La Cina ha rinunciato a contare tutti i contagi da coronavirus
Dopo aver allentato le misure di contenimento della pandemia, la pressione sugli ospedali sta aumentando
La Cina ha modificato il modo in cui conteggia i contagi da coronavirus e ha smesso di rendere pubblici i casi di contagi asintomatici da COVID-19 nei suoi bollettini quotidiani: è un segno che ormai il governo ha perso o volontariamente allentato parte del controllo sull’andamento della pandemia, dopo anni di restrizioni durissime. Il cambiamento è stato annunciato dalla Commissione per la salute pubblica e la decisione arriva in corrispondenza del superamento della strategia “zero COVID”, che mirava a evitare del tutto i contagi. Le autorità cinesi dal 6 dicembre hanno eliminato la gran parte delle misure più restrittive, in un cambio repentino e piuttosto netto dopo quasi tre anni di rigidi lockdown e di ricoveri forzati anche di pazienti asintomatici.
La scelta di non contare più gli asintomatici è stata spiegata con «l’impossibilità di fornire numeri accurati», visto che non sono più previsti test di massa e visto che i cittadini che risultassero positivi ma asintomatici sono stati autorizzati a fare una quarantena volontaria in casa. La Cina nell’ultima settimana, anche in seguito alle inusuali proteste che avevano messo in discussione la leadership del Partito Comunista e il presidente Xi Jinping, sembra voler avvicinare le proprie politiche di gestione della pandemia a quelle occidentali.
Il cambio di approccio, che arriva dopo anni di contagi ridotti al minimo e con una campagna di vaccinazione lacunosa e sulla cui efficacia ci sono molti dubbi, porterà, secondo quasi tutti gli esperti, a un picco dei contagi e a una forte pressione sul sistema sanitario sin dai prossimi giorni e fino a fine gennaio, in corrispondenza del capodanno cinese, quando una gran parte della popolazione potrebbe decidere di spostarsi all’interno del paese per vacanze o ricongiungimenti familiari.
La linea ufficiale del governo, dopo l’eliminazione della gran parte delle misure di contenimento, è che i cittadini debbano attuare autonomamente le misure per salvaguardare la propria salute. Si accetta quindi una diffusione del virus, contando che le nuove varianti causino sintomi più gestibili e non provochino un’emergenza sanitaria.
Alcuni segni di un’importante crescita dei contagi sarebbero già visibili nelle maggiori città cinesi, con code di fronte alle farmacie e ad altre cliniche e con carenze di personale in vari settori per l’alto numero di lavoratori bloccati in casa da febbre o sintomi di infezione da coronavirus.
Alcuni ospedali avrebbero mostrato delle difficoltà legate all’assenza di personale, tanto che secondo l’Economist sarebbe stato richiesto a parte del personale risultato positivo di lavorare comunque all’interno delle strutture. Problemi di personale si sarebbero verificati anche nel settore della ristorazione, dei trasporti e delle consegne. Alcune università di Pechino hanno annunciato che chiuderanno il semestre con corsi a “distanza” per limitare la diffusione del virus e alcune scuole dei maggiori centri hanno chiuso autonomamente.
Escludendo gli asintomatici, il bollettino giornaliero segnalava mercoledì 2.249 casi “confermati”, che facevano salire il totale nazionale a 369.918. I morti dichiarati ufficialmente dall’inizio della pandemia sono solo 5.235: numeri molto bassi, che è impossibile verificare in modo indipendente.
L’attuazione della strategia “zero COVID” era diventata insostenibile negli ultimi mesi con la diffusione anche in Cina della variante omicron, molto più contagiosa e quindi complessa da bloccare anche con rigidi lockdown. Misure così radicali e così lontane dal quasi totale superamento dell’emergenza pandemica nel resto del mondo avevano creato problemi politici, oltre a rallentare fortemente l’economia: la crescita del PIL (prodotto interno lordo) nel 2022 dovrebbe risultare decisamente più limitata (inferiore al 3 per cento) rispetto agli obiettivi dichiarati, che si collocavano intorno al 5,5 per cento.