversi, per questo è così difficile trovare una proposta che metta tutti d’accordo.

Se venisse decisa la riduzione del numero dei club si potrebbe ad esempio migliorare la distribuzione delle risorse economiche a disposizione di tutto il sistema. Per quanto riguarda la sola Serie A, un calendario con meno partite da giocare consentirebbe inoltre di avere più date libere in vista del nuovo formato delle coppe europee: a partire dalla stagione 2024/25 la fase iniziale della Champions League diventerà infatti un torneo a girone unico da 36 squadre, nel quale ogni squadra partecipante giocherà un minimo di otto gare, due in più di quelle previste adesso, e si aggiungerà un turno anche nella fase a eliminazione diretta. Meno impegni in campionato, quindi, favorirebbero la competitività dei club italiani in Europa e si potrebbe anche dare più spazio al lavoro della Nazionale, che non si è qualificata alle ultime due edizioni dei Mondiali.

L’ipotesi di trasformare la Serie A in un torneo da 18 o 16 squadre rispetto alle 20 attuali potrebbe inoltre rendere il campionato più equilibrato e se ne dibatte da tempo, ma non piace alla maggior parte dei presidenti.

Claudio Lotito e Aurelio De Laurentiis, presidenti di Lazio e Napoli (Roberto Monaldo/LaPresse)

Chi si oppone a questa proposta, tra le sue ragioni sostiene ad esempio che diminuire il numero di gare potrebbe ridurre eccessivamente gli introiti ottenuti dalla vendita dei diritti televisivi, che rappresenta la fonte di reddito più rilevante per le società. E nonostante ogni anno le televisioni versino oltre un miliardo di euro ai club di Serie A, il divario economico con la Premier League inglese è sempre più ampio.

I problemi e le divisioni in Italia riguardano anche la Serie B, la Serie C e i dilettanti, ognuna con i propri interessi da difendere, differenti da quelli della Serie A. Le leghe inoltre si ritrovano spesso divise al loro interno.

Attualmente è ancora il decreto legislativo 9 del 2008, conosciuto come Legge Melandri e aggiornato nel corso degli anni, a regolare il meccanismo chiamato “mutualità”, con il quale viene distribuito al resto del sistema il 10% dei soldi ricavati dalla vendita dei diritti televisivi della Serie A: alla Lega di B spetta il 6%, alla Serie C il 2%, ai dilettanti l’1% e un altro 1% va alla Federazione. Anche su queste percentuali si discute da tempo.

Come funzionano adesso i campionati
Al momento i posti a disposizione per le squadre professionistiche in Italia sono 100, divisi in tre livelli: 20 squadre in Serie A, altrettante in Serie B e le restanti 60 in Serie C, distribuite in tre gironi secondo criteri geografici. Ogni anno le squadre che finiscono agli ultimi tre posti della Serie A retrocedono in Serie B e altrettante fanno il percorso inverso. Ottengono la promozione le prime due classificate della Serie B più una terza, che può essere la vincitrice dei playoff o direttamente la terza classificata in caso abbia almeno 15 punti di vantaggio sulla quarta.

Sono invece quattro le squadre che dalla B scendono in Serie C al termine di ogni stagione. In Serie C è prevista la promozione automatica in Serie B della prima squadra di ogni girone, mentre il quarto posto a disposizione viene assegnato attraverso i playoff, ai quali partecipano le 28 squadre che si sono classificate dal secondo al decimo posto dei tre gironi, più la vincitrice della Coppa Italia di Serie C. Nel caso in cui la vincitrice della Coppa Italia si sia classificata tra il secondo ed il decimo posto del suo girone, a prendere il suo posto sarà l’undicesima classificata di quello stesso girone.

Nove squadre retrocedono invece in Serie D: le ultime di ognuno dei tre gironi di Serie C più altre sei che vengono determinate dai playout. Alla Serie D quest’anno stanno partecipando 166 squadre divise in nove gironi: chi arriva primo in ogni girone sale in Serie C, mentre le vincitrici dei playoff acquisiscono un punteggio nella graduatoria per gli eventuali ripescaggi.

Quali sono i problemi
Dal 2000 a oggi in Italia sono state 188 le società fallite o che non sono riuscite a iscriversi al campionato, con una media di circa 9 squadre a stagione. Nella maggior parte dei casi i club retrocessi nelle serie inferiori si sono ritrovati a gestire dei costi non più sostenibili e non hanno potuto coprire le spese necessarie per proseguire l’attività, anche perché le differenze di ricavi nelle varie categorie sono notevoli.

La retrocessione comporta anche il calo degli altri ricavi derivanti dagli sponsor, dalla vendita dei biglietti e dal calciomercato, ma le società devono comunque continuare a pagare i giocatori che rimangono in organico e mantengono solitamente lo stesso stipendio che avevano in Serie A. La discesa in B viene attutita dal meccanismo definito “paracadute”, che viene messo a disposizione delle squadre retrocesse: si tratta di un premio che varia da 10 a 25 milioni di euro a seconda delle situazioni. Ma questo in molti casi non basta a evitare una crisi economica.

I club che scendono dalla Serie B alla C si ritrovano spesso in una condizione ancor più delicata, perché il calo dei ricavi è maggiore in proporzione rispetto a quello che si verifica per la retrocessione dalla Serie A alla B. Succede inoltre che alcune squadre promosse dalla Serie D alla C rinuncino a iscriversi al campionato perché i costi del passaggio al calcio professionistico non sarebbero sostenibili.

Del lungo elenco dei fallimenti registrati dal 2000 a oggi fanno parte anche società storiche come il Napoli e la Fiorentina, che sono state poi rifondate. Il periodo più difficile si verificò nel biennio 2010-2012, con un totale di 42 tra società fallite e non iscritte al campionato, principalmente a causa di problemi economici. Nella scorsa stagione è toccato invece a Livorno, Gozzano, Chievo Verona, Carpi, Novara, Sambenedettese, Casertana e Catania, mentre quest’anno Campobasso e Teramo sono state escluse dalla Serie C.

Alla luce di questa situazione il presidente federale Gabriele Gravina sin dall’inizio del suo mandato – è stato eletto nel 2018 dopo il commissariamento della Federazione ed è stato poi confermato nel 2021 – sta tentando di promuovere una riforma del calcio italiano, con l’obiettivo di rendere il sistema più sostenibile per tutti attraverso la riduzione delle squadre e altri interventi.

Prima dell’arrivo della pandemia, che ha aggravato i problemi economici delle società a ogni livello, Gravina aveva chiesto alle leghe di organizzare un programma di riunioni per lavorare insieme alla riforma. Le leghe, però, non avevano trovato una linea condivisa e per qualche tempo si erano confrontate su una proposta formulata nel 2021 dallo stesso Gravina, che intendeva creare dei campionati “cuscinetto” per rendere meno problematico il passaggio nelle serie inferiori.

(Antonio Ros/LaPresse)

Il progetto prevedeva la riduzione delle squadre professionistiche a 60. A partire dalla stagione 2024/25 – la stessa in cui inizieranno i tornei UEFA con la nuova formula – avrebbero dovuto essere confermati 20 club in Serie A, 20 in Serie B e altrettanti avrebbero partecipato a un nuovo torneo chiamato “Serie C Elite” gestito da un’unica lega fusa con la Serie B. Le altre 40 squadre sarebbero invece finite in una lega semi-professionistica formata dal resto della Serie C e da una nuova “Serie D Elite”. Ma soltanto la Lega di Serie B aveva appoggiato l’idea di Gravina e quella proposta era stata accantonata.

Nel frattempo la FIGC, dopo aver riformato la giustizia sportiva, lo scorso ottobre aveva introdotto un nuovo sistema per le licenze nazionali, ovvero le norme che devono rispettare le società per iscriversi ai campionati. Il regolamento ricalca i principi del Fair Play Finanziario ideato dalla UEFA per le competizioni europee – a sua volta modificato a partire da questa stagione – e prevede una serie di obblighi relativi al pagamento degli stipendi, dei debiti e delle tasse per spingere i club a controllare le proprie spese e avere di conseguenza bilanci più “sani”.

Inoltre, nell’ambito della cosiddetta “Riforma dello sport” del governo, che entra in vigore da quest’anno e interessa tutte le discipline, la Federazione aveva chiesto di introdurre la figura del semi-professionista, che giuridicamente non esiste in Italia. Al momento gli atleti si dividono in professionisti e dilettanti: la legge stabilisce che solo chi fa sport come lavoro a tempo pieno nelle discipline professionistiche riconosciute dal CONI (calcio, basket, pugilato e ciclismo) ha diritto al contratto stabilito dalle singole federazioni. Prima della riforma, i dilettanti potevano ottenere solo un rimborso per la loro attività sportiva, mentre ora potranno firmare un contratto di lavoro autonomo, “nella forma della collaborazione coordinata e continuativa”.

Il semi-professionista, nell’idea della FIGC, sarebbe stato invece un atleta vincolato a una società da un contratto sportivo, ma libero di svolgere anche altre attività. Gravina puntava a riunire le società di Serie C, Serie A femminile e Serie A di calcio a cinque in un nuovo sistema di semi-professionismo, con degli sgravi fiscali sui contratti degli atleti, ma la proposta non è passata. Il governo si è infatti limitato ad autorizzare una forma di apprendistato e avviamento al professionismo per i giovani nei decreti attuativi che regolano la Riforma dello sport, accogliendo quindi solo in parte le richieste della Federazione. A partire dal 1° luglio 2023 ci saranno meno tasse sui contratti delle atlete e degli atleti professionisti di età inferiore ai 23 anni, a patto che le società per cui giocano non abbiano fatturato più di 5 milioni di euro nella stagione precedente.

Dopo l’approvazione della Riforma dello sport, la FIGC ha chiesto al governo di inserire alcune correzioni, come ad esempio di consentire l’accesso agli sgravi fiscali a tutte le società di calcio femminile a prescindere dal fatturato. In questo modo ne beneficerebbero anche le squadre femminili che sono state create come una sezione all’interno delle principali società maschili, come ad esempio Juventus, Inter, Milan, Roma e Lazio. I club di Serie A e Serie B che incassano mediamente molto più di 5 milioni di euro a stagione non sono interessati dal provvedimento.

Ma per loro il governo ha previsto un altro aiuto che ha suscitato diverse polemiche: nell’ultima legge di bilancio è stato inserito un emendamento che consentirà a “federazioni sportive nazionali, enti di promozione sportiva, associazioni, società professionistiche e dilettantistiche” di pagare nel corso di 5 anni in 60 rate, con una maggiorazione del 3%, i versamenti delle tasse sospesi per il Covid e che scadevano alla fine del 2022. Si tratta di 889 milioni di euro complessivi, di cui circa 500 milioni dovevano essere pagati dai club di Serie A. Uno dei principali fautori dell’emendamento è stato il senatore di Forza Italia Claudio Lotito, presidente della Lazio, che da anni è molto influente anche nella politica sportiva e attualmente è un membro del Consiglio della FIGC e della Lega di Serie A.

Le società non sono d’accordo
Senza un accordo tra le diverse componenti risulta al momento impossibile approvare la riforma del calcio, a partire dalla modifica della struttura dei campionati. Nello statuto federale c’è infatti una norma che regola il cosiddetto “diritto d’intesa” riconosciuto alle leghe: l’articolo 27 stabilisce che il Consiglio federale debba decidere d’intesa con le Leghe interessate le modifiche all’ordinamento dei campionati e ai meccanismi di promozione e retrocessione.

Dopo la bocciatura della sua proposta, nel corso della riunione dello scorso ottobre Gravina aveva minacciato le leghe di convocare un’assemblea straordinaria per votare la modifica dell’articolo 27 dello statuto e l’eliminazione del “diritto d’intesa”, in modo da poter decidere la riforma dei campionati direttamente all’interno del Consiglio federale. Per riscrivere la norma dello statuto, però, servirebbe che la proposta venga approvata dalla maggioranza semplice dell’assemblea – almeno il 50% dei voti più uno – che è composta da un rappresentante per ognuna delle società professionistiche e dai delegati eletti dalla Lega Nazionale Dilettanti, dagli atleti, dai tecnici e dagli arbitri. Il “peso” delle componenti nell’assemblea è così diviso: il 34% dei voti spetta alle leghe professionistiche, un altro 34% ai dilettanti, il 20% agli atleti, il 10% ai tecnici e il 2% agli arbitri.

Il Consiglio federale è invece un organo più snello ed è formato dal presidente più diciannove componenti. Sei di questi vengono eletti dai dilettanti, tre dalla Serie A, uno dalla Serie B e tre dalla Lega Pro. Gli atleti hanno quattro rappresentanti, i tecnici ne hanno due.

Nel corso di quella stessa riunione di ottobre la Lega di Serie A si era subito opposta all’eliminazione del diritto d’intesa e l’assemblea era stata rimandata. Gravina aveva quindi chiesto che entro la fine di dicembre fosse portato alla FIGC un progetto di riforma condiviso almeno dalla Lega di Serie B e dalla Lega Pro, che restano in contrasto fra loro sul numero di promozioni e retrocessioni e sul meccanismo di divisione delle risorse, mentre Serie A e B hanno adesso diverse idee in comune. Ma nel frattempo non è stato raggiunto un accordo complessivo e la soluzione è stata ulteriormente posticipata.

La Serie A, che da marzo 2022 ha come presidente l’avvocato romano Lorenzo Casini, vorrebbe che il campionato rimanesse a 20 squadre e sarebbe disposta a valutare la riduzione a due delle retrocessioni in Serie B, senza che questo comporti dei costi per la Lega in termini di maggiori contributi da pagare alle categorie inferiori rispetto a quanto previsto oggi. Questo obiettivo non viene però esplicitato nel documento di 18 pagine inviato alla Federazione e al ministro dello Sport Andrea Abodi lo scorso dicembre, contenente le proposte di riforma della Serie A divise in dieci punti.

Il titolo del documento è “Riformare il calcio italiano” e dopo la premessa sul “contesto post-pandemico e il bisogno di rilancio”, si passa al primo punto riguardante l’ordinamento dei campionati: la Lega chiede di rafforzare i controlli sulle iscrizioni ai tornei professionistici per evitare che le società non riescano poi a concludere la stagione o a proseguire l’attività negli anni successivi, una “mutualità più efficace, una maggiore sostenibilità economica-finanziaria” per il sistema e di rivedere il meccanismo del “paracadute”, che peraltro lo stesso Gravina vorrebbe eliminare.

Tra le questioni più urgenti c’è quella riguardante la costruzione dei nuovi stadi, che sono ritenuti fondamentali per aumentare i ricavi delle società: la Serie A chiede al governo di costituire una “cabina di regia unica” per la realizzazione dei progetti, in modo da centralizzare le procedure che al momento devono essere portate avanti dai club con le singole amministrazioni locali. La conseguenza è che i progetti presentati da diverse società si bloccano per troppo tempo e in alcuni casi vengono ritirati. L’obiettivo di accelerare la costruzione di nuovi impianti è condiviso dalla FIGC, visto che l’Italia si è candidata a ospitare gli Europei del 2032 ed entro il 12 aprile dovrà presentare alla UEFA il dossier definitivo.

Nel documento della Serie A sono state poi inserite delle proposte per una migliore valorizzazione dei giovani: si punta a modificare i meccanismi di promozione tra le due categorie del campionato Primavera, riservato agli Under 19, e a obbligare le squadre a utilizzare nel torneo un numero minimo di giocatori formati nei loro vivai. La Lega vorrebbe inoltre gestire anche il torneo degli Under 18 (al momento lo organizza invece la FIGC), creare un evento unico della durata di una settimana in cui riunire le finali di tutti i campionati giovanili e avviare un progetto di collaborazione con le scuole.

(Massimo Paolone/LaPresse)

Le società di Serie A chiedono poi di eliminare il limite nel numero dei prestiti consentiti all’interno del mercato italiano per i giovani al di sotto dei 23 anni (e non solo per gli Under 21 come deciso dalla FIFA a livello internazionale) e propongono di modificare le regole per le seconde squadre: si punta a ridurre i costi, a stabilire un meccanismo che dia maggiori certezze sulla possibilità di iscrivere le seconde squadre al campionato di Serie C e a ottenere una maggiore flessibilità nello scambio di giocatori con la prima squadra. Con questo insieme di proposte la Serie A intende velocizzare la crescita dei giovani, che in Italia trovano maggiori difficoltà a raggiungere il livello necessario per giocare nelle categorie maggiori rispetto a quanto avviene in altri Paesi. Spesso gli allenatori della Serie A si lamentano ad esempio del fatto che il campionato Primavera non sia abbastanza competitivo per la formazione dei ragazzi.

La Lega chiede anche un nuovo formato per valorizzare la Coppa Italia, che suscita un interesse minore rispetto al campionato. Con l’attuale regolamento le squadre più forti iniziano il torneo a partire dagli ottavi di finale e giocano in casa i turni a eliminazione diretta del torneo. Questa formula sfavorisce quindi le squadre più deboli, che difficilmente riescono ad avanzare nella competizione. Qualche risultato a sorpresa in più potrebbe aumentare il fascino della Coppa Italia, ma i presidenti si oppongono all’idea di far giocare in casa le squadre più deboli: tra le motivazioni viene sottolineato che negli stadi dei club di Serie B non si potrebbe ad esempio utilizzare la tecnologia appena introdotta per il fuorigioco semi-automatico, che necessita di un sistema aggiuntivo di telecamere installate finora solo negli impianti di Serie A.

Inoltre negli stadi più piccoli si potrebbero vendere meno biglietti e, di conseguenza, ottenere meno soldi. Per motivi legati agli ascolti anche le televisioni che hanno acquistato i diritti per trasmettere la Coppa Italia (prima era la Rai, attualmente è Mediaset) preferiscono che si giochino più partite tra le squadre più forti. Esiste poi l’ipotesi di allargare da due a quattro il numero delle squadre partecipanti alla Supercoppa Italiana, che attualmente consiste in una partita secca tra la vincitrice del campionato e quella della Coppa Italia. Ma su questo punto non tutti i presidenti si trovano d’accordo perché un torneo più lungo, con semifinali e finale, andrebbe a occupare altre date in un calendario già pieno di impegni.

La Serie A vorrebbe poi ottenere un maggior peso all’interno del Consiglio federale, dove i suoi voti pesano per il 15% contro il 30% dei dilettanti e questo comporta un inevitabile rallentamento nel processo di riforme. Questa richiesta è condivisa anche dalla Serie B, che esprime solo il 5% dei voti.

La Lega di A ha presentato inoltre una serie di proposte da sottoporre alla FIFA e alla UEFA. Una di queste riguarda il numero di gare delle nazionali che secondo i presidenti andrebbe ridotto. I campionati vengono infatti interrotti diverse volte durante l’anno per lasciare spazio agli impegni internazionali e i club sono costretti a lasciar partire i giocatori, che spesso tornano a ridosso della ripresa della Serie A e non hanno sufficienti allenamenti a disposizione per prepararsi.

Si propongono poi delle modifiche al regolamento che riguardano il fuorigioco, il VAR e il tempo effettivo delle partite. L’idea è di sperimentare il tempo effettivo nel campionato Primavera in attesa delle decisioni della FIFA a riguardo. Visto che ora sono consentite cinque sostituzioni durante le gare, la Lega vorrebbe cambiare anche una norma sulle panchine: al momento solo tre giocatori possono riscaldarsi contemporaneamente a bordo campo e si chiede di aumentare il limite almeno a cinque, come avviene ad esempio in Champions League.

Il documento si chiude con un pacchetto di proposte legislative da sottoporre all’Unione Europea. Per aumentare i propri introiti le società vorrebbero ad esempio vedersi riconosciuta una quota degli incassi sulle scommesse ed eliminare il divieto di sponsorizzazione delle società di scommesse introdotto dal governo nel 2018. Altro obiettivo primario per la Serie A è poter estendere a cinque anni la durata dei contratti di vendita dei diritti televisivi rispetto al limite di tre anni imposto dalla Legge Melandri. Diverse emittenti televisive e broadcaster hanno infatti presentato questa richiesta, con la promessa di garantire offerte più ricche alla Serie A se venisse data loro la possibilità di acquistare i diritti per un periodo più lungo.

(Paola Garbuio/LaPresse)

La Lega di Serie B aveva approvato all’unanimità la bozza di riforme proposta da Gravina nel 2021 e negli ultimi mesi dello scorso anno ha insistito per tornare a discuterne nel Consiglio federale, ripartendo da quello stesso progetto. I presidenti vorrebbero ridurre da quattro a tre le retrocessioni in Serie C, dato che con l’attuale format ogni anno nel campionato cambiano sette squadre su venti (tre scendono dalla Serie A e quattro salgono dalla C) e risulta più difficile programmare le politiche della lega. La Serie C, però, si oppone a questa modifica a meno che non vengano riconosciute maggiori risorse economiche alla Lega Pro in cambio della rinuncia a una promozione ogni anno. La Serie B chiede a sua volta di aumentare la propria quota di “mutualità” sui diritti tv della Serie A rispetto al 6% attuale, riportandola almeno al 7,5% previsto in precedenza.

Quanto alla proposta di ridurre a due il numero delle squadre promosse ogni anno in Serie A, al momento non è iniziata alcuna trattativa, tantomeno sull’ipotesi – fatta più volte nel corso degli anni – di prevedere uno spareggio fra la terzultima della Serie A e la terza della Serie B per assegnare un posto nel torneo principale. Dopo aver raddoppiato gli introiti dalla vendita dei diritti tv, grazie all’interesse aumentato su un campionato spesso molto combattuto dall’inizio alla fine con i playoff e i playout, la Lega vorrebbe ora ottenere dei premi di valorizzazione prestabiliti per i giovani che vengono mandati a giocare in Serie B in prestito dai club di Serie A. Al momento, invece, sono le singole società a dover trattare gli accordi a riguardo. Si punta inoltre a una revisione delle norme sui contratti, che consenta la riduzione automatica degli stipendi dei calciatori in caso di retrocessione delle società.

Intanto all’interno della Lega Pro si è creata una situazione complessa. L’ex presidente Francesco Ghirelli aveva presentato una proposta internamente alla lega – diversa da quella di Gravina – per trasformare la Serie C in un torneo da sei gironi composti da dieci squadre ciascuno e una seconda fase con le migliori cinque di ogni girone per determinare le promozioni in Serie B. Questo progetto avrebbe aumentato l’interesse per le fasi finali del campionato, anche nell’ottica della vendita dei diritti tv.

Ma l’assemblea straordinaria della Lega Pro dello scorso dicembre non ha approvato il progetto e Ghirelli si è dimesso. Al suo posto si è insediato il vice presidente Marcel Vulpis, che ora è candidato alle elezioni programmate per il prossimo 9 febbraio. I club più attrezzati spingono per una formula del campionato più snella che garantisca loro maggiori possibilità di promozione diretta in Serie B, gli altri vorrebbero invece giocare più a lungo possibile per aumentare gli incassi pur rimanendo in Serie C.

La Lega Nazionale Dilettanti è invece guidata dall’ex presidente della FIGC Giancarlo Abete. Rappresenta gli interessi di un movimento da oltre un milione di tesserati e quasi 50mila squadre. La LND non aveva appoggiato la proposta di Gravina che, attraverso la formazione di una Lega semi-professionistica composta dalla Serie C e dalla Serie D “Elite”, avrebbe fatto scendere di una categoria i dilettanti, che vogliono invece rimanere il quarto “livello” del calcio dietro le tre serie maggiori. Abete attende ora le decisioni delle altre leghe riguardo alle riforme e al “diritto d’intesa”, per poi presentare le proprie richieste.

A questo punto è probabile che Gravina attenda la votazione della Lega Pro del 9 febbraio prima di tornare a riunire le componenti. Nel frattempo il presidente della FIGC sta preparando un nuovo progetto da sottoporre alle leghe. Se dovesse fallire anche questo tentativo, tornerà in ballo l’idea di modificare lo statuto federale per eliminare il “diritto d’intesa”. L’articolo 24 prevede che “l’assemblea straordinaria è convocata dal Presidente federale o, per decisione del Consiglio federale, quando ricorrano gravi circostanze o per procedere a modifiche dello statuto”.

La tensione fra le parti è diventata palese a ridosso della Supercoppa Italiana giocata a Riad lo scorso 19 gennaio e vinta dall’Inter 3-0 contro il Milan. «Mi rattrista che in Arabia Saudita solo 400 spettatori su 58mila saranno italiani. Mi auguro che si trovi un momento di equilibrio economico per coltivare il calcio sul nostro territorio» ha detto Gravina. «A me invece rattrista non aver visto l’Italia ai Mondiali in Qatar. Siamo tutti dispiaciuti inoltre che la Federazione non sia in Arabia Saudita con noi, il giorno in cui viene assegnato il primo trofeo calcistico della stagione. La Serie A ha lavorato sodo in questi mesi, abbiamo il nostro pacchetto di proposte condivise anche con la Serie B e ci aspettiamo molto» ha risposto Casini.

Le seconde squadre
Uno dei principali temi di discussione della riforma riguarda le seconde squadre. Dal 2018 la FIGC ha previsto che i club di Serie A possano allestire una squadra composta principalmente da giovani e iscriverla al campionato di Serie C qualora ci siano dei posti liberi a causa della mancata iscrizione di altri club. Le seconde squadre possono essere promosse in Serie B ma non in Serie A e non possono giocare lo stesso campionato della prima squadra. In caso di retrocessione, la seconda squadra non può essere ammessa al campionato di Serie D ma può chiedere eventualmente di ottenere di nuovo un posto in Serie C se ne rimane uno vacante.

Il regolamento di quest’anno prevede che sui 23 calciatori inseriti nella lista per le partite delle seconde squadre solo quattro di loro possano essere nati prima del 1° gennaio del 2000 e quindi avere più di 23 anni. Inoltre, per limitare il numero di stranieri e favorire la formazione dei giovani italiani, nella lista sono ammessi solo sette giocatori che sono stati tesserati in Italia per meno di sette stagioni. Le società possono utilizzare gli stessi calciatori anche per le gare di Serie A ma dopo la cinquantesima presenza gli stessi non possono più giocare nelle seconde squadre in Serie C.

Finora soltanto la Juventus a partire dal 2018 ha creato una seconda squadra, che da questa stagione si chiama Juventus Next Gen e nel corso degli anni è riuscita a formare diversi giocatori passati poi in prima squadra. Per iscrivere al campionato di Serie C una seconda squadra bisogna versare una tassa di 1,2 milioni di euro, che viene distribuita alle altre società del girone di Serie C a cui partecipa, e vanno aggiunti altri 6-7 milioni per pagare i giocatori, i componenti dello staff tecnico e le spese di gestione. In caso di retrocessione e di mancato ripescaggio nel campionato successivo, le squadre vengono sciolte, i calciatori si svincolano gratis e l’investimento rischia di essere perso.

Ecco perché nessun altro club ha seguito la Juventus, ma negli ultimi tempi Roma, Milan, Sassuolo e Atalanta hanno mostrato interesse a creare una seconda squadra a patto che vengano cambiate le norme.

L’obiettivo adesso è quello di approvare nel più breve tempo possibile il nuovo regolamento, in modo da consentire alle società interessate di organizzarsi per allestire le seconde squadre e presentare la domanda d’iscrizione al campionato di Serie C 2023/24.