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  • Giovedì 1 dicembre 2022

Le plusvalenze vere e false nel calcio, spiegate

Se ne parla da anni e ogni tanto ritornano, come in questi giorni per quello che sta succedendo alla Juventus

(Marco Luzzani/Getty Images)
(Marco Luzzani/Getty Images)
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Questa settimana si è tornati a parlare delle cosiddette “plusvalenze false”, prima per le dimissioni dell’intero consiglio d’amministrazione della Juventus e poi per la richiesta di rinvio a giudizio dei suoi ex dirigenti, tra i quali Andrea Agnelli, Pavel Nedved e Maurizio Arrivabene. Le “plusvalenze false”, una pratica nota da tempo nel calcio professionistico, costituiscono infatti uno dei principali filoni delle indagini sulla Juventus.

“Plusvalenze” è un termine forse poco intuitivo per chi non ci ha mai avuto a che fare, ma il significato è più semplice di quanto si creda e di per sé non rappresentano nulla di illecito: il problema è quando degenerano, come potrebbe essere successo secondo la richiesta di rinvio a giudizio.

Nel calcio la plusvalenza non è altro che il guadagno che una società trae dalla cessione di un calciatore. Nel campionato italiano le plusvalenze sono una delle principali fonti di entrate per i club, perché nella maggior parte dei casi, in assenza di grandi strutture di proprietà, i calciatori rappresentano il loro bene principale.

Quando una squadra compra un giocatore, il suo valore d’acquisto concordato con la società che lo cede viene messo a bilancio e distribuito per la durata del contratto con il procedimento contabile dell’ammortamento. Il costo del calciatore viene quindi “spalmato” sul bilancio di tutti gli anni per cui è stato ingaggiato. Man mano che il calciatore si avvicina alla scadenza del contratto, il suo valore patrimoniale diminuisce avvicinandosi allo zero.

Le plusvalenze si verificano quando una società vende un suo calciatore a un prezzo superiore a quello segnato in bilancio in quel momento, generando quindi un guadagno. Fin qui sono uno strumento come un altro con cui trarre profitto e sanare i bilanci.

Nel corso degli anni, però, il loro utilizzo è aumentato fino a degenerare nelle cosiddette plusvalenze false, le pratiche con cui le squadre si scambiano giocatori a prezzi ritenuti non proporzionati al loro valore reale, così da sistemare artificiosamente i propri bilanci. In questo caso, la plusvalenza, in quanto fittizia, porta benefici puramente contabili.

Le operazioni più sospette che generano plusvalenze false sono quelle cosiddette “a specchio”. In questo caso non si verificano movimenti finanziari: due club — intenzionati a fare esattamente quello che stanno facendo — si scambiano due giocatori, entrambi con la stessa valutazione “gonfiata”, per mettere ognuno a bilancio un valore patrimoniale più alto di quello che avevano in precedenza.

In queste operazioni, ora imputate alla Juventus ma di cui negli anni sono state sospettate e accusate diverse squadre italiane, anche di Serie A, sono spesso implicati giocatori delle giovanili o riserve i cui valori non sono stati ancora “confermati” tra i professionisti.

In sostanza, le squadre coinvolte si scambiano giocatori che andranno a ricoprire la stessa funzione marginale o irrilevante ai fini tecnici, ma che – nel momento in cui sono scambiati – assumono valori patrimoniali più alti di quelli che il mercato attribuirebbe loro.

Per fare un esempio, la squadra A ha un calciatore X iscritto a bilancio a 3 milioni di euro. Lo scambia con la squadra B per un calciatore Y con lo stesso peso sul bilancio, ma per effettuare lo scambio il valore di entrambi viene stabilito a 10 milioni di euro. L’operazione andrà quindi a segnare una plusvalenza fittizia nei bilanci delle società coinvolte.

Nelle operazioni della Juventus indicate da tempo come sospette rientrano scambi di giocatori molto conosciuti — come quello tra Miralem Pjanic e Arthur Melo fatto con il Barcellona due anni fa — ma la maggior parte è costituita appunto da trasferimenti di giocatori pressoché sconosciuti: come quello che nel 2021 portò il ventenne Marley Akè alla Juventus dal Marsiglia in cambio del diciannovenne Franco Tongya. Entrambi i giocatori furono valutati 8 milioni di euro nonostante giocassero rispettivamente in Serie C e nella quarta serie francese (ora Tongya ha vent’anni e gioca in Danimarca).

Come detto, però, i benefici di queste operazioni sono puramente contabili, cioè non rendono un club effettivamente più ricco. Servono in genere a mascherare perdite e quindi a migliorare all’apparenza la salute finanziaria di un club, con tutti i benefici che ne conseguono.

Queste pratiche vengono raccontate da anni nel calcio italiano, ma finora le indagini, sia sportive che ordinarie, non hanno portato grandi risultati. L’ostacolo principale è la soggettività di queste operazioni. In mancanza di clausole specifiche, il valore di un calciatore viene infatti stabilito da venditori e acquirenti. Chi altro potrebbe stabilire se il prezzo di vendita sia giusto? E chi può escludere il fatto che non si sia trattato di un errore di mercato, come nel calcio se ne vedono spesso?

Nel 2008 furono indagate con l’accusa di plusvalenze false anche Milan, Inter e Genoa, poi prosciolte proprio perché non si riuscì a dimostrare che le valutazioni fossero volutamente gonfiate. Anche le ultime indagini della procura sportiva della FIGC sulla Juventus si erano concluse con un nulla di fatto. Ora però, considerando gli ultimi sviluppi, la stessa procura federale ha chiesto gli atti alla procura di Torino per valutare le altre presunte irregolarità nei bilanci societari.