Chi è Valery Gerasimov, l’ennesimo comandante delle forze russe in Ucraina

È il capo di stato maggiore dell'esercito celebre per la dottrina della “guerra ibrida”, ma ci sono molti dubbi su di lui

Vladimir Putin e Valery Gerasimov (Sergei Guneyev, Sputnik, Kremlin Pool Photo via AP)
Vladimir Putin e Valery Gerasimov (Sergei Guneyev, Sputnik, Kremlin Pool Photo via AP)

Il presidente russo Vladimir Putin, dopo appena tre mesi, ha sostituito il comandante delle operazioni russe in Ucraina: al posto di Sergei Surovikin, che era stato nominato all’inizio di ottobre del 2022, subentrerà Valery Gerasimov, che è il capo di stato maggiore dell’esercito, e in quanto tale è l’ufficiale più alto in grado delle forze armate russe. Soprattutto, Gerasimov è uno dei più stretti alleati di Putin.

Il cambiamento dopo così poco tempo è un segnale di debolezza per l’esercito russo: dall’aprile del 2022, da quando cioè la dirigenza russa decise di porre le operazioni in Ucraina sotto il comando di un solo generale, ne sono stati già sostituiti quattro. E la scelta di Gerasimov, in particolare, sembra essere un segnale di difficoltà: al contrario del suo predecessore Surovikin, Gerasimov non ha esperienza recente sul campo di battaglia, e la sua nomina sembra più che altro dettata dalla necessità di Putin di mettere una persona a lui leale a capo delle operazioni in un momento di difficoltà. Secondo il ministero della Difesa britannico, la nomina di Gerasimov è un segnale del fatto che «la campagna della Russia non sta riuscendo a raggiungere i suoi obiettivi strategici».

Rispetto al suo predecessore Surovikin, che ha una lunga carriera militare attiva e recente, e che per esempio aveva comandato le operazioni militari russe nella guerra in Siria, Gerasimov è sempre stato più che altro un teorico e uno stratega. Si ritiene, tra l’altro, che anche dopo la nomina a capo delle operazioni in Ucraina rimarrà comunque a Mosca, la capitale della Russia, e che invierà sul campo i generali a lui sottoposti.

Gerasimov è uno dei più famosi teorici militari russi degli ultimi decenni, ed è noto soprattutto in Occidente “dottrina Gerasimov”, una teoria militare resa pubblica nel 2013 che formalizzava il concetto di “guerra ibrida”. Semplificando molto, la dottrina Gerasimov prevedeva che le forze nemiche non dovessero essere combattute con uno scontro militare diretto, ma indebolite dall’interno, facendo uso di «misure politiche, economiche, mediatiche, umanitarie e altre».

In sostanza Gerasimov sosteneva che la Russia, il cui esercito convenzionale è relativamente carente, avrebbe potuto colmare il divario sfruttando mezzi non convenzionali, come la disinformazione, gli attacchi informatici, e le azioni mirate delle forze speciali al posto di quelle generalizzate degli eserciti convenzionali. L’idea, scrisse Gerasimov nel 2013, era di sfruttare «le operazioni delle forze speciali e l’opposizione interna per creare un fronte sempre attivo su tutto il territorio dello stato nemico». È quello che la Russia fece nel 2014 con l’invasione della Crimea, quando accompagnò un intervento mirato delle forze speciali ad ampie campagne di disinformazione per generare divisioni interne in Ucraina e in Occidente.

La dottrina Gerasimov prevede anche che la Russia lavori per amplificare le divisioni interne ai suoi nemici, finanziare partiti politici e movimenti antisistema, organizzare campagne di disinformazione e favorire la destabilizzazione economica, tra le altre cose.

Successivamente, l’enfasi posta in Occidente sulla “dottrina Gerasimov” è stata ridimensionata, perché è diventato chiaro che più che una strategia militare, quella espressa da Gerasimov era un insieme di concetti che circolavano da tempo negli ambienti militari, non soltanto russi.

Gerasimov è ormai piuttosto anziano ed è considerato un esponente della vecchia guardia militare e politica russa. Una fonte anonima del Financial Times vicina al ministero della Difesa russo ha detto: «Stanno rimescolando le carte perché sono in un vicolo cieco e non sanno cosa fare. Questi tipi sono tutti uomini anziani che vanno per i 70 e non sanno come si combatte una guerra moderna».