Come la Russia cerca di aggirare le sanzioni su moda e lusso

Il fenomeno più diffuso è quello delle “importazioni parallele” tramite paesi complici, che sta influenzando il mercato

(AP Photo/Matt Dunham)
(AP Photo/Matt Dunham)
Caricamento player

Giovedì 24 febbraio, il giorno in cui la Russia ha invaso l’Ucraina, a Milano era iniziata da due giorni la Settimana della moda, cioè un insieme di eventi e sfilate organizzate dalle case di moda più famose per promozione e vendita. Le aziende hanno dovuto gestire innanzitutto la comunicazione perché la frivolezza delle passerelle poteva sembrare imbarazzante in un contesto di guerra. Si tratta di eventi generalmente molto mondani e festosi, e la Settimana della moda di febbraio 2022 avrebbe dovuto esserlo particolarmente perché era la prima in presenza dopo due anni di pandemia.

I dirigenti delle aziende di gran parte dell’industria della moda e del lusso invece hanno dovuto scegliere come comportarsi; nel giro di poche settimane, poi, sono cominciate le notevoli preoccupazioni su come e quanto le sanzioni che l’Occidente stava imponendo alla Russia avrebbero potuto influire sull’economia del settore. Ormai da mesi, le sanzioni stanno avendo effetti notevoli, ma in Russia il mercato del lusso sta tentando di aggirare i divieti di esportazione imposti dall’Occidente, riuscendo a ottenere discreti risultati soprattutto grazie alla disponibilità e alla complicità di paesi terzi, come la Cina e la Turchia, che si prestano a fare da intermediari per aggirare i divieti occidentali.

Le sanzioni europee proibiscono di vendere, trasferire o esportare, direttamente o indirettamente, beni di lusso che superano i 300 euro di valore a qualunque persona fisica, legale o entità presente in Russia e per uso in Russia. Per la maggior parte dei marchi di moda di alto livello 300 euro sono una cifra che consente di comprare solo piccoli oggetti.

A questo si sono aggiunte le chiusure volontarie dei punti vendita presenti in Russia da parte dei principali marchi di moda.

All’inizio di marzo Hermès era stata la prima azienda del lusso ad annunciare la chiusura temporanea di tutti i suoi negozi in Russia e la sospensione delle attività commerciali nel paese, seguita da LVMH – il più grande conglomerato del lusso, che controlla tra gli altri Louis Vuitton, Christian Dior, Fendi e Givenchy – che ha chiuso tutti i suoi 120 negozi in Russia. Anche Chanel, Kering – l’altro grande gruppo del lusso francese che controlla Gucci, Balenciaga e Saint Laurent – e il gruppo svizzero Richemont – che possiede Cartier e Montblanc – hanno fatto lo stesso.

Hanno seguito quasi tutti i grandi marchi: Prada, Moncler, Burberry, Nike, Adidas, fino alle catene di fast fashion (la moda più economica) come H&M, Inditex (il gruppo di Zara), che ha chiuso i suoi 502 negozi in Russia e 79 in Ucraina, e Mango che ha 120 punti vendita in Russia. Con un po’ di ritardo rispetto agli altri e dopo molte critiche, ha chiuso i suoi 50 negozi anche la giapponese Uniqlo: il suo direttore esecutivo Tadashi Yanai aveva inizialmente dichiarato che «vestirsi è una necessità vitale e i russi hanno lo stesso diritto di vivere che abbiamo noi», ma poi si è ricreduto. Anche molti grossi rivenditori di abbigliamento online, come Farfetch, Mytheresa e Yoox Net-a-Porter, hanno smesso di vendere in Russia.

Alcuni marchi di lusso hanno smesso di vendere ai russi anche in paesi dove i russi possono continuare a viaggiare e fare acquisti. È stato il caso di Chanel, la cui boutique di Dubai si è rifiutata di vendere i suoi prodotti all’interior designer russa Lisa Litvin, che non poteva dimostrare che non li avrebbe usati in Russia. La vicenda ha provocato una serie di reazioni di sdegno da parte di note influencer russe, che hanno iniziato a pubblicare post in cui distruggono borse di Chanel in segno di protesta.

 

Visualizza questo post su Instagram

 

Un post condiviso da VICTORIA BONYA (@victoriabonya)

– Leggi anche: La “politicizzazione” degli influencer russi

È una situazione che non piace molto ai russi, che di fatto si ritrovano esclusi da una parte enorme di mercato. Per questo, già a marzo la Russia aveva legalizzato le importazioni parallele, permettendo così ai rivenditori e proprietari di negozi (online o fisici) di importare dall’estero prodotti di marchi terzi senza l’approvazione dei marchi in questione.

Le importazioni parallele sono di solito illegali perché avvengono senza l’approvazione di chi detiene la proprietà intellettuale di un determinato bene, e abitualmente si servono di un intermediario. Nel caso della Russia, significa che un importatore russo prende accordi con un paese che non partecipa alle sanzioni occidentali, come per esempio la Turchia o la Cina (ma i paesi sono numerosi, le importazioni parallele per esempio vanno forte anche negli Emirati Arabi Uniti o in Kazakistan). L’importatore turco o cinese acquista beni di lusso dall’Occidente e poi li invia, senza il permesso del marchio, in Russia.

Trattandosi di un fenomeno tutto sommato clandestino, è impossibile avere una misura precisa di quanto incidano sul settore le importazioni parallele verso la Russia, ma alcuni dati generali mostrano che il fenomeno sembra in crescita. Per esempio questa primavera le esportazioni complessive dalla Turchia verso la Russia sono aumentate quasi del 50 per cento rispetto allo stesso periodo del 2021.

Un altro fenomeno che riguarda l’aggiramento delle sanzioni tramite intermediari è l’emergere anche in Russia della figura del daigou. Si tratta di un professionista dello shopping, già molto diffuso in Cina e in Asia: il daigou compra per conto terzi una gran quantità di merci di lusso in Unione europea per poi rivenderla nel mercato asiatico a prezzi molto concorrenziali. Normalmente, in questi mercati i prezzi sono più alti anche per via delle barriere doganali, se il rivenditore acquista tramite canali legali. Dei daigou ha parlato diffusamente un’inchiesta di Panorama citata dal sito di settore Pambianco.

Negli ultimi tempi ai daigou cinesi si stanno affiancando alcune figure provenienti dalla Russia. È piuttosto plausibile che, se gli acquisti in Russia sono vietati, si arrivi sempre più a soluzioni alternative per aggirare le condizioni attuali del mercato.

Questa situazione sta colpendo il settore della moda. Prendiamo quello italiano: secondo le dichiarazioni di Cirillo Marcolin, ex presidente di Confindustria Moda, la Russia vale il 2,2 per cento delle esportazioni del settore, una quota tutto sommato piuttosto contenuta.

All’interno del settore italiano della moda c’è però un comparto molto esposto, ossia quello calzaturiero. Secondo Assocalzaturifici, la Russia rappresenta uno dei mercati di riferimento con oltre 3 milioni e mezzo di paia di scarpe acquistate, per un fatturato di circa 250 milioni di euro l’anno. Nei primi sei mesi del 2022 è già stato perso oltre il 40 per cento del fatturato su questo mercato rispetto all’anno scorso.

Con l’eccezione del calzaturiero però le esportazioni in Russia non erano così rilevanti per il settore. Ma a questo dato si deve sommare il mancato shopping turistico di chi, dalla Russia, si recava nel quadrilatero milanese o nelle maggiori città per poter acquistare in loco i prodotti delle proprie maison preferite (spendendo complessivamente, secondo la Camera della Moda Italiana, tra i 250 e i 300 milioni di euro l’anno).

– Leggi anche: La Turchia sta vendendo la cittadinanza a molti russi