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  • Mercoledì 16 novembre 2022

Saviano a processo per aver dato dei “bastardi” a Meloni e Salvini

Lo scrittore li definì così per le loro posizioni sull'immigrazione, e fu querelato per diffamazione dalla presidente del Consiglio

Roberto Saviano all'uscita del tribunale di Roma (ANSA/ANGELO CARCONI)
Roberto Saviano all'uscita del tribunale di Roma (ANSA/ANGELO CARCONI)
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È iniziato ieri a Roma il processo contro lo scrittore Roberto Saviano, accusato di diffamazione nei confronti di Giorgia Meloni, attuale presidente del Consiglio ma semplice parlamentare quando nel 2020 presentò la querela. In una puntata del programma Piazzapulita, in onda su La7, Saviano definì «bastardi» Meloni e Matteo Salvini, allora senatore della Repubblica senza incarichi di governo. Lo disse dopo che, in trasmissione, era stato mostrato un video con l’intervista a una donna migrante il cui figlio di sei mesi era morto in mare, in seguito al ribaltamento della barca su cui stavano viaggiando. Il processo, a causa della sostituzione di un giudice, è stato però rinviato al 12 dicembre.

Saviano usò quella definizione contro chi conduceva campagne contro le ong che soccorrono i migranti in mare, e paragonò il mancato intervento in aiuto dei migranti al comportamento del personale di un’ambulanza che non fa nulla per soccorrere i feriti. La frase esatta fu questa:

«Vi sarà tornato alla mente tutto il ciarpame detto sulle Ong: “taxi del mare”, “crociere”. Mi viene solo da dire “bastardi” a Meloni, a Salvini: bastardi. Come avete potuto? Come è stato possibile descrivere così tutto questo dolore?».

Meloni querelò Saviano, mentre Salvini non lo fece: si è però costituito parte civile nel processo. In pratica, costituendosi parte civile, Salvini dichiara di sentirsi danneggiato dal reato, e qualora Saviano venisse riconosciuto colpevole chiede un risarcimento.

Il reato di diffamazione è trattato dall’articolo 595 del codice penale. È un reato punibile, secondo il termine giuridico, a querela: la persona che si ritiene offesa presenta, appunto, querela, perché l’autore della presunta offesa sia giudicato. I giudici procedono invece d’ufficio, cioè senza bisogno della querela, quando la diffamazione è realizzata in atto pubblico, “contro un corpo politico, amministrativo o giudiziario o una sua rappresentanza”. Il reato è normalmente punito con la pena fino a un anno di carcere o con la multa fino a 1.032 euro. Se l’offesa avviene a mezzo stampa, come in questo caso in quanto trasmessa in tv, la pena è di reclusione fino a tre anni o della multa di almeno 516 euro. 

L’udienza di ieri al tribunale di Roma è servita alla costituzione delle parti civili e alla presentazione dell’elenco dei testimoni. L’avvocato di Saviano, Antonio Nobile, chiamerà a testimoniare Corrado Formigli, conduttore della trasmissione Piazzapulita, Oscar Camps, fondatore e presidente di Open Arms, l’ong che salvò la donna del filmato che ispirò la frase detta da Saviano, e il portavoce di Amnesty International Riccardo Noury, la cui associazione ha realizzato un rapporto sul linguaggio adottato dai leader in campagna elettorale.

Ma la difesa di Saviano ha coinvolto anche una serie di testimoni molto noti, e che saranno chiamati a spiegare e descrivere questioni ben più ampie della singola frase incriminata. Sarà chiamato a testimoniare ad esempio l’ex ministro dell’Interno Marco Minniti che, secondo l’avvocato Nobile, dovrà riferire sul memorandum Italia-Libia sottoscritto nel 2017 e in particolare «circa gli accordi di collaborazione stabiliti con la Guardia Costiera libica. Il teste potrà inoltre riferire circa la sua conoscenza degli esiti degli accertamenti svolti con riguardo alle imbarcazioni di proprietà delle Organizzazioni non governative operanti nel Mediterraneo». In sostanza, la testimonianza di Minniti è stata richiesta per verificare la fondatezza delle accuse contro le ong rivolte da Meloni e Salvini.

Dalla difesa verrà chiamato anche l’attuale ministro dell’Interno, Matteo Piantedosi, in qualità «di capo di gabinetto pro tempore del ministro dell’Interno sulle iniziative volte a verificare il regime di protezione al quale l’imputato è sottoposto dal 2006. Il teste potrà anche riferire in ordine agli eventi che portavano Matteo Salvini, nella qualità di ministro dell’Interno pro tempore, a porre in essere la condotta di sequestro di persona in relazione alla quale è ancora imputato». In pratica Piantedosi dovrà riferire del comportamento di Salvini come ministro dell’Interno anche riguardo alla ventilata ipotesi di togliere la scorta a Roberto Saviano, sotto protezione dal 2006 per le minacce ricevute dalla camorra dopo la pubblicazione del libro Gomorra.

Infine, tra i testimoni della difesa verrà chiamato anche Maurizio Gasparri, esponente di Forza Italia, a sua volta querelato da Saviano per alcune offese che aveva pubblicato sui social network nei confronti dello scrittore.

L’avvocato di Meloni, Luca Libra, ha spiegato: «La querela nasce dal livore utilizzato. Io ho insegnato a mio figlio che la parola “bastardo” è un’offesa». L’avvocato ha poi aggiunto: «Valuteremo se ritirare la querela». La situazione è infatti cambiata rispetto al 2020. Meloni è oggi presidente del Consiglio e forse reputa poco opportuno essere protagonista di un processo contro uno scrittore e giornalista. Un ritiro della querela dovrebbe però probabilmente passare attraverso la presentazione di scuse da parte di Saviano, che sembrano improbabili.

Al fianco di Saviano, all’interno dell’aula del tribunale c’erano la scrittrice Michela Murgia e il direttore della Stampa Massimo Giannini. Fuori dal tribunale, in segno di solidarietà, c’erano gli scrittori Nicola Lagioia, Walter Siti, Teresa Ciabatti e Sandro Veronesi e l’attrice Kasia Smutniak.

Saviano avrebbe voluto leggere una dichiarazione in aula ma non gli è stato concesso. L’ha letta uscendo dal tribunale. Ha detto, tra l’altro:

Io sono uno scrittore: il mio strumento è la parola. Cerco, con la parola, di persuadere, di convincere, di attivare. Sono uno scrittore e quindi, avendo ottenuto la libertà di parola prima di qualsiasi altra, sono deciso a presidiarla. Ho sempre scelto di difendere le mie parole con il mio corpo in maniera differente rispetto a quanto fanno molti parlamentari, che hanno usato lo scudo dell’immunità quando hanno avuto bisogno di proteggersi dalla giustizia: io ho fatto la scelta opposta, ho scelto di esporre il mio corpo e le mie parole negandomi la possibilità di un riparo sicuro, di rifugiarmi in una zona franca tra la legge e l’individuo: perché mi illudo ancora, forse ingenuamente, che dalla giustizia non ci si debba proteggere, ma che sia essa stessa garanzia di protezione.

Ha poi aggiunto:

«Dinanzi ai morti, agli annegamenti, all’indifferenza, alla speculazione, dinanzi a quella madre che ha perso il bambino, io non potevo stare zitto. E sento di aver speso parole perfino troppo prudenti, di aver gridato indignazione perfino con parsimonia».

Se l’avvocato di Meloni ha parlato di possibilità di ritiro della querela, alcuni giornali che fanno riferimento alla destra hanno approfittato dell’udienza di ieri per attaccare pesantemente Roberto Saviano. In particolare il quotidiano Libero ha titolato mercoledì a tutta pagina: “Saviano bastardo”.

Saviano è stato querelato anche da altri esponenti del governo attuale. Gennaro Sangiuliano, ministro della Cultura, lo querelò nel 2018 dopo essere stato nominato direttore del Tg2. Scrisse in quell’occasione Saviano: «Sangiuliano direttore del Tg2 peggio di così non si poteva… Noi campani lo ricordiamo bene, galoppino di Mario Landolfi, Italo Bocchino, Nicola Cosentino, Amedeo Laboccetta». Anche Matteo Salvini, nel luglio del 2018, aveva querelato lo scrittore che lo aveva definito “ministro della malavita”.