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  • Venerdì 16 dicembre 2022

Nella storia del camion pieno di hashish scomparso nel crollo del ponte Morandi non torna niente

È finita su diversi siti e quotidiani, ma appariva da subito inverosimile e ci sono un sacco di incongruenze

Il ponte Morandi dopo il crollo (ANSA/FLAVIO LO SCALZO)
Il ponte Morandi dopo il crollo (ANSA/FLAVIO LO SCALZO)
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Negli ultimi due giorni su diversi quotidiani e siti di news italiani è comparsa la notizia che nel crollo del ponte Morandi, a Genova, avvenuto la mattina del 14 agosto 2018, sarebbe stato coinvolto un camion che trasportava 900 kg di sostanze stupefacenti, probabilmente hashish. Il carico di droga sarebbe stato trasportato all’interno di un camion frigorifero giallo che stava viaggiando verso la Campania, destinato a un clan napoletano di camorra, della zona di Secondigliano. Le informazioni su quell’ingente quantitativo di droga sono contenute nelle ordinanze di custodia cautelare dell’inchiesta Blu Notte nel corso della quale, martedì, sono stati arrestati molti presunti esponenti del clan della ’ndrangheta Bellocco, uno dei più importanti e potenti gruppi della criminalità organizzata calabrese.

Oggi il quotidiano Repubblica, nella sua edizione locale genovese, scrive che in realtà quel camion forse è solo passato dalla città, ma che sicuramente non è stato coinvolto nel crollo del ponte Morandi. L’elenco dei mezzi coinvolti nel crollo non contiene infatti nessun riferimento al camion giallo di cui si parla negli atti dell’inchiesta Blu Notte. La Polizia stradale, che si è occupata del censimento dei veicoli coinvolti e del loro trasferimento in un magazzino, non ne sa nulla. La presenza del mezzo non risulta alla Guardia di Finanza di Genova, che per quattro anni ha indagato sul crollo, e nemmeno al custode giudiziario dei veicoli.

La notizia sul camion nasce dalla intercettazione ambientale (cioè non telefonica, ma con un microfono posto in una stanza o in un’auto) di una conversazione tra Francesco Benito Palaia, esponente della ’ndrangheta affiliato alla ’ndrina Bellocco di Rosarno, e un altro esponente della criminalità organizzata, Rosario Caminiti. Secondo l’ordinanza della giudice per le indagini preliminari Vincenza Bellini, nelle conversazioni Palaia raccontava al suo interlocutore della presenza del camion e della sua volontà di recuperarne il contenuto. Palaia descriveva un camion giallo caduto quando cedette il secondo pilone del ponte: «Quando cade il secondo pilone c’è questo camion… Lo vedi benissimo! Giallo, un Euro-cargo giallo con una cella frigorifera».

Palaia poi disse a Caminiti che il clan camorristico di Secondigliano gli aveva chiesto di recuperare il camion per le sue conoscenze nel settore del recupero dei rottami. L’accordo avrebbe previsto una spartizione del 50% dei soldi ottenuti grazie alla vendita degli stupefacenti. Disse Palaia nella conversazione:

Insomma, dice che i neri (la criminalità nigeriana, probabilmente, ndr) sanno che si è perso… noi stiamo ancora comprando da loro. Io questi 900 chili glieli voglio fottere e tu hai la possibilità di prendertelo tutto, dice… Posso fare una cosa, dico, facciamo 50 e 50, io lo vendo e il 50% te lo prendi tu, tanto non l’hai pagato (…). L’avevano confiscato… ma ora lo hanno spostato da Latina a Frosinone e c’è la possibilità di andarlo a prendere. Con un carrellone lo porto direttamente in Calabria…

Palaia disse poi al suo interlocutore che l’autista del camion era morto nel crollo.

Alcuni aspetti della vicenda sono sembrati subito incongrui. Perché un clan camorristico, organizzato e potente, dovrebbe affidarsi a un membro della ’ndrangheta per recuperare un grosso quantitativo di droga, spartendo poi di conseguenza il ricavato? Inoltre, 900 chili di hashish sono tanti, non stanno in una piccola borsa. Servono molti borsoni o grandi casse. Dopo l’incidente la Polizia stradale e i soccorritori sono entrati in tutti i mezzi coinvolti, se non altro per recuperare i documenti e scrivere nei verbali che cosa contenevano.

E ancora, è vero che la criminalità organizzata ha molte possibilità ma difficilmente può pensare di entrare in un deposito giudiziario, portare via il cassone di un tir che è anche reperto di un’indagine e di un processo, senza che nessuno se ne accorga. Alcuni giornali hanno titolato che il camion era stato in effetti poi recuperato da Palaia. Ma Palaia in quel periodo era agli arresti domiciliari: non avrebbe potuto spostarsi in giro per l’Italia trasportando oltretutto il carico di un camion sottratto in qualche deposito. Se l’intercettazione è del 2020, poi, è possibile che non siano state fatte indagini in proposito? Forse invece le indagini ci furono, ma gli inquirenti arrivarono alla conclusione che non ci fosse nulla di vero.

Ma soprattutto, nei video, non si vede nessun camion frigorifero giallo. L’unico mezzo giallo a essere coinvolto è un’auto, una Opel che segue di circa venti secondi il furgone Basko che riuscì a fermarsi sull’orlo del tratto di ponte crollato. Per quest’ultimo elemento due siti, Open e Verità&Affari, avevano espresso alcuni dubbi fin dal momento in cui era apparsa la notizia.

Oggi Repubblica, nelle sue pagine genovesi, dice che nel crollo rimasero coinvolti tre mezzi pesanti: un tir che trasportava una bobina d’acciaio, la stessa che secondo Autostrade per l’Italia avrebbe colpito la struttura di sostegno del viadotto facendolo crollare; un altro tir sfasciatosi completamente e finito nell’alveo del torrente; e un altro camion che trasportava mobili. Quest’ultimo, bianco e non giallo, rimase in deposito a Bolzaneto fino all’ottobre del 2018, sequestrato e poi dissequestrato dalla Guardia di Finanza. E comunque, sostiene Repubblica, fu controllato e tracciato. 

Se il camion con l’hashish non era tra quelli coinvolti nel crollo del Ponte Morandi, perché però Palaia ne parlò in una conversazione intercettata? È possibile che quel camion esistesse e che qualcuno abbia approfittato del crollo del ponte per rubarlo e poi diffondere la notizia che invece era stato coinvolto nel disastro. Appare però difficile, se il caso fosse questo, che due anni dopo ancora il gruppo criminale proprietario di quel carico non sapesse nulla del furto. Altra ipotesi: Palaia sapeva di essere intercettato, visto che era agli arresti domiciliari, e si inventò una storia per distogliere l’attenzione degli inquirenti da vicende più concrete o magari solo per il gusto di farlo. È già accaduto in passato. Oppure quella del camion della droga è quella che si definisce una “leggenda metropolitana”. Ce ne sono, eccome, anche all’interno della criminalità organizzata, nate spesso dalle millanterie di qualche malavitoso.