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  • Venerdì 13 gennaio 2023

Storia del primo coming out pubblico di una donna lesbica italiana

Nel 1972 Maria Silvia Spolato fu fotografata con un cartello esplicito sul suo orientamento sessuale: un libro racconta quel momento

La fotografia di Maria Silvia Spolato che fu pubblicata nel 1972 da Panorama
La fotografia di Maria Silvia Spolato che fu pubblicata nel 1972 da Panorama
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Nel 2018 molti giornali – il Post compreso – diedero la notizia della morte di una donna di 83 anni, Maria Silvia Spolato. Quando morì, Spolato viveva in una casa di riposo di Bolzano dopo essere stata per anni una persona senza dimora. Da giovane però era stata un’attivista e l’8 marzo 1972 aveva partecipato a una manifestazione femminista con un cartello che diceva “Fronte di liberazione omosessuale”: il suo è considerato il primo coming out pubblico di una donna lesbica in Italia. Fu visto da molte persone oltre a quelle che c’erano alla manifestazione, perché una fotografia di quella giornata fu pubblicata dalla rivista Panorama, entrando nella storia della comunità LGBTQ+ italiana.

Dopo aver letto della morte di Spolato la podcaster Sara Poma, autrice dell’apprezzato Carla, una ragazza del Novecento, si è interessata alla sua storia e ha indagato per cercare di ricostruirla. Il primo risultato di questa indagine è stato il podcast Prima, prodotto da Chora Media e uscito nel 2021; il secondo è un romanzo in cui Poma racconta insieme la storia di Spolato e la sua esperienza autobiografica: Il coraggio verrà. È uscito oggi ed è stato pubblicato da HarperCollins. Ne pubblichiamo un estratto che racconta la manifestazione dell’8 marzo 1972, a cui partecipò anche l’attrice americana Jane Fonda.

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Esiste anche un video di quella giornata. È contenuto in un film girato in Super8 da un collettivo di femministe studiose di cinema e include le istantanee di diversi momenti: un gruppo di giovani donne che parlano su una terrazza fumando sigarette; una sequenza artistica in cui altre ragazze, forse attrici, vengono prima riprese di spalle, poi a favore di camera, mentre fissano l’obiettivo esibendo bizzarri cappelli; infine delle riprese di quella manifestazione in Campo de’ Fiori, dove le femministe si erano date appuntamento per la Giornata internazionale della donna. Questa parte si apre su un capannello di donne, ed è per puro caso che noto Maria Silvia con il suo cartello in mano, subito dietro. Le altre parlano fra loro, confabulano; lei sembra isolata, sebbene dal resto del gruppo la separi meno di un metro. Mentre l’obiettivo si sposta su di lei, il suo sguardo si posa altrove, verso un punto lontano della piazza. Sembra stia aspettando qualcuno che non arriva. Poi, come in un improvviso lampo di consapevolezza, come se si fosse ricordata del motivo per cui si trova lì, solleva il cartello verso l’obiettivo, perché forse ha intravisto uno dei tanti fotografi presenti quel giorno ed è l’occasione perfetta per dare visibilità alla sua causa.

Il motivo della presenza della stampa è svelato di lì a poco; dopo una carrellata di donne con in mano cartelli su cui campeggiano slogan come “Partoriamo idee, non solo figli”, o “Dove esiste il capitalismo, esiste il privilegio maschile”, la cinepresa indugia su Jane Fonda. La si vede mentre parla con dei giornalisti. È la Hanoi Jane dell’attivismo contro la guerra in Vietnam, ha lo stesso taglio di capelli della famosa foto segnaletica scattata due anni prima a Cleveland e rimasto iconicamente documentato nel film Una squillo per l’ispettore Klute, uscito l’anno prima. In quel periodo, Jane Fonda si trovava in Europa per Tout va bien, un’opera politica di avanguardia di Godard, che i titolisti italiani, in perfetto spirito del tempo, decideranno di chiamare Crepa, padrone, tutto va bene. Non è difficile immaginare che durante le riprese a Parigi sia venuta a sapere che le femministe italiane stavano facendo gruppo e si stavano organizzando per manifestare, e abbia deciso di abbracciare anche la loro causa salendo su un aereo e presentandosi in quella stessa piazza. Ma la cinepresa del Collettivo Femminista di Cinema non si sofferma troppo su Jane Fonda; saranno i fotografi dei principali quotidiani a farlo, regalando alle generazioni future l’immagine immortale della diva di Hollywood con il pugno alzato sotto la statua di Giordano Bruno. Quello che alle cineaste interessa documentare sono le cariche della polizia che arrivano dopo qualche tiepida provocazione.

Nelle immagini che seguono si sentono i canti acuti delle manifestanti, fomentati da una ragazza con in mano un megafono puntato davanti a un poliziotto in borghese. L’uomo, che indossa occhiali da sole scurissimi e fa mostra di un paio di baffetti curati, mi fa capire quanto il cinema politico di quei tempi, quello di Elio Petri o Francesco Rosi, sia stato accurato nel restituire a noi posteri l’immagine di uomini dello stato che probabilmente durante il fascismo, quando erano molto giovani, avevano felicemente prestato servizio in qualche prigione di confino. Le manifestanti ora si sono sedute in mezzo alla piazza e l’uomo con gli occhiali scuri è sempre lì; sembra essere il principale interlocutore della donna con il megafono, che urla nella sua direzione: «Polizia fascista» e «Servi del potere». Il poliziotto ridacchia con supponenza e lo si sente dire: «Dài, bambine, tornate sul marciapiede». Nella scena successiva il megafono passa nelle mani di una ragazzina che avrà circa dieci anni, e forse è la figlia di una delle manifestanti. Impossibile capire cosa dica, i rumori della piazza si mischiano e si infrangono contro gli slogan urlati e il brusio della folla. Qualche secondo dopo, il Super8 ritorna su un altro poliziotto, senza occhiali da sole o baffi, ma che sembra essere uscito dallo stesso film di Elio Petri, e, in una breve frazione di tempo, l’inquadratura cattura, forse inconsapevolmente, il momento cruciale. La solita donna con il megafono si avvicina all’uomo e gli grida in faccia una frase che potrebbe suonare come: «Siete armati perché avete paura di noi». L’uomo, fino ad allora impassibile, perde la sua gelida calma e si avventa sulla donna, cercando di schiaffeggiarla. Nell’istante in cui lei si ritrae, lui si volta verso i poliziotti in tenuta antisommossa e con un gesto veloce della mano fa cenno di partire. In quel momento comincia la carica.

La giornata si conclude con le manifestanti prese a manganellate e costrette a scappare e disperdersi. Alma Sabatini, accademica e fondatrice del Movimento di liberazione della donna, la personalità più prominente in piazza (Jane Fonda si era dileguata dopo gli scatti con i fotografi), viene ferita alla testa; nella concitazione, la bambina con il megafono perde temporaneamente la madre e viene portata al sicuro dentro un negozio da una donna. Maria Silvia, solitaria, con il suo cartello, non entra in questo quadro rumoroso e violento. Gioca la carta che le riesce meglio, quella della sparizione. Il momento prima la vediamo cristallizzata in una fotografia che determina la sua vita da allora in avanti, il momento successivo non c’è più. Si è dissolta come un acquerello.

© 2023 Sara Poma/HarperCollins

La copertina del libro "Il coraggio verrà" di Sara Poma, su cui compare una fotografia in bianco e nero di due donne su una motocicletta ferma

La fotografia sulla copertina di “Il coraggio verrà” non ritrae Maria Silvia Spolato, ma due attiviste femministe fotografate nel 1978 a Bologna (una delle due è la madre di un collega di Sara Poma)