• Mondo
  • Giovedì 3 novembre 2022

In Brasile i sostenitori di Bolsonaro invocano l’intervento dell’esercito

Ci sono state manifestazioni nei pressi delle caserme di molte città e blocchi stradali dei camionisti dopo la vittoria di Lula

Sostenitori di Bolsonaro a Rio con lo striscione: «Il popolo chiede aiuto all'esercito» (AP Photo/Bruna Prado)
Sostenitori di Bolsonaro a Rio con lo striscione: «Il popolo chiede aiuto all'esercito» (AP Photo/Bruna Prado)

A quattro giorni dal ballottaggio presidenziale che ha visto la vittoria del candidato di sinistra Luiz Inácio Lula da Silva e la sconfitta del presidente uscente Jair Bolsonaro, in Brasile i sostenitori più radicali del candidato di destra sconfitto stanno organizzando grosse proteste.

In settantacinque città del Brasile, fra cui tutte le ventisette capitali statali, militanti di estrema destra ed elettori di Bolsonaro sono scesi in piazza, spesso in prossimità delle basi militari, per denunciare brogli non confermati ufficialmente nelle elezioni (vinte da Lula con il 50,9 per cento dei voti contro il 49,1 di Bolsonaro) e in varie occasioni per richiedere l’intervento dell’esercito. Allo stesso tempo molti camionisti hanno organizzato blocchi della circolazione su strade e autostrade, soprattutto nelle regioni del Sud del paese, provocando lunghe code e rendendo impossibili in alcuni casi i rifornimenti di cibo e benzina.

Il lungo silenzio di Bolsonaro dopo il voto, durato 45 ore, e poi i messaggi volutamente parziali senza un chiaro riconoscimento del risultato elettorale sembrano aver legittimato le proteste, che parte della stampa brasiliana definisce “golpiste”, cioè favorevoli a un colpo di stato militare.

Bolsonaro in un video postato sui social media nella serata di mercoledì ha invitato gli autotrasportatori a «liberare le strade» dai blocchi stradali, perché quel genere di proteste lederebbe il «diritto costituzionale di andare e venire», ma ha definito le altre proteste «benvenute, perché sono parte della vita democratica». Bolsonaro ha aggiunto: «So che siete arrabbiati, lo sono anch’io, ma andate a protestare altrove».

Il messaggio è stato interpretato da molti dei protagonisti delle proteste, che non sembrano avere capi o leader sul campo, come un appoggio implicito, benché ufficialmente il presidente uscente abbia autorizzato un normale processo di passaggio di consegne verso Lula, che diventerà presidente dal 1° gennaio 2023. Il membro della Corte Suprema del Brasile Luiz Edson Fachin ha detto in un’intervista televisiva che in un incontro con i membri della corte il presidente uscente avrebbe ammesso, riguardo alle elezioni: «È finita, guardiamo avanti».

Un momento delle manifestazioni contro la vittoria di Lula (AP Photo/Eraldo Peres)

Una parte importante dei suoi sostenitori, però, continua a ritenere la vittoria di Lula illegittima o comunque non accettabile perché Lula è ritenuto un candidato di estrema sinistra che favorirebbe l’instaurazione di un regime comunista. Lula in realtà ha governato già per due mandati il Brasile senza particolari derive, e anzi in quest’ultima campagna elettorale ha espresso posizioni più moderate che in passato.

Le accuse di brogli, non circostanziate e senza prove, si basano su notizie false circolate online riguardo al voto elettronico e sulle denunce preventive che Bolsonaro ha portato avanti per mesi, soprattutto quando i sondaggi lo davano in largo svantaggio. È stato stimato che quasi 100.000 persone siano state protagoniste di proteste: per lo più sono vestite con i colori della bandiera brasiliana e con la onnipresente maglia della nazionale di calcio: spesso invocano apertamente l’intervento delle forze armate.

L’esercito, secondo i sostenitori più radicali di Bolsonaro, dovrebbe intervenire per garantire la costituzione brasiliana: qualcuno auspica che prenda il potere fino a nuove elezioni «non truccate», altri che lo faccia in modo definitivo. Al momento non ci sono prese di posizione ufficiali da parte di esponenti di alto livello delle forze armate, mentre il ministero della Difesa, al cui vertice c’è il generale Paulo Sérgio Nogueira de Oliveira, in un comunicato ha definito le proteste «ordinate e pacifiche: sono un esercizio delle libertà di espressione e di pensiero». Lo scenario invocato dai manifestanti golpisti in Brasile si è già verificato nel 1964, quando un colpo di stato militare portò a 21 anni di dittatura.

Un blocco stradale nella città di San Paolo (AP Photo/Andre Penner)

In Brasile si ritiene che i prossimi giorni potrebbero essere importanti per valutare entità e pericolosità della protesta: la polizia federale ha annunciato di aver già smantellato circa 700 blocchi stradali e al momento ne resterebbero attivi circa 150, in tredici diversi stati. Intorno a San Paolo nella giornata di ieri si sono creati anche 60 chilometri di coda, con la soppressione di 1.400 autobus. Le proteste nelle città sono state favorite anche dal fatto che il 2 novembre fosse un giorno festivo in Brasile: bisognerà verificare cosa accadrà in una normale giornata lavorativa. Al momento non si segnalano incidenti, a eccezione di un episodio a Mirassol, nello stato di San Paolo: un automobilista di 28 anni ha forzato un blocco stradale investendo un gruppo di persone e ci sono stati sette feriti.