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  • Mercoledì 26 ottobre 2022

La destra brasiliana si è presa la maglia della nazionale di calcio

Quella gialloverde: la indossano i sostenitori del presidente Jair Bolsonaro, e la sinistra parla di "furto simbolico"

Il presidente Jair Bolsonaro sul palco in un appuntamento elettorale (AP Photo/Bruna Prado)
Il presidente Jair Bolsonaro sul palco in un appuntamento elettorale (AP Photo/Bruna Prado)
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Per il ballottaggio presidenziale di domenica, in Brasile, è probabile che il candidato di destra Jair Bolsonaro inviterà nuovamente i suoi sostenitori ad andare al voto con la maglia gialloverde, quella resa famosa dalla nazionale di calcio brasiliana. Lo ha già fatto al primo turno, quando lui per primo si era presentato al seggio in “camisa amarelinha” (espressione usata per indicare proprio la maglia della nazionale). Ma già in precedenza vari episodi avevano contribuito a rendere la maglia del Brasile calcistico un simbolo divisivo per l’opinione pubblica brasiliana.

Fino a qualche anno fa la maglia gialloverde, che nelle cronache sportive italiane viene spesso definita “verdeoro”, era un elemento politicamente neutro: un simbolo sportivo diventato motivo di orgoglio nazionale a un livello più ampio, in un paese in cui le prestazioni della nazionale calcistica, la Seleçao, sono uno dei principali vanti del paese. Il Brasile ha vinto cinque Mondiali, i suoi colori sono particolarmente riconoscibili e riprendono quelli della bandiera, il calcio è un elemento della cultura popolare molto forte, anche più che in Italia.

Negli ultimi anni però, e in particolare dopo l’ascesa politica di Bolsonaro, la maglietta gialla con inserti verdi è diventata simbolo di una parte politica, quella del presidente in carica. Esponente del partito Liberale, non identificabile con un particolare colore, durante la campagna del 2017 Bolsonaro iniziò a vestire i colori della bandiera, in una retorica nazionalista e di estrema destra, dicendo: «I miei colori sono quelli del Brasile».

Da allora sempre più elettori di Bolsonaro si sono presentati a comizi e appuntamenti pubblici vestiti di giallo, in quello che a sinistra è stato definito come il “furto di un simbolo nazionale”. Le magliette del Brasile calcistico erano indossate molto comunemente anche in occasioni lontane da eventi sportivi: oggi i sostenitori di Lula e chi non si riconosce nella politica e nella retorica bolsonarista ha smesso di indossarli. Una rinuncia che in molti considerano dolorosa soprattutto in vista dei prossimi mondiali in Qatar (20 novembre-18 dicembre), quando la sovrapposizione fra tifo calcistico e polemiche politiche, a poca distanza dalle elezioni, rischia di creare nuovi problemi legati alla maglia.

La “amarelinha” iniziò a comparire sulla scena politica durante l’ondata di proteste del 2013 contro il costo della vita, la corruzione e le violenze della polizia. Qualche mese dopo divenne il simbolo dei manifestanti che chiedevano l’impeachment dell’allora presidente di sinistra Dilma Rousseff, per indicare la necessità di ritrovare l’orgoglio di essere brasiliani e nella ricerca di una “divisa” molto identificabile e facilmente presente negli armadi di tutti.

Jair Bolsonaro al voto al primo turno (Andre Coelho/Pool via AP)

Il passo successivo è stata l’appropriazione dei colori e della bandiera da parte dei sostenitori di Bolsonaro: una delle dimostrazioni più evidenti è stato l’appuntamento sulla spiaggia di Copacabana del 7 settembre, quando il presidente ha trasformato le celebrazioni per la festa nazionale in un grande appuntamento elettorale, di fronte a una folla vestita di giallo.

L’invito ad andare alle urne del primo turno in divisa gialla, per stimolare l’orgoglio e la possibilità di rimonta nonostante i sondaggi, ha avuto una buona risposta da parte dei sostenitori di Bolsonaro. Nei giorni precedenti alle elezioni si erano diffuse fake news sul fatto che Alexandre de Moraes, presidente del Tribunale superiore elettorale e considerato un “nemico” da Bolsonaro, intendesse vietarlo. L’interessato ha dovuto smentire ufficialmente. La legge brasiliana prevede che si possa andare al seggio anche mostrando le proprie intenzioni di voto, purché in modo “individuale e silenzioso” e senza cercare di coinvolgere altri.

Sostenitrici di Lula in “divisa” rossa (AP Photo/Thomas Santos)

In molti sono quindi andati a votare vestiti di giallo, con bandane inneggianti a Bolsonaro o Lula, con adesivi con foto dei candidati. Sull’altro fronte la divisa classica era una maglietta rossa.

La trasformazione della divisa della nazionale in un simbolo politico ha spiazzato gli elettori di sinistra, combattuti fra la volontà di recuperarla e riscattarla e un sostanziale rifiuto. Walter Casagrande, ex attaccante del Brasile che ha giocato anche in Italia con Ascoli e Torino, ha detto a CNN: «Quella maglia ora è stata rapita dalla destra: semplicemente non la posso più usare».

Ci sono state petizioni perché il Brasile, al prossimo mondiale, vesta la seconda maglia, quella blu, o perché ritorni ai colori degli anni ’30 e ’40, abbandonando per sempre il giallo. I colori dell’attuale divisa erano stati definiti in seguito a un concorso lanciato dalla Federazione calcistica brasiliana e dal giornale Correio da Manhã nel 1953. Allora si decise di abbandonare la maglietta bianca con pantaloncini blu usati nei precedenti decenni per esorcizzare la sconfitta nella finale del Mondiale 1950, quando l’Uruguay vinse il Mondiale allo stadio Maracanà di Rio de Janeiro in una partita traumatica per una generazione di brasiliani, passata alla storia come il Maracanazo.

La divisa gialloverde (o verdeoro) con pantaloncini blu divenne un simbolo riconosciuto nel mondo dopo il Mondiale del 1970 in Messico, con Pelé protagonista: era una delle prime edizioni raccontate a colori, nelle foto sui rotocalchi e in televisione (in Italia le trasmissioni a colori sarebbero diventate standard solo qualche anno più tardi). Anche in quella occasione ci fu un’appropriazione politica della vittoria calcistica, dei colori e delle bandiere da parte della giunta Militare e del generale Medici, presidente del paese dal 1969 al 1974.

La Nike, sponsor tecnico del Brasile, ha presentato ad agosto la maglietta che la nazionale vestirà al prossimo Mondiale: in occasione del primo turno delle elezioni ha reso impossibile personalizzarla, almeno sul proprio sito ufficiale, facendo inserire al posto del nome dei giocatori quelli di candidati o diciture come “Mito” (uno dei soprannomi con cui viene chiamato Bolsonaro dai suoi sostenitori). La politicizzazione di una delle maglie più vendute non può che essere un problema per gli sponsor, ma pare inevitabile. Tanto più visto l’aperto sostegno che il migliore e più noto giocatore del Brasile, l’attaccante Neymar, ha mostrato verso il candidato dell’estrema destra.

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