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  • Martedì 10 gennaio 2023

Le critiche alle forze dell’ordine brasiliane per l’assalto alle istituzioni

Sono state rivolte soprattutto alla polizia militare, ma c'è chi accusa anche l'esercito di avere protetto i rivoltosi

(AP Photo/Eraldo Peres)
(AP Photo/Eraldo Peres)

In Brasile, dove domenica migliaia di sostenitori dell’ex presidente Jair Bolsonaro hanno assaltato tre edifici delle istituzioni brasiliane protestando contro la sua sconfitta alle ultime elezioni, sono state rivolte alcune critiche alle forze dell’ordine per come hanno gestito l’accaduto. Sono critiche che vanno prese con qualche prudenza perché per capire esattamente cosa sia successo serviranno indagini e inchieste: ma secondo la Corte suprema e diversi giornali locali le forze dell’ordine non solo non avrebbero fatto abbastanza per evitare l’assalto, che non si può dire fosse inaspettato, ma lo avrebbero addirittura favorito.

Le critiche riguardano soprattutto la polizia militare, uno dei principali corpi di polizia del Brasile e quello deputato al mantenimento dell’ordine pubblico. Ma sono state rivolte anche all’esercito, che è stato accusato da alcuni di avere in parte protetto i rivoltosi.

– Leggi anche: L’assalto alle istituzioni brasiliane, raccontato con le immagini

I sostenitori di Bolsonaro hanno assaltato la sede del parlamento, della Corte suprema e l’ufficio del presidente (il Palácio do Planalto), tutti e tre collocati sull’Asse monumentale, la strada di Brasilia in cui si trovano molti importanti edifici governativi e sedi diplomatiche. Nei giorni precedenti i rivoltosi erano rimasti accampati in diversi punti della città. Alcuni si era posizionati di fronte all’edificio principale dell’esercito, all’inizio dell’Asse monumentale e a circa 7 chilometri dai tre edifici assaltati. Quel tratto di strada è stato poi percorso a piedi dai rivoltosi, in un corteo scortato dalla polizia.

Un accampamento dei rivoltosi di fronte a una sede dell’esercito a Rio de Janiero (AP Photo/Bruna Prado)

La prima critica rivolta alle forze dell’ordine riguarda proprio la prevedibilità dell’assalto. Che la sconfitta di Bolsonaro avrebbe potuto portare a qualcosa di simile all’attacco al Congresso statunitense del 6 gennaio del 2021, organizzato per motivi paragonabili dai sostenitori dell’ex presidente Donald Trump, era un timore condiviso già durante la campagna elettorale per le presidenziali: era stata tesa e caratterizzata da episodi di violenza, e Bolsonaro aveva fatto capire molto chiaramente di non essere intenzionato ad accettare una potenziale sconfitta.

Ad elezioni concluse, poi, i sostenitori di Bolsonaro si erano organizzati per settimane sui social network, senza preoccuparsi troppo di dissimulare le loro intenzioni. Avevano bloccato strade e autostrade, commesso atti di vandalismo e allestito accampamenti in diverse aree. Soprattutto, avevano parlato apertamente di voler occupare con la violenza i palazzi delle istituzioni brasiliane, e avevano anche organizzato trasporti di massa da tutto il paese per cercare di portare quante più persone possibili a Brasilia: proprio per questo alcuni analisti avevano previsto sulla stampa brasiliana che potesse verificarsi a breve un assalto alle sedi governative.

Uno dei personaggi più criticati nell’immediato dell’assalto è stato il governatore del distretto federale di Brasilia, Ibaneis Rocha, che aveva espresso il suo appoggio per Bolsonaro prima del ballottaggio presidenziale, tenuto lo scorso 30 ottobre. Dopo l’assalto, la Corte suprema ha deciso di sospenderlo dal suo incarico per 90 giorni. Commentando la sua sospensione, Alexandre de Moraes, giudice della Corte suprema brasiliana, ha detto che quel che è successo «è potuto succedere solo grazie al consenso, e anche all’attiva partecipazione, delle autorità competenti per la sicurezza e l’intelligence, dato che l’organizzazione della manifestazione era nota e conosciuta, e anticipata dalla stampa». 

Secondo Moraes «la connivenza delle autorità» con l’assalto alle istituzioni si è vista da una serie di fatti piuttosto concreti. Anzitutto l’autorizzazione per entrare a Brasilia data ai molti pullman carichi di manifestanti, nonostante si fosse a conoscenza delle loro intenzioni. Moraes ha accusato Rocha di aver dato «ampio accesso» alle sedi governative, ignorando «tutti gli appelli delle autorità per un piano di sicurezza».

In secondo luogo, secondo Moraes, sul posto la polizia non avrebbe agito abbastanza prontamente per allontanare e disperdere i manifestanti, intervenendo in modo blando e poco efficiente. Si ritiene che già scortando il corteo dei manifestanti la polizia avesse avuto tutti gli strumenti per capire cosa stesse per succedere. Le barricate allestite di fronte agli edifici governativi sono state inoltre ritenute piuttosto deboli e inadatte a far fronte alle migliaia di persone in arrivo. Alcuni video pubblicati dal sito di notizie brasiliano G1 hanno infine mostrato agenti della polizia militare che riprendevano col cellulare i manifestanti ormai saliti in massa sui tetti del parlamento, senza intervenire per farli scendere.

Rocha si è successivamente scusato per le falle della sicurezza attorno agli edifici governativi e ha licenziato Anderson Torres, segretario alla sicurezza del distretto federale, che aveva la responsabilità sull’area. Torres è un alleato stretto di Bolsonaro ed era stato ministro della Giustizia dal 2021 fino alla fine del mandato presidenziale: qualche ora dopo il suo licenziamento la procura generale brasiliana ha chiesto alla Corte suprema di ordinare il suo arresto e quello di altri funzionari (di cui non sono stati fatti i nomi).

La gestione poco accurata della sicurezza attorno agli edifici assaltati sta venendo discussa anche in relazione a un altro episodio: una telefonata fatta poco prima dell’inizio dell’assalto da Fernando de Sousa Oliveira, il vice di Torres, allo stesso Rocha. Nella telefonata Oliveira rassicurava Rocha sulla portata della manifestazione, descrivendone i movimenti come «pacifici» e «organizzati».

Folha de São Paulo, uno dei principali quotidiani brasiliani, ha pubblicato lunedì la trascrizione di un pezzo di quella telefonata: Oliveira aveva descritto l’avvicinamento dei manifestanti alle sedi governative come «assolutamente pacifico» e la situazione come «molto calma e molto mite», una descrizione piuttosto inverosimile data la violenza che ha caratterizzato l’assalto. Folha de São Paulo ha detto di aver chiesto all’ufficio stampa di Rocha quale fosse stata la sua risposta alla telefonata di Oliveira, senza però ricevere risposta.

Ad assalto terminato, la Corte suprema brasiliana ha ordinato lo smantellamento dei vari accampamenti allestiti dai sostenitori di Bolsonaro. È in questa occasione che sono emersi dubbi sull’operato dell’esercito, accusato da alcuni di proteggere i manifestanti.

Diversi giornali ed emittenti locali hanno mostrato come domenica notte l’esercito abbia fisicamente impedito alla polizia di entrare all’interno del suo quartier generale per procedere così allo smantellamento degli accampamenti. Non è ancora chiaro cosa sia successo esattamente: fonti dell’esercito hanno detto di aver impedito l’entrata della polizia militare perché l’area era di loro esclusiva competenza e sarebbe spettata a loro la rimozione degli accampamenti, che sono stati comunque sgomberati il giorno dopo. D’altra parte, fino al momento dello sgombero, alcuni manifestanti avevano detto di sentirsi protetti e al sicuro finché sarebbero stati all’interno degli spazi dell’esercito, come si legge in alcune interviste fatte sul posto dal quotidiano spagnolo El País.

Si dovrà aspettare il risultato di indagini più approfondite per capire cosa sia successo e quale sia stato il coinvolgimento delle forze di sicurezza nell’attacco alle istituzioni brasiliane.