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  • Venerdì 25 novembre 2022

Olivia Laing e le vite che intreccia

Mescolando in modi imprevisti biografie di artisti e pensatori, la scrittrice inglese si è costruita una nicchia appassionata

di Ludovica Lugli

La scrittrice Olivia Laing a Milano, davanti al Castello Sforzesco, il 19 novembre 2022 (Profilo Instagram di Olivia Laing)
La scrittrice Olivia Laing a Milano, davanti al Castello Sforzesco, il 19 novembre 2022 (Profilo Instagram di Olivia Laing)
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«Tempo fa, penso dopo i miei primi due libri, ho partecipato a un festival e tutte le persone nel pubblico erano sui 70 anni, avevano i capelli bianchi. Poi improvvisamente, a partire dalle presentazioni di Città sola, sono diventate giovani». La scrittrice Olivia Laing descrive così i propri lettori, quelli che le capita di incontrare nei tour come quello che ha appena fatto in Italia, passando per Milano, Cuneo, Venezia e Roma, per presentare il suo ultimo libro, Everybody.

E in effetti, almeno nella prima tappa del giro, c’erano soprattutto ventenni e trentenni ad ascoltarla, molti più delle sedie predisposte nel Piccolo Teatro Grassi. A chiederle autografi, accalcandosi disordinatamente, erano quasi tutte giovani donne, che si descrivono come fan.

Laing ha 45 anni e, con la sua pelle pallida, gli occhi azzurri e le sopracciglia sottili, la fisionomia tipica di una signora inglese della sua età. Sul suo profilo Instagram, che ha 30mila follower ed è molto citato dalle fan di Laing per spiegare la loro fascinazione, pubblica soprattutto fotografie del suo giardino e della sua incantevole casa georgiana nel Suffolk, nell’est dell’Inghilterra, che è finita sia su una rivista di arredamento e giardinaggio sia sul New York Times Magazine. In viaggio è accompagnata da suo marito Ian Patterson, che è un ex libraio e un poeta, ha tradotto Il tempo ritrovato di Marcel Proust, e prima di sposare Laing nel 2017 era rimasto vedovo di un’altra scrittrice, Jenny Diski (peraltro figlia adottiva della premio Nobel per la letteratura Doris Lessing).

 

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Ma l’abbigliamento di Laing, alcuni aspetti della sua storia personale e il modo in cui si definisce si discostano da questo immaginario cottagecore – un immaginario estetico creato sui social network che gira intorno a un’idea di vita campestre idealizzata – fatto di fiori e tè delle cinque. O meglio, lo espandono.

A Milano, Laing indossava una camicia azzurra con il colletto ricamato, pantaloni di tuta neri con una grossa scritta bianca di un brand di streetwear genderfluid, e sneakers arancioni. Lo scrittore Jonathan Bazzi, che ha parlato di Everybody con lei al Grassi, l’ha presentata ricordando il suo «passato riot», rivoltoso: dalla partecipazione fin da piccola ai Pride, in quanto bambina in una famiglia omogenitoriale di donne, all’attivismo ambientalista che da ragazza la portò anche a vivere sugli alberi, fino agli studi di erboristeria, raccontati peraltro nel libro. Poco dopo, rispondendo a una domanda, Laing si è definita come «una persona trans».

Più nello specifico Laing si descrive come persona non binaria, non si riconosce cioè né nel genere femminile né in quello maschile – pur accettando qualunque tipo di pronomi e desinenze quando si parla di lei. In Italia non è molto diffuso l’uso di indicare con il termine “trans” queste persone, mentre nel contesto anglosassone secondo le più recenti accezioni di questo aggettivo sì. Come spiega la stessa scrittrice all’interno di Everybody:

Dieci anni fa le questioni trans non erano neanche lontanamente visibili o discusse quanto lo sono oggi, e la discussione esistente era incentrata sulla transizione da maschio a femmina o da femmina a maschio. Era un passo avanti, ma ignorava il problema di cosa fare se nessun genere ti si addiceva. Da persona trans volevo soltanto eludere il binarismo, così naturale quando ti include e così innaturale e violento quando non lo fa.

Olivia Laing durante la presentazione del suo libro “Everybody” al Piccolo Teatro Grassi di Milano, il 19 novembre 2022; alla sua sinistra c’è il suo interprete, alla sua destra lo scrittore Jonathan Bazzi, moderatore dell’evento, e Maddalena Parise e Lisa Ferlazzo Natoli della compagnia teatrale lacasadargilla, che ha realizzato uno spettacolo/podcast sul precedente libro di Laing “Città sola” (Il Post)

È uno dei passaggi più autobiografici del libro, che però non è un’autobiografia. Quasi tutti i libri di Laing sono una «combinazione di tanti diversi elementi che si intrecciano», spiega: «c’è sempre un po’ di memoir, poi ci sono biografie di altre persone, resoconti di viaggi e descrizioni di opere artistiche, ma nel profondo sono indagini filosofiche su un tema».

Secondo la scrittrice quelli più recenti piacciono alle persone giovani perché i temi di cui parlano stanno loro a cuore, oppure li preoccupano. Nel caso di Città sola, il suo libro più celebre e il primo a essere pubblicato in italiano, dal Saggiatore nel 2018, era la solitudine. Nel caso di Everybody, più complicato da riassumere, «tutti gli aspetti dell’esperienza di vivere in un corpo», come il rapporto con la psiche, la malattia, gli atti sessuali, le forme di violenza, la prigionia e le forme di protesta: lo stesso titolo cerca di tenere dentro questa complessità, dato che si può tradurre sia come “Tutti” che come “Tutti i corpi”, e per questo nell’edizione italiana è stato mantenuto come nell’originale.

A sentire “le fan” però le ragioni della passione per i libri di Laing sono anche altre. C’entra che diversamente da tanti altri libri, più o meno narrativi, che sono usciti negli ultimi anni e parlano estesamente della vita e della personalità dei loro autori, «c’è l’io ma non c’è l’ego». C’entra che non hanno una forma e un tono accademico, da saggistica tradizionale, e quindi sono molto accessibili anche per chi non si è mai interessato prima dei temi e degli artisti, scrittori e intellettuali di cui parlano.

Ma soprattutto sono apprezzati perché leggerli è un’esperienza analoga al finire in un rabbit hole online: con questa espressione, che fa riferimento alla tana del Bianconiglio di Alice nel Paese delle Meraviglie, si descrivono quelle ricerche su internet che, di link in link, portano a scoprire molte cose diverse e appassionanti, anche se magari futili. I libri di Laing accompagnano chi li legge in un percorso simile, anche se comprensibilmente più approfondito e guidato, e dunque anche più rilassante e soddisfacente perché non prevede vicoli ciechi.

Le copertine italiane dei libri di Olivia Laing, nell’ordine di pubblicazione originale: “Gita al fiume” (2011, in italiano 2020), “Viaggio a Echo Spring” (2013, 2019), “Città sola” (2016, 2018), “Crudo” (2018, 2021), “Everybody” (2021, 2022). I primi quattro sono stati tradotti da Francesca Masturzo (con Alessio Pugliese nel caso di “Viaggio a Echo Spring”), l’ultimo da Alessandra Castellazzi

Per fare un esempio: il principale filo conduttore di Everybody è la biografia di Wilhelm Reich (1897-1957), uno psicoanalista austriaco di origine ebraica, che ebbe una grande influenza in vari ambiti culturali e una vita insolita, che lo portò a morire in carcere negli Stati Uniti.

Alcune delle idee di Reich sono affascinanti o anche condivisibili tuttora: da giovane fu allievo di Sigmund Freud e dato che assisteva molte persone appartenenti alle classi sociali più povere arrivò a pensare che i problemi di salute mentale non fossero influenzati solo dalle esperienze infantili, ma anche dalla condizione economica, dalle varie forme di disagio sociale, dalla violenza domestica e dalla disoccupazione, mettendo insieme le idee di Freud e quelle di Karl Marx. Successivamente Reich studiò la sessualità nella Berlino della Repubblica di Weimar e tra le altre cose coniò l’espressione “rivoluzione sessuale”: pensava che tutte le persone, donne comprese, dovessero poter fare sesso in modo libero, avendo accesso alla contraccezione e all’aborto legale.

Il nazismo tuttavia costrinse Reich a fuggire negli Stati Uniti, dove la sua vita prese una piega diversa. Come racconta Laing, «poco dopo il suo arrivo, dichiarò di aver scoperto l’energia universale che anima la vita. La chiamò orgone e, nel laboratorio della sua casa di New York, progettò una macchina che ne convogliasse il potere curativo». Questa macchina era in sostanza una specie di cella di legno simile a una cabina telefonica, in cui sedersi in solitudine: «Reich credeva che l’accumulatore orgonico avrebbe automatizzato l’opera di liberazione, ovviando al bisogno di una faticosa terapia faccia a faccia. Sperava inoltre che potesse curare le malattie, in particolare il cancro».

Reich costruì anche un dispositivo che secondo lui gli avrebbe permesso di controllare il meteo o sarebbe stato efficace contro invasori alieni. La conseguenza di queste teorie pseudoscientifiche e delle vendite degli “accumulatori orgonici” fu una condanna a due anni di carcere, dopo un’indagine della Food and Drug Administration (FDA), l’agenzia federale statunitense che si occupa della sicurezza di farmaci e dispositivi medici.

Reich nel 1922 circa (Wikimedia Commons)

Già questa biografia è di per sé piuttosto interessante, ma Laing non si limita a raccontarla e a rifletterci sopra: la intreccia con le vicende di molte altre persone più o meno legate a Reich.

Una di queste è la scrittrice e critica Susan Sontag, autrice di Malattia come metafora, che, criticando l’idea comune che il cancro sia legato alla psicologia di chi lo sviluppa, confutava alcune delle teorie di Reich. Un’altra è la controversa pensatrice femminista Andrea Dworkin, che pensava che Reich fosse «l’unico maschio ad aborrire davvero lo stupro». Poi c’è lo scrittore inglese Christopher Isherwood, che visse negli ambienti LGBTQ di Berlino negli stessi anni di Reich, e lo scrittore americano William Burroughs, che credeva nell’esistenza dell’orgone e costruì un proprio accumulatore orgonico. Potreste averlo visto in una fotografia di Kurt Cobain, scattata quando il cantante dei Nirvana andò a trovare Burroughs, di cui era fan.

E c’è anche Kate Bush, la cui canzone “Cloudbusting” – contenuta nel disco Hounds of Love, lo stesso di “Running Up That Hill”, di recente tornata in classifica grazie a Stranger Things – è ispirata alla vita di Reich, e in particolare alla sua seconda parte. Cloudbuster era il nome del dispositivo che Reich pensava gli avrebbe permesso di controllare il meteo. Laing è entusiasta della coincidenza per cui, poco dopo l’uscita di Everybody, Hounds of Love è tornato a essere molto ascoltato e conosciuto da nuove generazioni.

«Everybody è difficile da riassumere in breve e porta effettivamente in posti molto strani» ammette Laing. «Le connessioni che trovo tra diverse cose e storie sono ovvie per me, ma penso che ogni tanto possano non essere chiare a chi legge. Per questo penso che le parti in prima persona siano importanti, così tu che leggi senti che io sono lì con te, ti parlo lungo il percorso, ti dico cosa sto vedendo e ti indico la strada».

Nel progetto iniziale del libro, quello presentato agli editori di Laing prima che cominciasse a lavorarci, Reich non aveva un ruolo così centrale. Come tutti gli altri libri di Laing – fatta eccezione per Crudo, che è un romanzo – Everybody riunisce insieme i punti di vista di diverse persone su uno stesso tema, scelti dalla scrittrice proprio perché diversi dai suoi. «Inizio col mettere insieme un cast di personaggi. A volte non funzionano insieme, devono avere qualcosa in comune. Per questo il mio lavoro è come la tessitura di un arazzo, in cui tutto si deve incastrare in modo armonico. A volte alcuni personaggi escono di scena, e altri arrivano», dice.

Un esempio di personaggio arrivato in un secondo momento è Bayard Rustin, un attivista per i diritti civili afroamericano e omosessuale che compare in Everybody: «è arrivato verso la fine. Stavo pensando alla prigione in cui era stato incarcerato Reich e mi sono chiesta chi altro vi fosse rinchiuso. E così ho scoperto che nello stesso periodo c’era anche questo straordinario attivista».

Un altro aspetto di Everybody, che lo distingue abbastanza dai precedenti libri di Laing, è che sia Reich sia molti degli altri personaggi non sono sempre gradevoli, anzi nel corso delle loro vite hanno detto e pensato cose molto distanti dalle sensibilità contemporanee, o molto controverse. Per esempio, oltre alle questioni pseudoscientifiche, Reich pensava che l’omosessualità non esistesse davvero, che fosse solo il sintomo di una nevrosi, mentre Dworkin era una sostenitrice della pena di morte nei casi di stupro, tra le altre cose.

«Sono personaggi difficili, e mi pare un aspetto importante. Il loro lavoro è stato e può ancora esserci utile per molti aspetti. Al tempo stesso non sono persone gradevoli e hanno fatto grossi errori, in parte perché risentirono del sistema sociale che cercavano di cambiare». Laing dice che «scrivere di loro è anche stato un modo per oppormi alla diffusa tendenza contemporanea per cui le persone devono essere perfette e vengono cancellate se commettono degli errori. Penso che dobbiamo rilassarci un po’ e mettere da parte l’idea che tutti debbano essere perfetti, accettando che le persone si comportano in modo complicato. Vorremmo che fossero migliori di quello che sono, ma non lo sono e dovremmo dare loro spazio per cambiare e crescere invece di pretendere che siano nate sapendo ogni cosa».

Un autografo di Laing a Milano (Il Post)

Il pubblico di Laing è una nicchia, specialmente in Italia: pur avendo ottenuto critiche molto positive, soprattutto all’estero, da noi i suoi libri hanno venduto complessivamente qualche migliaio di copie. Ma chi l’ha letta spesso si appassiona. Ora sta scrivendo un libro sui giardini e sulle utopie, sui giardini come rappresentazioni del paradiso e sul concetto stesso di paradiso. Tra le altre cose parlerà di Pier Paolo Pasolini, che a Laing piace molto, e del giardino di La Foce, in Toscana (potreste averlo visto nella terza stagione della serie tv Succession, è dove si svolge il matrimonio in Italia).

Tra cinque anni invece ha in programma di scrivere il “seguito” di Crudo, finora il suo unico romanzo e, nelle intenzioni, il primo di una serie di quattro, scritti a distanza di dieci anni l’uno dall’altro. Laing scrisse Crudo in poche settimane nel 2017, attingendo molto alla sua storia personale, e praticamente in presa diretta: parla soprattutto dello sconforto provato nel periodo iniziale della presidenza di Donald Trump e di com’era Twitter in quel periodo, peraltro lo stesso del matrimonio di Laing. È un romanzo sperimentale, in cui alla biografia di Laing si sovrappone in parte quella di una scrittrice da lei molto amata, Kathy Acker, citata anche in Everybody in contrapposizione a Sontag. Laing non sa ancora di cosa parlerà il suo seguito, lo saprà solo al momento di scriverlo, pur essendosi imposta alcune regole da seguire. Ma preferisce non rivelarle.