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  • Domenica 8 gennaio 2023

La polizia brasiliana ha ripreso il controllo del parlamento e degli edifici governativi

Che erano stati assaltati da migliaia di sostenitori di Bolsonaro, a una settimana dall'insediamento di Lula a presidente

I sostenitori di Jair Bolsonaro invadono il parlamento brasiliano (AP Photo/Eraldo Peres)
I sostenitori di Jair Bolsonaro invadono il parlamento brasiliano (AP Photo/Eraldo Peres)
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Domenica migliaia di sostenitori dell’ex presidente brasiliano Jair Bolsonaro hanno assaltato la sede del parlamento, della Corte suprema e dell’ufficio presidenziale a Brasilia, la capitale del Brasile, per protestare contro il risultato delle ultime elezioni, perse da Bolsonaro contro Luiz Inácio Lula da Silva. Bolsonaro aveva contestato il risultato delle elezioni e i suoi sostenitori erano accampati vicino alla sede del parlamento da giorni: si temeva che succedesse qualcosa di simile fin dalla campagna elettorale, che era stata particolarmente tesa e violenta e in cui Bolsonaro aveva fatto capire di non essere disposto ad accettare una sconfitta.

I sostenitori di Bolsonaro hanno sfondato le barriere attorno all’edificio del parlamento e sono entrati in massa al suo interno, molti con bandiere del Brasile avvolte attorno alle spalle. I manifestanti hanno occupato i seggi, spaccato finestre, rovesciato tavoli, danneggiato dipinti e statue all’interno degli edifici, tentato di dare fuoco alla moquette del parlamento e sventolato bandiere dalle finestre e dai tetti degli edifici occupati.

Verso le 21 locali il ministro della Giustizia brasiliano Flávio Dino ha fatto sapere che la polizia aveva ripreso il controllo di tutti e tre gli edifici governativi. In tutto sono state arrestate almeno 200 persone. Durante l’assalto ci sono stati scontri con le forze dell’ordine, che hanno tentato di allontanare i contestatori usando gas lacrimogeni e intervenendo anche con elicotteri, da cui sono stati sparati proiettili di gomma e granate stordenti. 

Lula ha detto che tutti i manifestanti, che ha definito «fascisti», verranno identificati e puniti per il loro coinvolgimento nell’assalto, e ha annunciato che a breve firmerà un decreto di emergenza che consentirà al governo federale di intervenire e attuare «qualsiasi misura necessaria» per riportare l’ordine nella capitale: il decreto rimarrà in vigore fino al 31 gennaio.

Rodrigo Pacheco, il presidente del Senato brasiliano, ha detto di essere in stretto contatto col governatore del distretto federale di Brasilia, Ibaneis Rocha, il quale ha concentrato «gli sforzi dell’intero apparato di polizia per controllare la situazione».

L’assalto al parlamento è stato attuato esattamente una settimana dopo l’insediamento come nuovo presidente del Brasile di Lula, che al momento è a San Paolo. Bolsonaro, invece, è in Florida, dove era andato rifiutandosi di partecipare alla cerimonia del trasferimento dei poteri: ore dopo l’inizio dell’assalto ha criticato le azioni dei suoi sostenitori con un tweet.

I sostenitori di Bolsonaro chiedono un intervento militare per rimuovere Lula dal suo incarico. Molti hanno paragonato l’accaduto all’assalto al Congresso degli Stati Uniti, compiuto dai sostenitori dell’ex presidente statunitense Donald Trump dopo la vittoria alle elezioni del suo avversario Joe Biden.

Mentre varie autorità statali e federali hanno assicurato l’impiego di ogni mezzo per sgomberare i manifestanti, ci sono già forti polemiche sui mancati interventi per prevenire l’attacco, ritenuto piuttosto prevedibile. Il nuovo ministro della Difesa José Múcio Monteiro negli ultimi giorni era stato poco risoluto con le manifestazioni bolsonariste, che aveva definito «espressioni democratiche», dicendo che si sarebbero via via esaurite autonomamente. Il quotidiano O Globo sostiene che l’opposizione della polizia sia stata quantomeno parziale e ha chiamato in causa proprio il governatore del distretto federale di Brasilia, Rocha, che aveva espresso il suo supporto per Bolsonaro prima del ballottaggio presidenziale.

Rocha, da parte sua, si è scusato per le falle della sicurezza attorno agli edifici governativi e ha appena licenziato Anderson Torres, segretario alla sicurezza del distretto federale, che aveva la responsabilità sull’area. Torres è un alleato stretto di Bolsonaro ed è stato ministro della Giustizia dal 2021 fino alla fine del mandato presidenziale: qualche ora dopo il suo licenziamento la procura generale brasiliana ha chiesto alla Corte suprema di ordinare il suo arresto e quello di altre autorità (di cui per ora non sono stati fatti i nomi). La Corte suprema, nel frattempo, ha deciso di sospendere proprio Rocha dal suo incarico per 90 giorni.

Bolsonaro negli ultimi due mesi non ha mai riconosciuto la vittoria del suo avversario Lula, dopo il ballottaggio del 30 ottobre. Dopo circa un mese aveva ufficialmente contestato il risultato chiedendo una revisione dei voti sulla base di un presunto malfunzionamento nelle macchine del voto elettronico, richiesta che la Corte suprema del Brasile aveva respinto, ritenendola infondata. Bolsonaro aveva più volte messo in dubbio la validità del sistema elettorale anche nei mesi precedenti alle elezioni, sempre senza fornire alcuna prova: riferendosi a questi episodi, a seguito dell’assalto Lula ha accusato Bolsonaro di averlo «favorito» mettendo in dubbio l’integrità delle istituzioni brasiliane.

La campagna elettorale era stata poi caratterizzata da ripetuti episodi di violenza, e un’ampia fetta dell’elettorato di Bolsonaro non aveva accettato la sua sconfitta e aveva organizzato una serie di manifestazioni di fronte alle caserme di molte città brasiliane, chiedendo anche in quel caso l’intervento dell’esercito. Nei primi giorni dopo la vittoria di Lula alcuni sostenitori dell’ex presidente di estrema destra avevano anche organizzato blocchi stradali, causando disagi e problemi negli approvvigionamenti. Dopo la certificazione della vittoria di Lula c’erano già stati alcuni limitati scontri fra i sostenitori di Bolsonaro e le forze di polizia.