Il crimine più efferato ordinato da Matteo Messina Denaro

È molto probabilmente l'omicidio di Giuseppe Di Matteo, rapito a 12 anni e sciolto nell'acido dopo oltre due anni di prigionia

Dal Messaggero del 10 marzo 1996
Dal Messaggero del 10 marzo 1996
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Matteo Messina Denaro, il più ricercato mafioso italiano e considerato il capo di Cosa Nostra, è stato arrestato lunedì mattina dopo 30 anni di latitanza. È accusato di moltissimi crimini di enorme gravità, tra cui diversi attentati organizzati contro lo stato italiano e decine, se non centinaia, di omicidi. Molti di questi non furono commessi materialmente da Messina Denaro, ma li progettò e ordinò in quanto uno dei capi dell’organizzazione criminale, almeno stando alle indagini delle forze dell’ordine e a quanto ricostruito attraverso le dichiarazioni di diversi mafiosi arrestati negli ultimi decenni.

Tra gli omicidi legati a Messina Denaro di cui si è conoscenza, viene spesso citato come il più grave in assoluto quello ai danni di Giuseppe Di Matteo, il figlio dodicenne di un mafioso pentito, che fu rapito, tenuto prigioniero per due anni e infine ucciso l’11 gennaio del 1996 quando aveva 14 anni, strangolato e poi sciolto nell’acido. I dettagli di quell’omicidio furono raccontati anche da uno dei suoi esecutori materiali, Vincenzo Chiodo, durante un’udienza del processo a suo carico del 1998.

Giuseppe Di Matteo era nato a Palermo nel 1981 ed era il figlio di Mario Santo Di Matteo, conosciuto anche come Santino Di Matteo, accusato di dieci omicidi mafiosi e arrestato il 4 giugno 1993. Quest’ultimo divenne dopo poco tempo dal suo arresto “collaboratore di giustizia”, cioè la condizione di chi decide di fornire informazioni sulle attività criminali di cui è a conoscenza e in generale collaborare con la magistratura, in cambio di sconti di pena (in modo più colloquiale il collaboratore viene spesso chiamato anche “pentito”).

Tra le altre cose, Santino Di Matteo diede alle autorità importanti dettagli sulla strage di Capaci, l’attentato mafioso in cui fu ucciso il giudice Giovanni Falcone con la moglie Francesca Morvillo e la scorta, e sull’omicidio del mafioso Ignazio Salvo. Come ritorsione per le sue confessioni, nel novembre del 1993 alcuni dei capi di Cosa Nostra, tra cui soprattutto Matteo Messina Denaro, ordinarono il rapimento del figlio di Santino Di Matteo, Giuseppe, che all’epoca aveva 12 anni: l’obiettivo esplicito era spingere il padre a ritrattare alcuni dei suoi racconti, come si capì da alcuni messaggi che Cosa Nostra fece recapitare alla famiglia del bambino.

Dal momento che Santino Di Matteo mancava da casa da tempo, i rapitori avvicinarono il figlio fingendosi agenti dell’antimafia, e dicendogli che gli avrebbero permesso di fare visita al padre. Lo raccontò anche uno di loro, il collaboratore di giustizia Gaspare Spatuzza: «Agli occhi del ragazzo siamo apparsi degli angeli, ma in realtà eravamo dei lupi […] lui era felice, diceva “papà mio, amore mio”».

Da quel momento cominciò un sequestro di più di due anni, nel corso del quale Giuseppe Di Matteo fu spostato con una certa frequenza di nascondiglio in nascondiglio affinché non fosse trovato dalle forze dell’ordine. Secondo le testimonianze dei collaboratori di giustizia passò del tempo anche nei covi di Matteo Messina Denaro, che all’epoca era già latitante.

Il rapimento però non fece cambiare idea a Santino Di Matteo, che continuò a collaborare con i magistrati. Gli ultimi sei mesi di prigionia Giuseppe Di Matteo li trascorse in un bunker a San Giuseppe Jato, in provincia di Palermo. Ne fu ordinata l’uccisione dopo la condanna all’ergastolo di Giovanni Brusca, altro mafioso con un ruolo di rilievo nell’organizzazione, all’epoca latitante e in seguito collaboratore di giustizia.

L’uccisione di Giuseppe Di Matteo avvenne l’11 gennaio del 1996, quando aveva quasi 15 anni. Vincenzo Chiodo, uno degli esecutori materiali, la descrisse a processo:

Io ho detto al bambino di mettersi in un angolo, cioè vicino al letto, quasi ai piedi del letto, con le braccia alzate e con la faccia al muro. Allora il bambino, per come io ho detto, si è messo faccia al muro. Io ci sono andato da dietro e ci ho messo la corda al collo. Tirandolo con uno sbalzo forte, me lo sono tirato indietro e l’ho appoggiato a terra. Enzo Brusca si è messo sopra le braccia inchiodandolo in questa maniera (incrocia le braccia) e Monticciolo si è messo sulle gambe del bambino per evitare che si muovesse. Nel momento della aggressione che io ho buttato il bambino e Monticciolo si stava già avviando per tenere le gambe, gli dice «mi dispiace» rivolto al bambino «tuo papà ha fatto il cornuto» (…) il bambino non ha capito niente, perché non se l’aspettava, non si aspettava niente e poi il bambino ormai non era… come voglio dire, non aveva la reazione di un bambino, sembrava molle… anche se non ci mancava mangiare, non ci mancava niente, ma sicuramente la mancanza di libertà, il bambino diciamo era molto molle, era tenero, sembrava fatto di burro… cioè questo, il bambino penso non ha capito niente. Sto morendo, penso non l’abbia neanche capito. Il bambino ha fatto solo uno sbalzo di reazione, uno solo e lento, ha fatto solo questo e non si è mosso più, solo gli occhi, cioè girava gli occhi. (…) io ho spogliato il bambino e il bambino era urinato e si era fatto anche addosso dalla paura di quello che abbia potuto capire o è un fatto naturale perché è gonfiato il bambino. Dopo averlo spogliato, ci abbiamo tolto, aveva un orologio da polso e tutto, abbiamo versato l’acido nel fusto e abbiamo preso il bambino. Io ho preso il bambino. Io l’ho preso per i piedi e Monticciolo e Brusca l’hanno preso per un braccio l’uno così l’abbiamo messo nell’acido e ce ne siamo andati sopra. (…) io ci sono andato giù, sono andato a vedere lì e del bambino c’era solo un pezzo di gamba e una parte della schiena, perché io ho cercato di mescolare e ho visto che c’era solo un pezzo di gamba… e una parte… però era un attimo perché sono andato… uscito perché lì dentro la puzza dell’acido era… cioè si soffocava lì dentro. Poi siamo andati tutti a dormire.

Le altre due persone che collaborarono materialmente con Chiodo all’uccisione furono Giuseppe Monticciolo e Vincenzo Brusca, citate più volte nella dichiarazione. Per l’omicidio di Giuseppe Di Matteo ci furono decine di condanne, oltre a quelle dei tre esecutori materiali, tra cui quella all’ergastolo di Messina Denaro nel 2012, quando era ancora latitante.

– Leggi anche: Chi è Matteo Messina Denaro