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  • Giovedì 1 dicembre 2022

Le frasi motivazionali online tratte da un libro sull’Olocausto

Viktor Frankl scrisse "L'uomo in cerca di senso" nel 1946: oggi le sue frasi sono ovunque sui social, ma pochi sanno da dove vengono

(Evening Standard/Hulton Archive/Getty Images)
(Evening Standard/Hulton Archive/Getty Images)

Nel 1946 lo psicologo austriaco ed ebreo Viktor Frankl, internato nei campi di concentramento di Auschwitz, Kaufering III e Turckheim e sopravvissuto alla morte della moglie e di entrambi i genitori, scrisse un libro in tedesco sulla propria esperienza dell’Olocausto, il cui titolo tradotto in italiano è L’uomo in cerca di senso. Uno psicologo nei lager.

In inglese il libro fu pubblicato dieci anni dopo come Man’s search for meaning (L’uomo in cerca di senso), e ottenne un enorme successo: il libro vendette oltre 16 milioni di copie, fu tradotto in altre 52 lingue e venne definito uno dei libri più influenti d’America dalla Libreria del Congresso statunitense. A distanza di quasi ottant’anni dalla sua prima pubblicazione e 25 dalla morte del suo autore, L’uomo in cerca di senso è tornato a essere popolarissimo per un motivo un po’ assurdo: le sue citazioni funzionano molto bene come frasi motivazionali sui social network.

Come scrive Mattie Kahn su Vox, negli ultimi anni le citazioni tratte da L’uomo in cerca di senso sono state talmente spogliate del proprio contesto originale che potrebbero benissimo sembrare opera di un guru motivazionale o di un insegnante di yoga.

Nato a Vienna nel 1905, Frankl lavorava già da diversi anni come psicologo quando, nel 1938, l’Austria venne annessa dalla Germania nazista. Gli era stato offerto un visto per gli Stati Uniti, ma l’aveva rifiutato per non lasciare indietro i propri genitori, che non avevano trovato una via di fuga. Nel 1942 venne deportato insieme al padre, la madre e la moglie nel ghetto ceco di Theresienstadt. Lì, Frankl vide morire il padre, forse di fame, prima di essere spostato a lavorare in tre campi di concentramento: Auschwitz, Dachau e Turckheim. Fu liberato nel 1945 dopo anni di lavori forzati e scoprì che la moglie era morta di tifo a Bergen-Belsen, mentre la madre era stata uccisa ad Auschwitz.

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Come molte altre memorie dell’Olocausto, il libro di Frankl racconta le violenze e gli orrori che hanno accompagnato il genocidio degli ebrei europei: i dettagli sulle persone morte congelate, le malattie e la sporcizia in cui erano costrette a vivere migliaia di persone non mancano. Ma L’uomo in cerca di senso contiene effettivamente anche molti ragionamenti sulla psicologia umana, che Frankl avrebbe poi applicato ai propri pazienti e che riteneva utili per rispondere anche a situazioni molto meno drammatiche di quelle che aveva vissuto lui.

I ricordi di Frankl sono intervallati a sezioni che espongono il suo approccio alla psicoterapia, secondo cui la forza trainante nella vita delle persone – quella che permetterebbe loro di sopravvivere a qualsiasi dolore o angheria – non sarebbe la ricerca del potere o del piacere, ma quella di un significato intimo o personale. Al suo interno si trovano frasi come «Dovevamo imparare noi stessi e, inoltre, dovevamo insegnare agli uomini disperati che non importava cosa ci aspettavamo dalla vita, ma piuttosto cosa la vita si aspettava da noi» e «Su questo banco di prova, abbiamo osservato e visto alcuni dei nostri compagni comportarsi come maiali mentre altri si comportavano come santi. L’uomo ha entrambe le potenzialità dentro di sé; quale si realizzi dipende dalle decisioni personali, non dalle condizioni in cui si trova».

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Anche per questo, secondo Kahn, L’uomo in cerca di senso è poco amato sia tra i critici esperti di letteratura o storia ebraica che tra chi ha un legame diretto con la Shoah. Lui stesso è piuttosto critico. «Ci sono libri sull’Olocausto che sottolineano il tipo di cattiveria di cui sono capaci anche gli uomini più comuni. Ce ne sono altri che accusano il resto del mondo di essere stato a guardare. Ma [Frankl, ndr] non solleva alcuna di queste accuse. Non si sofferma sulla natura [di chi ha reso possibile l’Olocausto] né mette in discussione il fatto che sia stato reso possibile», scrive su Vox. «Il libro è quindi il massimo esempio di quel genere di storie sull’Olocausto che escludono i fattori politici e la questione dei secoli di antisemitismo pregresso, limitandosi a celebrare il trionfo dello spirito umano contro ogni avversità. (…) Ha senso che io non l’abbia mai sentito nominare in oltre un decennio di educazione ebraica, fino a quando non l’ho letto al college. Non è il testo giusto per le persone come me, i cui parenti sono stati assassinati e non perché mancasse un significato nelle loro vite».

Secondo la ricostruzione di Kahn, uno dei motivi per cui Frankl è diventato così famoso è che fin da subito ha proposto il proprio libro come una sorta di manifesto, da leggere per imparare che anche il dolore più profondo ha una ragione e che è possibile trovare la forza per andare avanti anche nelle circostanze peggiori. Oggi, però, gran parte delle persone che incappano nei suoi consigli e nelle sue citazioni non ha la minima idea di ciò che l’autore ha davvero passato o di cosa sia stato l’Olocausto: le trovano semplicemente su internet, in mezzo a milioni di altre frasi motivazionali.

La frase «Quando non siamo più in grado di cambiare una situazione, la sfida è cambiare noi stessi» – che si può trovare in un capitolo del libro di Frankl che parla del suo periodo in un campo di lavoro in Baviera, dove svolgeva lavori massacranti mangiando soltanto pezzetti di pane e un po’ di brodo e vedeva la gente attorno a lui ammalarsi e morire di stenti – si può trovare nei post su Instagram di influencer appassionati di pilates o di celebrità che vogliono vendere prodotti di bellezza. La si può trovare sotto forma di adesivo, poster o stampa su una maglietta.

Un poster con citazione di Frankl in vendita sul sito di artigianato Etsy.

Frankl è stato citato in un episodio di Modern Love, la rubrica del New York Times dedicata a storie d’amore atipico, ma anche in un episodio della serie thriller The Patient. In  un’intervista sulle sue fonti di ispirazione per New York Magazine, la tennista Maria Sharapova ha citato L’uomo in cerca di sensodicendo che l’ha trovato molto stimolante perché l’ha portata a chiedersi «cosa ti motiva ad andare avanti? Cosa c’è nella tua mente quando sei solo e non hai davvero niente intorno a te? Nelle circostanze più difficili, come trovi la fiamma dentro di te? Se qualcuno come Frankl riusciva ad alzarsi e trovare un senso alla vita, noi non abbiamo scuse».

Tony Robbins, un controverso autore di libri motivazionali che si basano sulla convinzione che ogni tipo di trauma e dolore possa essere dominato con la forza di volontà, sta producendo un lungometraggio tratto da L’uomo in cerca di senso.

Secondo Omer Bartov, studioso di storia dell’Olocausto, la rinnovata passione per Frankl non è però da imputare soltanto al collasso del contesto, ma anche a una collettiva ricerca di significato di fronte ad eventi storici destabilizzanti come la pandemia, le guerre, la crescente instabilità politica e le disuguaglianze sempre più stridenti. In questo contesto, L’uomo in cerca di senso avrebbe lo stesso ruolo di un podcast per la meditazione: «Non devi neanche preoccuparti di leggere l’intero libro o di conoscerne il contesto. È tutto superficiale contenuto di auto-aiuto».

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