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  • Martedì 22 novembre 2022

Lo stupratore seriale identificato in Australia dopo quasi 40 anni

Fu un grosso caso mediatico rimasto a lungo irrisolto: l'uomo individuato dalla polizia è morto lo scorso febbraio

Una scultura sulla spiaggia di Bondi a Sydney, in Australia (Lisa Maree Williams/Getty Images)
Una scultura sulla spiaggia di Bondi a Sydney, in Australia (Lisa Maree Williams/Getty Images)
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La polizia australiana ha scoperto l’identità di un uomo che tra il 1985 e il 2001 fu responsabile di decine di stupri compiuti intorno al quartiere balneare di Bondi, a Sydney. Per molto tempo 31 casi di stupro denunciati in quella zona furono indagati singolarmente, e solo vent’anni dopo il primo si cominciò a capire che con ogni probabilità erano stati commessi dalla stessa persona, che aveva agito sempre con modalità simili.

Fu un grosso caso mediatico, di cui giornali e televisioni australiane tornavano a parlare ogni volta che venivano condivise nuove scoperte da parte della polizia. L’uomo fu chiamato dai media “la bestia di Bondi”, “lo stupratore in tuta”, o “lo stupratore di Centennial Park” (un parco della zona). Solo lo scorso fine settimana si è scoperto che si trattava di Keith Simms, un uomo morto a 66 anni lo scorso febbraio, descritto come una persona apparentemente non pericolosa e con una vita normale, con una moglie, dei figli e dei nipoti.

Le indagini che portarono all’identificazione di Simms furono lunghe e complicate.

Nel 2005 gli investigatori scoprirono per la prima volta che il DNA trovato sui corpi di cinque donne stuprate intorno agli anni 2000 apparteneva alla stessa persona. Cominciarono a sospettare che quella persona potesse avere commesso reati simili, anche perché in quella zona negli anni precedenti erano state fatte molte denunce per crimini sessuali. Attraverso un’analisi di documenti e reperti delle scene del crimine si riuscì poi a collegare allo stesso autore altri 7 casi di stupro (fino a quel momento erano quindi in tutto 12).

A quel punto però le indagini si bloccarono. Si era capito che il caso riguardava uno stupratore seriale che aveva agito per anni in una certa zona di Sydney, ma non si riusciva ad associare il suo DNA a una persona. Dopo molti anni, a partire dal 2016, i miglioramenti nelle tecnologie di analisi del DNA permisero di riaprire il caso, e nel 2019 si arrivò a restringere il campo di appartenenza dei campioni prelevati dalle vittime a 324 persone.

La polizia cominciò così un’indagine su ciascuna di quelle persone, escludendo chi non corrispondeva al sospettato per ragioni di età, perché si trovava altrove all’epoca degli stupri o per altri motivi.

L’indagine nel frattempo si era allargata ulteriormente: ai 12 stupri indagati riconducibili allo stesso DNA se ne aggiunsero altri 19, che secondo la polizia erano stati commessi dalla stessa persona, sulla base del suo modo di agire secondo schemi piuttosto fedeli e ripetitivi e in base alle descrizioni fornite dalle vittime.

L’uomo era sempre vestito in tuta, o con felpe e pantaloncini sportivi. Nella maggior parte dei casi seguiva le vittime – tutte donne tra i 14 e i 55 anni – mentre si allenavano, camminavano o facevano jogging. I luoghi ricorrenti erano il Centennial Park, il percorso costiero tra le spiagge di Bondi e Coogee (un altro quartiere balneare di Sydney), generalmente molto frequentato da chi pratica questo genere di attività. In altri casi l’uomo faceva irruzione in casa durante la notte, minacciando le donne con un coltello o dicendo loro di averne uno.

Le indagini sulle 324 persone possibili individuate attraverso il DNA si è conclusa lo scorso settembre, quando la polizia ha scoperto che Keith Simms era morto diversi mesi prima. La sua identità è stata confermata con un altro campione di DNA chiesto con un mandato alla famiglia, che alla fine delle indagini è stata poi avvertita delle responsabilità dell’uomo. Alla polizia, i familiari hanno detto di non aver mai avuto idea che Simms potesse aver nascosto colpe così gravi per così tanti anni della sua vita.

La squadra speciale che si è occupata del caso ha poi reso noto l’esito dell’indagine ventennale lo scorso fine settimana: nonostante una certa delusione per il fatto di aver lasciato impunito il colpevole per tutta la sua vita, l’investigatrice a capo della squadra d’indagine, Jayne Doherty, si è detta comunque speranzosa che aver chiuso definitivamente il caso possa incoraggiare le vittime di stupro a denunciare. Anche il fatto che il colpevole sia stato perseguito per così tanto tempo, ha detto Doherty, deve per lo meno rassicurare sul fatto che le denunce non vengono ignorate.